Parte VI: Un po' di me, un po' di te

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Dopo una lunga dormita, i due si svegliano, stropicciano gli occhi e si stiracchiano. Non è poi così comodo dormire stesi sulla sabbia, ma riescono a godersi, giusto in tempo, l'alba.

Il sole spunta all'orizzonte, lentamente, e si leva quieto verso il cielo. I suoi raggi si diffondono nell'atmosfera, che restituisce colori sgargianti. Il rosso acceso si mescola all'arancione, sopraffatto da un leggero rosa, che sfuma e addolcisce l'insieme cromatico.

Gli occhi di Leo si riempiono di meraviglia, mentre Ace è come attratto da quella sfera luminosa.

Però, non è detto che un momento così tranquillo, non possa essere scosso dal grigiore della trsitezza.

Leo comincia a singhiozzare, di punto in bianco, coprendosi il volto, per non farsi vedere dal compagno.

«Ti sei commosso fino a questo punto?» Chiede Ace scherzando, credendo che Leo stia simulando un pianto, senza sapere cosa si nasconde dietro quel reale sconforto.

«Sai, per un attimo mi è sembrato di aver visto la mia mamma...»

Ace viene colpito come un fulmine a ciel sereno, ascoltando le parole del ragazzo.

Vorrebbe comprendere meglio la reazione inaspettata di Leo, quindi, incuriosito, prova a indovinare.

«Will era venuto per riportarti da lei? Tua madre ti sta cercando?»

Il moro scuote il capo, per poi aprirsi.

«Se fosse stato così, sarei stato felice di rivedere anche uno come lui.» Il ragazzo trattiene altre lacrime, che vorrebbero liberarsi e scendere indisturbate sul suo viso. «Lei... lei non c'è più Ace. Sono un mostro... un mostro.»

Il corvino rimane a fissarlo, prima di metabolizzare cosa ha appena sentito. Comincia ad agitarsi, non comprendendo cosa intenda l'altro.

«Che cosa? Un mostro? Lei non c'è più, perché? Guardami, Leo!» Il tono poco rassicurante di Ace, induce il ragazzino a raggomitolarsi sulla sabbia.

Ansimante, balbetta e continua a raccontare in modo confuso.

«Io! Io... è colpa mia! Un fuoco... poi... contro di me, io... ma... cosa potevo capire?!»

Ace pende completamente dalle sue labbra, gli si avvicina e prova a confortalo. Riesce a calmarlo, anche se di poco, e lo esorta a ricominciare il racconto.

«Avevo cinque miseri anni, quando quella venne da me. Mi provocò e io non mi controllai. La furia si strasformò in fiamme e così uccisi la mia adorata madre... Io!» Leo si lascia andare completamente e si prende a pugni il petto, irato e disperato.

Quel ricordo così lontano, è ancora così vivido.

Ace gli afferra i polsi, nel tentativo di frenare la frustrazione che si è impossessa di Leo, senza preavviso.

«Adesso, basta. Fermati

Il corvino si siede a terra, di fronte al ragazzo.

«Leo, mi dispiace per tua madre. Non sei costretto a raccontarmi cos'è successo. Adesso calmati, va tutto bene."

Il corvino, con il volto serio, fissa il ragazzino negli occhi.

L'altro lo guarda, smettendo di piangere, ma commenta sottovoce: «Io sono un demone, Ace.»

Il corvino si sente mangiato dalla rabbia, non riuscendo a sopportare più la tensione e si alza di colpo.

«È questo che ti hanno detto?» Sembra quasi una domanda retorica. «Lo dicono sempre anche a me. Quando ti senti chiamato il quel modo, ti crolla il mondo addosso. Ma, Leo non devi permettere che quelle parole ti facciano cadere.»

Il moro, non volendo, ha aperto una dolorosa ferita, impressa nel cuore di Ace. La sofferenza, non è invisibile, purtroppo viene compresa soltanto da chi condivide il medesimo sentimento.

«Ace, anche tu hai qualcosa che dovresti dirmi, giusto? Ormai, siamo in vena di confessioni,» commenta Leo con voce sommessa, abbassando lo sguardo.

In effetti, il ragazzo dai capelli corvini si confessa, non riuscendo più a contenere ciò che lo tormenta da tempo.

«Io non sarei mai dovuto nascere. Quando ero piccolo, gli adulti me lo ripetevano spesso.»

Leo ascolta con attenzione, guardando il volto di Ace carico di risentimento. Sente esattamente lo stesso dolore.

«Io mi sentivo solo e ancora adesso, non trovo un senso a ciò che sono. Se dovessi morire domani mattina, non me ne fregherebbe niente. Mia madre morì non appena io vidi la luce e non riesco a perdonarmi, perché la mia nascita è stata la sua morte.»

Ace si interrompe, poi chiude il discorso. «Mi sono dilungato abbastanza, lasciamo perdere.»

Leo si alza, scosso dalla storia del corvino, che sembra ripercorrere quella che grava sulle sue spalle.

Entrambi, non riescono a non guardarsi intensamente negli occhi, scavando a fondo in quegli animi ingiustamente tormentati, nascosti dietro falsi sorrisi.

Ace si sente come sollevato, riesce a comprendere meglio il ragazzino che all'improvviso è piombato nella sua vita, sollevando la maschera che ne copriva il dolore; mentre Leo, si immedesima sempre di più in quel ragazzo dall'aria seriosa, che sembrava essere uno scrigno impossibile da aprire, ma che ha rivelato la sua normale fragilità.

"Intreccio Di Fuoco"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora