otto

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Entrammo in una piccola stanza illuminata da una lampadina arancione. I fogli erano sparsi un po' ovunque, immaginai fossi la segreteria o qualcosa del genere.

Mi voltai verso Gerard, notai che sulla guancia aveva una grossa macchia viola e l'occhio nero, chiuso.

Andai da lui e gli accarezzai il livido, con una leggerezza compatibile a quella di un uccellino, "Ma che hai fatto?"

"Vaffanculo, pensa ai cazzi tuoi" mi spinse via la mano, "Cerca la chiave della porta principale, è grande e ha un numero rosso stampato sopra" continuò dopo aver sospirato, indicando dietro di me.

Il muro era ricoperto da un pannello di sughero pieno di mazzi di chiave di ogni genere. Su ognuna di queste c'era il rispettivo numero di stanza.

Mentre cercavo quella con la stampa rossa, sentii la voce della carota dietro di me che imitava un attore di teatro, "Frank Anthony Iero, tentata rapina a mano armata all'autogrill della ventiquattresima strada... ma sei serio? A pochi metri da lì c'è la centrale!" il suo timbro tornò normale, "Che pesce che sei."

"Hey! Non è colpa mia se i miei amici sono stronzi e mi hanno abbandonato con le patatine in mano." risposi senza girarmi.

"Sei andato a rubare patatine?"

Dovevo essere importante, per questo inventai una scusa: "Sì, per la mia festa super fighissima che si sarebbe tenuta quella sera. Sai quelle con la droga e tutto ciò di illegale."

"Non me ne frega niente! Saresti stato sbattuto al riformatorio comunque con la droga, intelligente piccola cavalletta." ridacchiò.

Arrossii immediatamente, mi sentivo idiota.

"Cerca tu la chiave, io non la trovo." dissi a sguardo basso, probabilmente preso dal l'imbarazzo.

Andai a rovistare tra i vari fogli, per trovare quello di Gerard e fargliela pagare.

Lo trovai dopo un tempo indeterminato, aprii il curriculum e vidi la sua foto di lui moro. Era piccolo, un adolescente.

Iniziai a leggere, "Gerard Arthur Wa- PUAHA ARTHUR -Way." mi interruppi, ridendo come non mai per il suo secondo nome, poi ripresi a leggere in modo serio, "Omic-"

Un grande schiaffo mi arrivò dritto in faccia, obbligando il mio viso a girarsi per guardare a sinistra. Caddi per terra.

"Chi cazzo ti ha detto di guardare nelle mie cose? La buona educazione è andata a farsi fottere dalle tue parti?" mi urlò.

Sentii delle mani stringermi il collo. La pressione divenne sempre più pesante. L'aria la respiravo a fatica, mentre non trattenevo le lacrime, che come cascate scendevano dai miei occhi.

In questi casi, la paura che provavo era più forte di una bomba.

Prison • FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora