Cap 11

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Ella pov

Come ogni benedetto sabato della settimana dopo le lezioni ho gli incontri con la psicologa Melany Jefferson.

Sono stata obbligata dalla preside a frequentarli,  solo perché le arrivavano voci dai proffessori che mi comportavo in  modo strano alle lezioni, quella stronza.
Sbuffo mentre apro la porta dello studio 《salve》saluto la donna seduta composta dietro alla scrivania nera.
L'arredamento è  completamente moderno, con mobili neri e lucidi come il divano e le sedie.
La piccola libreria è  stracolma di libri di vario genere.
Qualche quadro d'arte insieme a delle sue foto personali sono appese alla parete.
Melany sposta lo sguardo su di me, con i suoi occhiali neri poggiato sul naso. 《Ciao Ella.》 Sul suo viso si forma un radioso sorriso. 《Hai fatto quello che ti avevo chiesto?》 Domanda, mentre io vado a sdraiarmi sul divano in pelle nero, tirando fuori dalla tasca della felpa il foglio che mi ha chiesto di portare.

《Sì solo che questa volta ne ho combinata una grossa.》 Dico, avvolta dai pensieri, la tristezza e il ricordo di domenica, di Sorin e  ciò che è  accaduto.

《Parla, sono qua per ascoltarti.》 Dice atona iniziando ad appuntare qualcosa sulla mia cartellina.

《Era mattina presto e non riuscendo ad riaddormentarmi sono andata a fare in giro in città per negozi.
Poi la vetrina di una farmacia ha colpito la mia attenzione.
Su uno scaffale sostava lo stesso medicinale che il medico aveva chiesto a me, una bambina, di farle prendere regolarmente a mia madre, due pastiglie al giorno.
Sono entrata li dentro e le ho comprate, così  d'impulso.
Uscita da li durante il viaggio di ritorno al dormitorio ho consumato quattro di quelle pillole.
All'inizio tutto bene infatti sono andata nel giardino scolastico a sedermi sotto un albero.
Tutto ad un tratto aveva iniziato a diluviare e non so bene cosa sia scattato in me alzandomi di colpo e assaporando ogni singola goccia, sperando che potesse affogarmi.
Stavo bene. Era tutto strano, ma piacevole. Vedevo come vedeva lei. Ed è lì che ho scritto quello che lei mi ha chiesto.
Stavo talmente bene che non mi accorsi subito di un mio compagno di scuola fosse a pochi metri da me a fissarsi e nonostante potevo parere una pazza, rimase li, stupito, curioso, bramoso di sapere.
Mi disse che mi sarei ammalata ed io ribattei  dicendo che tanto volevo morire e a quel punto mi venne a prendere di forza e nel viaggio verso scuola sono svenuta, risvegliandomi poi nella mia stanza.》 Prendo fiato e provo a stare tranquilla.

《Cosa hai scritto?》

《 Adesso so cosa provò lei, adesso vedo come vedessi con i suoi occhi, so come suo marito le ha rovinato la vita è lei adesso è lontana da me.》 Pronunciovle parole a memoria, non ho smesso di pensarci alla notte, ma la mia mente è  ancora a quella giornata la, come se non fosse in grado di andare avanti.

《Capisco, per oggi è  tutto Ella, lascia qua il foglio e vai pure al lavoro. Il prossimo sabato ne riparleremo.》 Dice.
Annuisco,  mi alzo prendendo la borsa e porgendole il foglio.

Esco da li e mi dirigo al bar.

《Ciao Ella, come è andata oggi?》 Chiede la mia collega già intenta a preparare ordini.
《Il solito Ele, mi cambio e arrivo.》

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Tra un ora chiudiamo il locale ed è  ancora affollato, sono le undici di sera e la città sembra più viva di oggi pomeriggio.

Sto servendo una coppia di ragazzi e dall'ingresso fanno la loro comparsa Sorin e Brian che vengono scortati da Ele  dall'unico tavolo, in fondo alla sala, libero.

《Ella.》 Mi richiama quest'ultima. 《Potresti servire te quei due ragazzi, io ho da fare le ordinazioni per quei marmocchi viziati.》 Fa una smorfia indicando il tavolo.
《Tranquilla ci penso io. Fossi in te quei bambini li ucciderei. 》ridiamo entrambe alzando gli occhi al cielo.
《Grazie.》 Mi manda un bacio volante e torna al lavoro, così come faccio io.

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