Prison • Frerard

dieci

Tutto quello che facevano da quando ero lì dentro era spingermi e chiudermi in qualche stanza.

Quella era piccola, c'era una sedia al centro e le pareti erano ricoperte da arcobaleni.

"Si può accomodare, Frank." una voce femminile mi spaventò da dietro.

Mi sedetti sull'unica sedia presente in camera, e con molta disinvoltura accavallai le gambe.

La signora mi camminava intorno, i suoi tacchi facevano rumore, la sua frangia rossa e ben curata che le copriva la fronte oscillava ad ogni passo, "Siamo molto severi qui, lo sa che non potete uscire? Solo nelle pause e col nostro permesso." si fermò davanti a me, mise le mani sui poggia braccia. I suoi occhiali per poco non mi toccavano il naso.

Rimasi zitto, fu lei a continuare "E lo sa che ora dobbiamo punirla?"

Annuii, ma non avevo affatto paura di quella donna. Le risi in faccia subito dopo.

"Oh, Frank, non sono io a fare il lavoro sporco." disse sorridendo.

Dalla porta davanti a noi entrò un uomo, con tatuaggi che coprivano ogni centimetro di pelle nelle sue braccia.

"Buona fortuna, Frank! Divertiti!" mi salutò la donna, che con un gesto della mano lasciò la stanza.

L'uomo si slacciò la fibbia della cintura, se la passò un paio di volte tra le mani. Io ero ancora seduto e lo guardavo inorridito.

Il pezzo di cuoio mi arrivò dritto sulla gamba, poi sulla schiena, e così via.

Oltre ai pugni, mi arrivarono vari calci nella parte dell'addome, facendomi piegare dal dolore.

Ero per terra che cercavo di proteggermi almeno il viso, ma ogni tentativo mi fu invano: l'uomo mi spostava le mani dalla faccia e mirava proprio lì.

Schivai molti colpi, ma ricevetti così più calci nello stomaco.

Insomma, più mi proteggevo, e più botte mi arrivavano. Dovevo rimanere fermo, apatico alla situazione e soprattutto silenzioso.