Dreizehn.

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***consiglio di leggere il capitolo con la canzone che ho aggiunto nei media***



"Certe persone, e io son di quelle, odiano il lieto fine. Ci sentiamo frodati. Il dolore è la norma."

                                                                                                                       -Vladimir Nabokov


Steve Rogers camminava per i corridoi dell'Helicarrier senza alcuna meta, riflettendo su molte, troppe cose. La morte di Phil Coulson lo aveva segnato, come tutti d'altronde. La battaglia era stata esageratamente inaspettata e le vittime erano più di una ventina. Ma cercava di pensare positivamente: se lui e Stark non avessero riparato in tempo il motore, adesso le vittime sarebbero centinaia.

Pensava alle parole di Fury, quando aveva detto loro di essere forti, di resistere e di prepararsi a un'imminente battaglia finale, a nome delle vittime di quel giorno, a nome dell'agente Coulson.

«Dobbiamo solo aspettare.» Aveva detto Nick.

«Aspettare di morire.» Disse piano Steve, in risposta.

«Il nostro destino è riposto nelle mani di una ragazzina piagnucolosa.» Commentò sprezzante Natasha e in un moto di rabbia, il capitano le lanciò un'occhiata di fuoco.
Ma fu Tony a ribattere al posto di lui: «E' la nostra unica speranza.»

«Da quando ti fidi così ciecamente di qualcuno?» Domandò irata l'ex spia russa. «Hai visto il video delle telecamere di sorveglianza? Hai visto come lo guarda? Quella pazza stravede per quello squilibrato che oggi ha ucciso un nostro importantissimo agente e decine e decine dei nostri tecnici e operai!» Urlò, rossa in volto, facendo arretrare Tony ogni volta che lei gli si avvicinava minacciosamente.

«Romanoff!» La riprese Fury. «Forse è meglio che tu vada a controllare se l'agente Barton stia bene.»

Ma quella non ebbe nemmeno il tempo di considerare davvero quel richiamo\consiglio che Steve sbottò: «Senti poi da che pulpito parte la predica.» Avanzò verso di lei. «Non ho visto questo fatidico video di cui parli, ma ho visto quello dell'interrogatorio che tu hai fatto a Loki.»

«Capitano!»

«No, Nick. Natasha deve capire che ognuno può avere una seconda possibilità nella vita, proprio come l'ha avuta anche lei.» E detto ciò, andò via, prima che la conversazione potesse andare avanti drasticamente. Camminò verso la sua stanza e in un misto fra curiosità e angoscia, accese il tablet che se ne stava sul comodino e andò negli archivi, accedendo con un codice segreto. Digitò il video e premette PLAY.

Quello che vide, inspiegabilmente, gli provocò delle leggere ma letali fitte al petto. Il modo in cui Amelia guardava Loki era inspiegabile, mai aveva visto occhi del genere. Così pieni di compassione, di tristezza, di... amore. Staccò direttamente il tablet quando lei aveva poggiato una mano sul vetro verdastro della cella, lì era diventato impossibile da sopportare.

Adesso camminava pensando a quegli occhi blu e a quel volto rotondo e pallido. Una parte di lui voleva dubitare dell'affidabilità dell'agente Amelia Helbinger, ma Steve la reprimeva: credeva in lei e sperò che fosse capace di portare al termine la missione senza alcun imprevisto.

*

La musica le riempiva il cuore, sempre. D'ovunque si trovasse, le bastava ricordare quella bellissima canzone per ritrovare un po' di serenità. In quella cella fredda e buia, che aveva tutt'altro che un'aria accogliente, le piastrelle del pavimento polveroso presero il posto dei tasti del pianoforte del salotto della casa a Edimburgo.

Le dita di Amelia si muovevano sulla polvere e suonavano uno strumento invisibile, muto, immaginario. Gli occhi chiusi e le orecchie piene del ricordo di quelle note.

Da giorni non sentiva alcun suono se non quello della sua voce o del suo respiro.

Dalla battaglia, era stata scortata in quella cella da due soggiogati. Qualcuno le portava un pasto due volte al giorno, completo di un primo e un secondo. Ma Amelia non toccava cibo. Era debole, dormiva per la maggior parte del tempo, sapeva di essere al sicuro lì e glielo dimostravano quei vassoi pieni di cibo invitante. Loki ci aveva sempre tenuto alla salute di Amelia. Ricordava tutti i frutti e i dolci che le faceva assaggiare con la scusa di farle mettere qualche chilogrammo in più.

Aveva sempre rischiato di andare in sottopeso, specialmente quando era stata rinchiusa in quel maledetto manicomio, ma da quando aveva ricominciato gli studi, a sorridere e a vivere meglio, aveva preso un bel po' di chili, tanto da renderla una ragazza con delle forme piene nei punti giusti. Ma da quando aveva iniziato a lavorare nello S.H.I.E.L.D, lo stress si era impossessata di lei e aveva ricominciato a mangiare di meno.

In quella stanza fredda, non c'erano finestre, ma una porta in acciaio, spessa e pesante, una lampada a neon a illuminare un poco quei dodici metri quadri, un letto matrimoniale con lenzuola bianche e panna, unito da due materassi singoli, un armadio alto e marrone che non era riuscita ad aprire e vari quadri rappresentanti paesaggi invernali.

Una coperta le copriva le spalle e una penna le legava la chioma rossa in uno chignon improvvisato quando Loki entrò nella cella materializzandosi, senza fare il minimo rumore. Amelia, che aveva gli occhi chiusi e che continuava a muovere le dita sulle piastrelle, non si era completamente accorta della presenza di lui.

Loki rimase immobile dov'era, e, pur di non fare rumore, si sforzò di respirare piano. La osservava curiosamente nei suoi movimenti, la studiò come quando la vide da bambina per la prima volta. Era così sempre: lei non smetteva di sorprenderlo. Amelia era imprevedibile e sempre lo sarebbe stata, con lei non ci si poteva mai annoiare, per questo Loki l'aveva sempre adorata, per questo aveva fatto la scelta importante di instaurare il legame di sangue con lei.

«I tuoi pensieri sono più rumorosi del tuo respiro.» Sussurrò Amelia, smettendo di muovere le mani. Voltò la testa verso Loki e solo allora aprì gli occhi.

I loro sguardi si scontrarono come due auto in un violento impatto. Loki le sorrise in risposta. «Mi senti sempre.» Egli stesso si stupì di aver detto quella frase, non solo lei, che schiuse le labbra, con una velata espressione di sorpresa sul volto.

«Siamo legati.» Disse lei, senza abbassare lo sguardo da lui, cosa che avrebbe fatto volentieri se fosse stata la ragazzina di qualche anno fa.

Loki si avvicinò, piegò le ginocchia fino a sedersi sul pavimento a gambe incrociate, come lei, davanti a lei.

Ritornarono a guardarsi negli occhi.

«Come mai sei qui?»

«Non sei arrabbiata?»

«Non puoi rispondere alla mia domanda con un'altra domanda.» Amelia curvò lievemente le labbra in un sorriso, facendogli capire di non avere nulla contro di lui.

Loki ghignò soddisfatto. «Non sei arrabbiata.»

«Perché dovrei esserlo?»

«Ti ho rapita.»

Amelia scoppio in una risata. «Sono semplicemente venuta qui con te. Secondo te, se tu avessi avuto davvero intenzione di rapirmi, non sarei riuscita a liberarmi con i miei poteri?» Gli domandò, inarcando un sopracciglio.

Loki scosse la testa lentamente, guardandola negli occhi con profondità, un sorrisetto appena accennato sulle labbra sottili. «Allora perché sei chiusa in questa cella? Perché sei in vacanza?» La provocò.

«Sono in questa cella perché lo voglio io.» Gli rispose immediatamente.

«Sentiamo, allora perché hai tutta questa voglia di stare qui?»

«Sai il perché.» Disse senza esitare.

«Perché vuoi indietro l'uomo che ero un tempo?» Domandò ironico.

Amelia acconsentì con il silenzio, eliminando, sul nascere, quel sarcasmo negli occhi di lui.

«E' morto quando tu hai detto che lui non esisteva.»

Il cuore di lei venne attraversato da tumulti violenti e Loki poté percepirli: avevano un sapore stucchevole, misterioso, aldilà del rimorso e del senso di colpo. Solo in quel momento ricordò l'ultima cosa che Amelia gli aveva detto prima che finisse contro una parete, l'altro giorno, nell'Helicarrier, durante l'attacco.

«L'altra volta avevi detto che dovevi dirmi qualcosa.»

Amelia fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, acquisendo la consapevolezza di dover finalmente dire quello che avrebbe cambiato completamente la visione che Loki aveva di lei. «E' vero, c'è una cosa che devo dirti.»

«Non ho molto tempo, sai, ho un pianeta da conquistare.» Amelia ignorò l'arroganza di quella frase, ingoiò un fiotto di saliva e infine, si fece coraggio.

«Quella che è stata con te al Bifrost, quella notte, non ero io, Loki.»

Lui si rabbuiò di botto al ricordo. «Risparmiami le-»

«Non mi interrompere, per favore.» Gli ordinò in un misto di fermezza e gentilezza, ammonendolo. «Non ero io non nel senso che non riconoscevo me stessa per quello che quella me ha detto, ma perché non ero davvero io. Letteralmente

Loki arretrò con la testa, schiudendo la bocca per lo sgomento. «E se questa cosa assurda dovesse essere vera, chi era quella persona che fingeva di essere te?» Domandò acidamente, con un'evidente intonazione scioccata nella voce.

«In quel momento, io ero nei miei alloggi, mi stavo cambiando e, poco dopo aver indossato una blusa, qualcuno bussò alla porta.» Amelia non andò avanti con le parole, pensò che avrebbe ottenuto una sicura credibilità se gli avrebbe fatto vedere con i suoi occhi quel ricordo incastonato nella sua testa.

Così, un po' titubante, portò una mano vicino al suo viso, ma vedendo che lui non aveva arretrato una volta capito le sue intenzioni, poggiò la mano su una sua guancia ossuta.

E Loki vide ogni cosa.


«Non ti credo.» Si limitò a dire.

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