Capitolo 1

155 13 4
                                    

Adoravo la pioggia, piccole e indifese goccioline che unite, formavano una grande forza, capaci di creare anche danni irreparabili.

Era trascorso esattamente un anno, dodici mesi dal momento in cui mi ero ritrovata in un letto d'ospedale con una flebo nel braccio non ricordando assolutamente nulla, né come ci ero arrivata, né chi mi aveva portata.

Tentai più volte di ricavare qualche informazione dai miei genitori, tuttavia essi apparivano più sconvolti e impressionati di me.

Era alquanto deprimente la sensazione di essere impotenti, di non rammentare, di rispondere soltanto con un'alzata di spalle alle domande che mi venivano poste.

Eppure non era stato rimosso completamente dalla mia mente, riuscivo a ricordare soltanto la sensazione di essere alzata da terra e, cosa più importante, quella di cui non mi sarei dimenticata facilmente, erano un paio d'occhi imperscrutabili e al tempo stesso compassionevoli.

Quando portata al pronto soccorso riconobbi le figure agitate e in preda all'ansia dei miei genitori, la prima cosa di cui mi occupai fu quella di sapere chi fosse stato il mio "eroe".

Inutile dire che si guardarono confusi, come se avessi parlato in una lingua araba, comunicandomi che i medici mi avevano trovata svenuta su una panchina.

Capitava di frequente però che durante la notte sognassi scene frammentarie del giorno della sparatoria, ero sicura di aver avuto accanto a me delle persone a cui dovevo la vita, ed era mio dovere riuscire a trovarle. 

Trascorsi le successive settimane sempre in ospedale, con il tempo riprendendomi e scoprendo inoltre che mi avevano operata per togliere un proiettile che poteva toccare il polmone destro. Mi sembrava di vivere una situazione irreale, inconcepibile.

Con il passare del tempo mi ci abituai, e impiegai i mesi successivi a tentare di rintracciare quel misterioso ragazzo.

Tutti i miei sforzi, purtroppo, furono vani, e mi arresi dopo neanche un anno, finché non venni ad essere protagonista di una vicenda che avrebbe cambiato totalmente il mio modo di vivere.

Stavo correndo sotto la pioggia verso la mia scuola, non facendo caso ad una voce che mi stava chiamando da dietro. Mi voltai immediatamente, e mi trovai in un abbraccio caldo e sincero che avrei potuto distinguere tra mille.

"David!" sorrisi al mio migliore amico.

"Kate! Che fatica starti dietro..." rispose affannando. "Come hai passato le vacanze?" aggiunse.

"Bene, abbastanza monotone, a dire la verità" replicai rincominciando a camminare verso l'ingresso della scuola. "A te?" gli domandai.

"Molto bene! Ho fatto nuove conoscenze" affermò ridacchiando.

"Mmm... Bionda o bruna questa volta?" gli chiesi nuovamente stampandomi un sorriso sul volto.

"Stai perdendo i tuoi poteri Katy, è rossa. Penso di essermi innamorato..." proferì con aria sognante.

Alla sua dichiarazione risi di gusto, cercando di non calpestare le sue speranze. David era un ragazzo molto carino, gentile e intelligente e, volendo, poteva avere le ragazze più belle. Il suo difetto era che saltava a conclusioni affrettate, e che spesso credeva in cose fittizie.

"Guarda chi c'è!!" esclamò felice. "Samantha!" la chiamò. Era particolarmente euforico in quel tempo, evidentemente aveva ancora gli effetti del caldo dell'estate.

Samantha si voltò, si congedò dal suo gruppo di "popolari" e venne verso di noi. Era la capogruppo delle cheerleader ma, diversamente dagli stereotipi che descrivevano nei film, era una ragazza gentile e disponibile.

Fidati di meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora