Capitolo 10- ...mostri, fuggiaschi...

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  Quando l'abominio emerse dal muro di abeti al limitare della piana, Godwyn percepì distintamente per la prima volta, e senza alcuna ombra di dubbio, il flusso di magia all'interno della propria carne; lo sentì sussultare, pulsare e agitarsi, alimentato dal terrore e dal panico. Fremeva per uscire dalle vene dei suoi polsi, impattava contro le catene e rimaneva lì a vorticare, a digrignare le zanne, in attesa di uno spiraglio, mentre gli occhi del ragazzino si fissavano sull'essere.

Il mostro che si stagliava di fronte ai Custodi della Fenice non aveva zampe anteriori, ma una coppia di ali nere e membranose, dai contorni scheletrici, alle cui estremità c'erano un paio di titanici artigli ricurvi su cui si reggeva a malapena. Aveva due arti posteriori, ben più massicci e dai tratti felini, sui quali si issò all'improvviso, stendendo la criniera di spessi aculei d'inchiostro che circondava il suo tozzo collo; poi ruggì. Emise un latrato stridulo e assordante, che si protrasse per svariati secondi mentre gli stormi di Malobecco si levavano in volo da ogni direzione e gli Occhiofino appesi ai rami si arrampicavano sulle cime più alte. Godwyn si tappò le orecchie, ma fu inutile; quando la creatura si zittì e cadde goffamente di pancia, affondando nella neve con gli uncini, i timpani dell'apprendista non smisero di ronzare e due rivoli di sangue biancastro gli percorsero la mascella.

Fraxinus, già in ginocchio, sbatté i palmi al suolo. Una scura luce rossa scaturì dalle sue mani e attraversò la distanza che lo separava dall'essere in una frazione di secondo; il manto innevato attorno alle membra della creatura si indurì e gli intrappolò le caviglie. Realizzando di non potersi muovere, l'ibrido si abbandonò in un basso ringhio e il suo roseo volto grinzoso e privo di peluria si contrasse, scoprendo le due fila di canini corti e triangolari. Non aveva la lingua, le sue fauci spalancate erano un abisso di cui non si scorgeva il fondo.

La pelle del torso da cui sporgevano le costole si gonfiò e l'abominio stese il collo come se stesse per rimettere. Dalla base della gola cominciò ad affiorare una sostanza dal sinistro bagliore violaceo; una parte sgorgò dagli angoli del muso e scivolò sulla neve, che si sciolse e fumò.

«State giù!» gridò Fraxinus; scattò in piedi tendendo le braccia davanti a sé e sollevandole fin sopra la propria testa. 

L'istante prima che il proiettile rigurgitato dalla bestia li investisse, uno scudo di ghiaccio sorse dal terreno; la superficie rotondeggiante sfrigolò e si liquefece, collassando su sé stessa. Godwyn tornò a osservare l'ibrido, dalla cui schiena spuntò una lunga coda ricoperta da uno spesso esoscheletro che terminava con un gigantesco pungiglione; la usò per fracassare il ghiaccio che gli imprigionava le zampe e poi la ondeggiò dietro di sé con fare minaccioso.

Vacillò e mosse qualche passo, squadrando i suoi avversari con i due fori viola che aveva al posto degli occhi, illuminati anch'essi dello stesso chiarore violetto della melma tossica che aveva vomitato.

Maestro Igor scambiò un cenno d'intesa con Fraxinus, e impugnò spada e scudo. «Arthur, porta tutti alla baita» ordinò, rifiutandosi di spostare la propria attenzione dalla creatura.

Il ragazzo, che aveva imitato il suo insegnante, strinse i denti. «Io e i gemelli potremmo aiutarvi, noi-»

«Ora» gli comandò il Custode, con un tono di voce assoluto.

Arthur espirò e stritolò l'elsa della propria arma, quasi fosse pronto a caricare il disarmonico incrocio di diverse specie, invece rilassò le spalle irrigidite e si voltò verso Godwyn e gli altri apprendisti con un'espressione risoluta.

«Andiamo» li intimò, spingendoli indietro con frettolosa delicatezza.

La maggior parte di loro scattò verso il sentiero che avevano lasciato da poco, ma Kalika e Rufus retrocessero appena e Godwyn con loro.

Le Cronache di Phoel - Il Risveglio della FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora