Capitolo 11- ...e bestie

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  Godwyn fu il primo a svegliarsi la mattina successiva. Si tirò su di malavoglia, si stiracchiò e si godette per qualche secondo la quiete; la caverna era ancora piacevolmente tiepida nonostante del fuoco rimanesse solo qualche tizzone spento e un tappeto di cenere, e il sole, sorto da almeno qualche ora, non avesse osato spingere i propri raggi nel punto in cui si trovavano gli apprendisti.

Mentre procedeva verso l'entrata, notò Kalika girata contro la parete rocciosa a un passo da ciò che restava del focolare; stringeva il fodero di Skal al petto con un atteggiamento stranamente protettivo, come se avesse tra le braccia un cucciolo e non una spada centenaria. Dormiva in modo profondo, con le penne che vibravano di tanto in tanto e le lunga ciglia cinerine che tremolavano.

Rufus era rannicchiato poco più in là, verso la parte più interna della grotta. Aveva una mano sotto la testa a mo' di cuscino, e l'altra poggiata sul pomo gemmato di quel suo particolare pugnale ondulato, che Godwyn gli aveva visto portarsi dietro persino a colazione e in biblioteca. Non riusciva a scorgerne il viso, poiché il cappuccio della cappa verde glielo copriva, ma era sicuro che fosse ancora incosciente perché la sua schiena si sollevava regolarmente a ogni respiro.

Godwyn sospirò mentre gli passava accanto, ripensando a ciò che aveva raccontato la sera precedente, in special modo dell'orribile fine che aveva fatto suo fratello Baldric. Da che ricordava, quella era stata la prima volta in cui Rufus aveva accennato alla sua famiglia o al suo passato nei nove mesi trascorsi dal suo arrivo alla Gilda. E finalmente comprendeva il motivo dietro a tanta riservatezza.

Aveva sempre pensato che Rufus fosse ancora in lutto, poiché qualunque anima nel Nord sapeva che il figlio più grande di Kohir Reilly fosse morto all'improvviso e misteriosamente; e ora che ne aveva la conferma, non poté fare a meno di provare pena per quel rampollo viziato a dispetto di quanto accaduto la sera precedente. Il suo buonsenso gli urlava di odiarlo, non di compatirlo, ma Godwyn non dava ascolto spesso al proprio buonsenso.

Giunse all'esterno e adocchiò con sospetto i dintorni, impugnando saldamente l'elsa della sua spada, pronto a scattare al minimo segno della creatura. Tuttavia, la foresta era immobile e silenziosa, a eccezione dei radi scricchiolii dei rami sovraccaricati di neve e gli occasionali tonfi ovattati della stessa.

Godwyn avanzò di qualche timido passo e si alzò in punta di piedi, scrutando il cielo plumbeo alla ricerca della scia di fumo che indicava la posizione della baita. Stava nevicando, come sempre, ma i fiocchi erano piccoli e leggeri e si vedevano appena; le nubi erano più chiare del solito e addirittura si intravedeva qualche sprazzo di celeste tra la coda di una e la testa dell'altra.

Stava per arrendersi e tornare dentro, quando una sottile colonna grigiastra in lontananza monopolizzò la sua attenzione.

«Il fumo!» urlò, saltellando sul posto con entusiasmo.

Kalika e Rufus schizzarono fuori dalla grotta con le armi in pugno, scandagliando la foresta per individuare la minaccia.

«Cos'è successo?» chiese l'elfa, stropicciandosi gli occhi di fretta.

«L'essere è qui?» Rufus girò su sé stesso un paio di volte.

«No, e non è neanche la notizia migliore!» esclamò Godwyn, indicando la colonna. «Siamo salvi, ragazzi. Ci basta seguire il fumo!»

Rufus crollò in ginocchio e affondò le dita nella neve, espirando profondamente. «Sia lode a Stigo e a Nima e a Holso... diamine, sia lode persino a Emga per averci risparmiato.»

Kalika rinfoderò Skal e si infilò le mani nella base della scarmigliata treccia cinerea. «Per la Fenice, non avrei scommesso neanche dieci minie sulla nostra sopravvivenza...»

Le Cronache di Phoel - Il Risveglio della FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora