7 - Paura dei sentimenti

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Capitolo 7
Paura dei sentimenti

25 settembre 2016


Per rendere ulteriormente una merda queste settimane ci mancava solo questo ennesimo, inutile pareggio con il Milan.
Poggio le mani contro le piastrelle umide della doccia qui al Franchi, la testa bassa sotto il getto d'acqua bollente.
Lo spogliatoio è praticamente vuoto, ho aspettato di essere solo per andarmi a lavare.
Chiudo gli occhi e spero che tutti i problemi scivolino via proprio come le gocce di sudore dal mio corpo.
E per problemi non intendo solo questa scia più che mediocre della squadra.
Non vedo Giulia da quella mattina, quando me ne sono andato da casa sua dopo aver fatto... sesso? No, dopo aver fatto l'amore.
O meglio, non ho voluto vederla, fingendo di aver così tanti impegni da non trovare uno spiraglio di tempo per un'uscita.
Mi sento di merda.
Lo sapevo, si è innamorata di me, glielo leggo in quegli occhi dolcissimi e la cosa è così fottutamente meravigliosa... e terribile, al tempo stesso.
Ciò che mi ha fatto provare quella notte è stato incredibile, non mi sono mai sentito così amato come in quel momento.
E la cosa che mi spaventa è che per me è lo stesso, cazzo.
Se è vero quel che dicono tutti, sulle farfalle nello stomaco, gli occhi solo per lei, il cuore a mille... Cristo, allora mi sono innamorato sul  serio.
Ma io non so niente dell'amore, porca puttana.
Mi  sembra di essere ritornato ragazzino, tutto dubbi ed incertezze e l'emotività a duemila. Solo quando sono in campo sono un leone.
O quando sono con Giulia.
Con lei mi sento invincibile, la proteggerei da qualunque cosa... ma al tempo stesso non posso, non posso stare con lei.
Non sono pronto per questa storia, così tanto intensa da farmi tremare le ginocchia.
Anche la mia fronte incontra le mattonelle bagnate, mentre respiro pesantemente.
Stasera non andrò all'appuntamento, sparirò dalla sua vita e sarà meglio per entrambi, o almeno spero...
Dopo essermi stretto un asciugamano in vita mi lascio cadere pesantemente su una delle panche, passandomi una mano sul viso.
Sono esausto e non solo per la partita.
Afferro il telefono, per chiamare l'unica persona che potrebbe dirmi le parole giuste in questo momento: il mio migliore amico, Danilo Cataldi.
Risponde al terzo squillo, con la sua solita voce allegra.
"Federì! Eccote qua!"
"Sto combinando un casino" dico solo e so che lui ha già capito.
Lo sento sospirare.
"C'entra Giulia"
"Stasera non vado"
Con Danilo non c'è bisogno di perdersi in dettagli, ci intendiamo con poche semplici parole, sia in campo che fuori.
"Ma perché?! Pensavo ti piacesse!"
"Col  cazzo che mi piace Danì, io c'ho completamente perso la testa" ammetto, per la prima volta ad alta voce, con un tono a dir poco  sofferente.
"E allora vai, porca troia, vai lì e vattela a prendere!"
"Io non... non posso Danì, cazzo, non posso"
Scalcio con rabbia il borsone ai miei piedi, allontanandolo di un paio di metri.
Ho i nervi a fior di pelle.
"Ma lo vedi Federì che ti fai tutte paranoie inutili? Qual è il problema?! Non esiste il manuale della storia d'amore ideale, per la miseria, né veniamo al mondo con i geni del perfetto fidanzato quindi piantala di cercare scuse stupide. Sarà facile? Non sempre. Ma starai bene. Sarai felice, come lo sono io con Elisa. Le faremo conoscere, faremo quelle  uscite a quattro in cui si ride come matti... e tu sarai amato. Ed amerai. E poi mi dirai se c'è qualcosa di meglio"
Mi mordo il labbro fino a sentire in bocca il sapore metallico del sangue.
Non provare a confondermi ancora di più Danilo, cazzo, non ci provare.
"Federì"
"Sono qua" rispondo stancamente, i gomiti poggiati sulle ginocchia.
"Io non conosco Giulia di persona ma da come ne parli so che non è una come tutte, non fare cazzate Federico, non stavolta"
"Senti, devo andare..."
Non posso continuare questa conversazione, a momenti mi manca l'aria.
"Fede non...–" attacco, scusandomi mentalmente con il mio migliore amico.
Finisco di prepararmi il più lentamente possibile e mi trascino fino al parcheggio, per poi salire in macchina.
Guido praticamente alla cieca, affidandomi più che altro alla quotidiana memoria, fin quando non giungo alla rotonda.
Uscita a destra: quartiere del Centro Storico, dove vivo io.
Uscita a sinistra: villa comunale dei Passeri, dove ho l'appuntamento con Giulia a cui avrei dovuto presentarmi un'ora fa e per il quale sono ancora in tempo perché, lo so, lei sarà ancora lì ad aspettarmi.
Chiedo scusa a Danilo per la mia testa troppo dura.
Chiedo scusa a Giulia perché sono troppo codardo per affrontare i miei sentimenti.
Chiedo scusa a me stesso, perché sto facendo la più grande cazzata della mia vita.
E poi svolto a destra.
Stringo tanto forte il volante che mi si sbiancano le nocche e con la mascella serrata guido nel traffico di Firenze, fino a parcheggiare fuori al vialetto di casa una ventina di minuti dopo.
Trattengo il respiro  per qualche secondo prima di sbattere violentemente il pugno contro il  volante e prendermi il viso tra le mani.
Cazzo.


***


Stasera  a Firenze fa freddo, non c'è un filo di vento ma per la prima volta dalla fine dell'estate è proprio l'aria ad essere gelida.
Mi stringo nel mio cappotto, muovendomi a disagio su questa panchina sulla quale sono seduta ormai da due ore.
Sto provando a non pensare perché altrimenti potrei perdere completamente il controllo di me stessa.
La partita è finita e la Fiorentina ha pareggiato.
Se Federico avesse voluto venire, sarebbe già arrivato da un pezzo.
Il parco è buio, illuminato qua e là dai soliti lampioni e non c'è anima viva, ma non ne sono spaventata.
Non c'è spazio nella mia testa e nel mio cuore per la paura, perché il peso dell'assenza di Federico occupa gravosamente il mio petto.
Lo chiamo per la quarta volta e per la quarta volta non mi risponde.
Così come non ha risposto su Whatsapp.
Così come non ha risposto ai messaggi.
Chiudo gli occhi e lotto con me stessa per non piangere ma accidenti, non ci riesco.
L'ho sentito così maledettamente distante da quella dannata – stupenda –  notte, mi ha sempre evitato ed io, come una cretina, ho sperato che fosse solo l'imbarazzo.
Gli avevo dato appuntamento qui per dirgli che lo amo, cazzo.
Le lacrime solcano inevitabilmente le mie guance ed io serro le labbra, impedendomi di produrre qualsivoglia lamento.
Se iniziassi non la smetterei più.
Federico se n'è andato e con lui un pezzetto di me.
Si è pentito, forse, non lo so...
Non riesco a pensare che mi abbia preso in giro ma ah, è così difficile credere in qualcosa in questo momento.
Mi alzo, stringendomi in me stessa come fossi un riccio, e cammino lentamente verso l'uscita, mentre gli occhi cominciano a bruciarmi per il freddo e le lacrime.
Tanto, lo so, Federico non verrà.








"Un giorno mi dirai,
che un uomo ti ha lasciata
e che non sai
più come fare a respirare
e a continuare a vivere.
Io ti dirò che un uomo
può anche sbagliare lo sai.
Si può sbagliare lo sai.
Ma se era vero amore
è stato meglio
comunque viverlo"

Philophobia | Federico BernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora