Papà

37 5 0
                                    

<<Okay, ora direi che va, meglio.>> metto la testa nell'armadio e ora odora di detersivo chimico, ma sempre meglio di prima.

Mi mamma scende al piano di sotto e io lascio l'armadio con le ante aperte così che l'odore svanisca. Mi sdraio sul letto e come immaginavo fa rumori inquietanti, per non parlare del materasso con le molle rotte. Va bè Brenda, adeguati, insomma forse potreste partire tra una settimana e tornare a casa, ma poi ricordo la telefonata tra mio papà e il suo datore: si lo so, potrei impiegarci mesi ma sono sicuro che ce la faremo, stia tranquillo.

Io e mia mamma non ci siamo mai dovute trasferire insieme a lui per il lavoro. Non che questo abbia permesso di avere una famiglia come quella della pubblicità Barilla, era come se mia madre fosse vedova, non passavamo mai più di una settimana con lui, e durante tutta la settimana lui stava al computer mandando mail e organizzando il suo prossimo viaggio di lavoro che come sempre sarebbe stato lontano da casa.

Mi ricordo che quando ero piccola guardavo i figli dei vicini e li odiavo, il loro papà era sempre a casa il sabato e la domenica, li portava a fare scampagnate e durante la settimana trovava sempre il tempo di insegnargli a andare in bici, con i roller o saltare con la corda. Una volta voleva persino insegnare a suo figlio di 14 anni a guidare la macchina, con come risultato l'aiuola completamente distrutta, eppure era felice e rideva perche suo figlio ci aveva almeno provato. Quando li guardavo dalla finestra del salotto mi si chiudeva lo stomaco e provavo un odio profondo nei loro confronti, ero invidiosa della loro vita così normale e felice, mentre la mia era un cavolo di filo tutto ingarbugliato. Ecco lo sapevo, non devo pensare a queste cose altrimenti mi viene da piangere, mi alzo, prendo un fazzoletto e le cuffie, le metto e schiaccio la prima canzone che mi capita: Touché di Mezzosangue, ultimamente sto ascoltando solo lui, forse perché anch'io sono incazzata con il mondo che mi circonda. Chiudo gli occhi e navigo sulle sue parole, sulla sua rabbia finché non mi addormento.

Sento urlare dal piano di sotto, mi alzo e mi gira la testa. Sono super rincoglionita che quasi non mi ricordo dove sono, è ormai sera e dalla finestra quel masso così grande e scuro mi rassicura al posto di spaventarmi. Metto le ciabatte che mia mamma ha gentilmente messo vicino al letto e scendo le scale a rallentatore. Non capisco chi stia urlando, sono troppo frastornata dal sonnellino pomeridiano e quindi mi siedo negli ultimi due gradini e origlio la conversazione.

<<Non puoi sempre scappare da noi, siamo la tua famiglia! Ti rendi conto di come sia vivere da sola sempre? Con una bambina da crescere? Ti sei mai chiesto chi ha insegnato tutto quello che sa Brenda? Ti sei anche solo minimante fermato a pensare che Brenda ora è una donna e tu non sai niente di lei? E sei consapevole di avere sposato quella ragazza così introversa e strana e di averla abbandonata in quella cazzo di casa mentre le promettevi, fintamente a questo punto, un amore eterno e che sareste stati sempre insieme? Marco davvero io non ce la faccio più. Pensavo che questo trasferimento fosse la svolta, pensavo che ci aiutasse a stare più vicini, a conoscerci, perché guardiamoci, ci conosciamo veramente? No, io non ti conosco, non sei lo stesso ragazzo dolce e gentile che ho sposato, sei un stronzo egoista ecco cosa sei!>> sento dei passi e mia mamma corre verso le scale piangendo, vorrei scappare in camera, ma sono ancora un po' frastornata e l'unica cosa che faccio è alzarmi e guardare mia mamma venire verso di me.

<<Che ci fai qui? Non eri a dormire?>> non so neanche come giustificare il fatto che stavo origliando la conversazione, mi sposto e le lascio salire le scale, la guardo e provo una tenerezza infinita verso di lei. Ho sempre saputo che non era facile per lei la situazione in cui vivevamo eppure non ho mai fatto nulla per aiutarla, anzi le ho sempre creato problemi, come quella volta che ero scappata di casa insieme a Johnny e avevamo deciso di vivere nel bosco vicino a casa, abbiamo resistito due giorni, mangiando delle bacche e la resina dei pini (non la consiglio) e poi ci avevano trovato, piangeva e mi abbracciava tremando. Ero arrabbiata e me l'ero scollata di dosso dicendo che stavo benissimo e che ero grande ormai, avevo solo 15 anni. Ancora oggi ripensandoci mi chiedo cosa avevo nel cervello...

<<Cos'hai sentito?>> mi giro e vicino al divano mio papà mi guarda, vorrei dirgli di non aver sentito niente, ma è palese che io abbia sentito qualcosa. È lì in mobile che mi osserva, non è preoccupato, nemmeno arrabbiato, sembra indifferente alla situazione in cui lui stesso ci ha messo. Si va a sedere sul divano accavalla le gambe e continua a fissarmi <<Ho sentito le ultime cose che ti ha detto la mamma e basta.>> sorride, sembra quasi un ghigno, come quelli che fanno i cattivi nei film. << Sai Brenda, vorrei per una volta parlarti, da padre a figlia, tra poco farai diciott'anni e non voglio che tu pensi che io sia stato una cattivo padre, perché non lo sono. Tutte le cose che avete sono grazie a me e al mio lavoro, non avete nulla di cui rimproverarmi.>> sento le guance scaldarsi e dentro di me si infonde una rabbia talmente grande che mi sorprendo di me. Continuo a guardarlo e incrocio le braccia, aspetto che continui ma non lo fa, mi avvicino e lo guardo dritto negli occhi <<Non abbiamo niente di cui rimproverarti? Ma che cazzo dici? E soprattutto vieni a dirmi di non pensare che tu sei un padre cattivo? Tu non sei proprio un padre! A malapena so che esisti, non abbiamo mai condiviso niente io e te! Si forse le cose materiali, ma sai quanto me ne frega delle cose materiali che ci hai comprato? Niente!>> sento le lacrime scendere sulle guance calde, mi giro, prendo la felpa appoggiata alla sedia e esco, lo sento chiamare il mio nome ma ormai sono per strada, senza una meta e in compagnia solo della mia rabbia.

Musica cicatreneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora