Io e la donna bionda uscimmo fuori dalla mensa, i suoi capelli erano legati in una coda disordinata e gli occhi erano arrossatissimi.
"Hai capito io chi sono, vero?" Liz aveva il fiatone come se avesse qualcosa che le stringesse attorno ai polmoni rendendole difficile respirare.
"La mamma di Luke, vero?" Lei annuí e si posò le mani sui fianchi.
"E sai cos'è successo a mio figlio vero?" Stavolta fui io ad annuire abbassando lo sguardo.
"Mi dispiace tanto è sol-"
"Non dire cazzate, non è colpa tua e ora vieni con me, ho già chiesto il permesso a Lacey, vieni con me in ospedale."
"Davvero?" sulle mie labbra rosse comparí un mezzo sorriso. Mi sarei aspettato qualche insulto e uno sputo in faccia magari, non un passaggio in ospedale.
"Si, muoviti che ci vuole un po' ad arrivare in ospedale."Non so se voi vi siate mai ritrovati in auto con la madre del vostro quasi-ragazzo suicida, ma vi assicuro che è piú imbarazzante di quanto si possa immaginare. Ho provato a cercare alcuni spunti di conversazione, ma cosa avrei potuto dire? "Sa, il buco del culo di suo figlio è molto elastico." "Si, l'attivo ero io ma Luke è proprio bravo a fare le seghe." "Hey, anche suo marito usa i preservativi profumati alla mela? Penso che sia strano ma se è una sorta di tradizione di famiglia è carino."
Si, insomma, siamo stati in silenzio tutto il tempo. Il momento piú eccitante del viaggio è stato quando alla radio hanno passato we can't stop alla radio e mi sono ricordato di quanto sia figa Miley Cyrus.
Finalmente siamo arrivati all'ospedale, scendo dall'auto e continuiamo a stare in silenzio. Chissà cosa pensa di me lei. Sono sicuro che mi adora, altrimenti non sarebbe venuta a prendermi no?
Entriamo dalle grandi porte di vetro, gli ospedali sono sempre dannatamente bianchi, sempre dannatamente protumati di detersivo e sempre dannatamente tristi. Odio venirci, l'ultima volta in cui ci sono stato è stata l'estate di due anni fa quando mi spezzai il braccio. Ma in generale associo gli ospedali alla morte di papà, e a quello tutte le notti passate su quelle sedie scomode, le colazioni fatte dalle merendine alla macchinetta e le lacrime di mamma che sembravano non finire mai. Liz mi accompagnanò fino all'ascensore, poi si fermò a guardarmi.
"Io raggiungo il resto della famiglia in caffetteria, tu sali fino al sesto piano, camera 7B." annuii e mi misi le mani in tasca. L'ascensore era enorme, c'eravamo solo io, un infermiere e un'altro paio di persone. Ero voltato verso il grande specchio, dando quindi le spalle alle porte di metallo. Guardavo i miei occhi lucidi riflessi nello specchio e mi sembrava di vedere un estraneo, anzi, piú che un estraneo mi sembrava di vedere il me bambino, quello che per guardarsi negli specchi degli ascensori si alzava sulle punte, che ringraziava sempre tutti gli infermieri perchè giocavano con lui. Poi smisi di farlo, capii che giocavano con me perchè mio padre stava male, non perchè ero un simpatico biondino.
Dicono che c'è un momento ben preciso in cui la vita di una persona cambia, e il mio è stato il giorno della morte di mio padre. Ho iniziato ad essere piú rude, meno gentile, a tingere i miei capelli per dimenticare che erano fottutamente uguali a quelli di mio padre. Ho iniziato ad imprecare e dire parolacce perchè lui non lo faceva mai, e se potessi mi sarei estirpato gli occhi pur di non averli uguali ai suoi. È questo quello che vedo nello specchio. Un ragazzo che non vuole, e ci prova in ogni modo a non esserlo, ma che è uguale a suo padre. È questo quello che vedo allo specchio, quando sogno e quandl respiro. Mio padre, solo lui.
Trascinai il mio culo fuori dal piccolo abitacolo e mi diressi verso la 7B. La porta era chiusa, bianca, e piena di graffi. I battiti del mio cuore sembravano piú forti riuscivo a sentieli nonostante il rumore. Aprii la porta e vidi quel lungo corpo pallido sulla barella, tanto fili, tanti bip e tante lucine verdi e gialle. La stanza era minuscola, accanto alla barella c'era un tavolino e tre sedie. La luce era giallognola, dio quanto le odio le luci giallognole, fanno sembrare tutto vecchio e triste. Su una delle sedie c'erano un paio di giacche abbandonate, probabilmente dei fratelli di Luke o qualcosa del genere. Presi una sedie e l'avvicinai alla barella. Il viso di Luke era rilassato. Non corrucciato, ne triste, ne inespressivo, rilassato.
"Cos'è per te? Una specie di pausa-dalla-vita Luke? Riesco a vederla la tua anima buttata su un divano a fare una maratona di Grey's Anatomy , con tutte le lattine di fanta sparse intorno a te. O forse la tua anima è qui doeteo di me che prova a giocare coi miei capelli, quelle cose romantiche alla Ghost. Ammesso che tu abbia un'anima..." presi un respiro e mi abbandonai sullo schienale della sedia.
"Mi dispiace che l'ultima volta che mi hai parlato prima di ammazzarti sia stata una litigata. Anzi, non ricordo nemmeno se lo era, non ricordo l'ultima volta che abbiamo parlato, ma so che non ho detto ciò che avrei voluto, non avrei mai voluto un ultima conversazione porca troia!" mi alzai dalla sedia e mi avvicinai alla scrivania, notando un pacchetto di sigarette e un accendino abbandonati lí. Un paio di volte mi era già capitato di fumare, cosí ne presi una, mi avvicinai alla finestra e l'accesi.
"Mi sento in colpa Luke. Mi manchi e continuo a non capire perchè cazzo tu l'abbia fatto. Perchè non hai provato a restare vivo? A restare vivo per me, che no, non sono un bastardo, non dovrei neanche stare cosí male perchè non è colpa mia. Sai l'unico risultato che hai ottenuto qual'è? È una nuova crepa nella mia memoria, una mia speranza in meno sul fatto che qualcosa di bello esista, una lacrima in piú sul mio viso e un vaffanculo in piú nei miei discorsi. Ma io ti amo Luke. Torna presto perchè ti amo."
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Insecure;Muke [COMPLETA]
FanficUn ragazzo: Michael Clifford. Capelli momentaneamente rossi, occhi verdi, orfano di padre, irispettoso verso il prossimo e con un senso di giudizio delle situazioni pari a zero. Un'altro ragazzo: Luke Hemmings. Capelli biondi, occhi azzurri, pierc...