8. Time to Love PT2

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Margot si era barricata nella sua camera d'albergo e, senza neanche aprire le tende, si era lasciata cadere sul materasso, ancora vestita.

Affondata la faccia nel cuscino, convinta com'era che si sarebbe addormentata in meno di 2 secondi, dopo un bel po' dovette fare i conti con l'amara verità di non riuscire a chiudere occhio.

Si lamentò, quasi con se stessa, insistendo un po' di più contro il cuscino quasi avesse potuto indursi il sonno ma, passato un abbondante quarto d'ora, dovette rinunciarci.

Si alzò dal letto per svestirsi, solo allora accorgendosi di avere ancora la giacca che lui le aveva concesso la sera prima.

Lanciò tutti i vestiti sul letto, in un impeto quasi di stizza, e poiché non poteva dormire optò per una lunga e bollente doccia.

[ ... ]

Giunti a metà mattinata, la situazione fu alla donna piuttosto chiara; era riuscita a togliersi la stanchezza e l'odore della strada di dosso, con un po' di fortuna era riuscita a lavare via anche il profumo di lui, ma, andando avanti e indietro per la stanza, non riusciva a capire cosa non le ritornasse e cosa la facesse sentire --- così, in un modo che non poteva definire e che non voleva approfondire.

Le girava la testa, doveva essere per la mancanza di sonno e la fame; in effetti era solo sicura di aver bisogno di cibo perché in realtà il suo stomaco non era mai stato più chiuso di così.

I piedi nudi quasi consumarono la moquette, a forza di calpestarla, e ad un certo punto le gambe si rifiutarono di andare oltre e lei, al limite, si lasciò cadere distesa a terra stessa, portandosi le mani su gli occhi, quasi disperata.

Che cosa Diavolo avrebbe dovuto fare? Era così scombussolata che non riusciva neanche a capire che cosa il suo istinto le suggerisse, ammesso che le stesse suggerendo qualcosa.

Forse tutto quello che doveva fare era vestirsi e già avviarsi in aeroporto, seppur con molte ore di anticipo, poi tornarsene a casa sua, a Londra, dal suo fidanzato, da tutte le sue certezze della vita; forse doveva fare quello e basta, ed effettivamente l'idea riuscì a strapparle un sorriso appena accennato, quasi di sollievo all'idea che, attraversato l'Oceano, l'aspettava tutta la sua vita.

Forse si, avrebbe dovuto fare quello e non farsi riempire la testa da una sola serata rubata, passata a camminare sotto le stelle e a ridere; perché mettere in discussione se stessa e lasciarsi rivoltare da quel semplice dettaglio?!

Dio, era colpa di / lui /, di lui e basta, di quel suo modo di rendere tutto diverso, tutto strano, tutto assurdo e per questo bellissimo.

Doveva tornarsene a casa, si, se lo ripeté un altro paio di volte, sempre più insistentemente, e proprio in quel momento, quello in cui cominciò a dirlo più insistentemente a se stessa, si rese conto che nella sua testa stava cominciando a delinearsi un'altra idea, decisamente meno saggia.

Mentre si ripeteva che era un'idea del cazzo era già saltata in piedi, mentre aggiungeva degli epiteti poco carini indirizzati al proprio conto, era già vestita e fuori dalla porta, nell'enfasi non si era neanche accorta che, da sopra al pantaloncino e al maglione aveva indossato di nuovo la giacca di lui.

Infilò le mani nelle tasche più grandi e corse fuori, infilandosi nel primo taxi; non aveva senso, eppure sapeva, ed era l'unica cosa che sapeva in quel momento, che aveva bisogno di vederlo prima di andare, di rivederlo prima di prendere quell'aereo, adesso, alla luce del sole, il giorno dopo.

Doveva sapere e capire bene cosa le stava succedendo, doveva guardare bene cosa stava lasciando lì, per avere la sicurezza di sapere a cosa sarebbe tornata.

Si fece fermare alla fine della strada che portava alla casa di lui, da lì proseguì a piedi fino all'abitazione; arrivata al vialetto d'ingresso si sentì stupida e, facendosi ancora più piccola nella giacca che sembrava di un colpo più enorme, percorse la strada che portava alla porta a metà, prima di guardarsi indietro.

Guardò l'ingresso e il cancelletto di uscita andando avanti e indietro con la testa quasi fosse impazzita, davanti all'indecisione, poi decise di avere coraggio, si avvicinò alla porta, era quasi pronta a suonare al campanello ma --- non vi fu bisogno, perché la porta si aprì da sola.

L'uomo davanti a cui si ritrovò Margot non era di certo Jared, seppur qualcosa in lui richiamava l'altro; la donna lo riconobbe con qualche secondo di differita, riconoscendo nella figura quella del fratello dell'uomo, contemporaneamente anche l'altro, di cui lei non ricordava assolutamente il nome, riconobbe lei e per un attimo si creò una situazione di raro imbarazzo.

" Ero convinta qui abitasse Jared. "

Disse lei, di un tratto, per rompere l'atmosfera, dicendo la prima cosa stupida le passasse per la testa.

" Già, è casa sua. Solo che --- credo di averlo sbattuto fuori di qui una decina di minuti fa, per spedirlo da te. "

Quelle parole sorpresero, divertirono e al contempo imbarazzarono la ragazza che, abbassando lo sguardo con un mezzo sorriso si sentì ancora più stupida per non aver controllato quale giacca indossare prima di uscire e di essersi presentata lì con quella di Jared.

" Oh, vuol dire che --- "

Margot stava per dire qualcosa riguardo al Destino, cercando di prendere quello come un segno; se non erano riusciti ad incontrarsi significava qualcosa no?!
Probabilmente l'Universo le stava parlando, cercando di dirle che era tutto apposto, tutto ancora in asse.

Ma appunto, Margot "stava" per dire quel qualcosa, ma fu costretta ad interrompere la sua frase a metà, quando, sentendo una voce proveniente da dietro le aiuole che coprivano la strada prima di dare al cancelletto di ingresso, dovette rivedere la sua teoria.

" Mi sto comportando come un idiota. E mi ha sbattuto fuori casa senza scarpe! "

La voce che sbottava dopo un secondo fu facilmente assimilabile alla figura di Jared che, svoltato nel vialetto e alzata la testa, si ritrovò davanti due paia di occhi, rispettivamente quelli del fratello, basito, e quelli di lei splendenti come sempre.

Margot trattenne involontariamente il fiato mentre, mettendo a fuoco il viso di lui, realizzava di avere un grosso problema, oltre quello di doversi tirare da quella situazione assurda in cui si era infilata per giunta da sola; sperava che il più grande dei Leto avesse il tatto di chiudere la porta e lasciarli soli, ma effettivamente non ci sperava poi molto.

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