Camminavo a passo lento ma ambiguamente deciso, il capo era chino, lo sguardo fisso sui miei passi e la mente trasportata su un altro pianeta. Pensava, ragionava, quasi litigava con sé stessa, incapace di accettare quella realtà che mi teneva stretta come tra le mensole di una casa. Ero come un giocattolo, impassibile, mosso a piacimento degli altri, che teneva silenzioso le sue ferite.
Ferite che tentavo di alleviare con la migliore forma di espressione comune: la musica.
Non conoscevo l'esatto istante in cui era iniziata e in quale modo, ma ad un tratto la musica era diventata parte del mio essere. Un qualcosa di essenziale di cui non potevo fare a meno, e no, non come l'aria, ma come l'amore. Quell'amore che mi era stato strappato con foga senza che io potessi fare nulla per riprenderlo, senza lasciarmi un'opportunità.
E un amore di mamma, invece, sopraffatto dall'amore per un altro uomo, un uomo diverso, un uomo per me inaccettabile.
Un uomo che non era mio padre.Senza rendermene conto mi ritrovai dinanzi la porta di casa e, sospirando, cacciai dalla tasca inferiore dello zaino le mie chiavi. Infilai la più grande nella serratura, e guardando di sfuggita il ciondolo a forma di fiore che pendeva, girai verso sinistra per poi spingere. Avanzai dentro quella struttura, sfilando le chiavi e chiudendomi la porta alle spalle senza procurare alcun rumore. Mi diressi verso la cucina, soffiando per spostare una ciocca ribelle di capelli caduta sul viso, scoprendo l'immagine di un incubo.
Il compagno di mia madre era in ginocchio di fronte a lei, porgendole una bluastra scatolina schiusa dalla quale sfoggiava un anello.
Il mio sguardo puntò prontamente sull'espressione della donna che mi aveva messa al mondo, sorpresa mista a gioia. Allora alternai la visuale, prima ad uno e poi all'altra.«No, mamma, non puoi farmi questo» La mia voce suonò come un grido di disperazione, forse anche di aiuto.
Mi guardò: confusa, delusa ma ancora una volta sorpresa.Avvertii gli occhi pizzicare e storsi la bocca per reprimere un singhiozzo, prima di correre via.
Il corpo iniziò a pesare: dolore, rabbia, solitudine, un macigno più grande di me si imponeva di essere portato dalle mie fragili braccia. Le labbra si schiusero ansimando, stanche, sfogandosi in un repentino singhiozzo. Una mano abbassò la maniglia in ottone, entrai, sprofondando in quella stanza strepitante di ricordi. Allora caddi su quella poltrona, il mio viso ormai rigato da copiose lacrime, il corpo tremolante. Potevo quasi udire la mia anima inquieta gridare di un ardente desiderio di calma, di pienezza. Le dita si strinsero ai braccioli, la vista si offuscò a causa dell'eccessivo pianto e i rumori che mi circondavano si ovattarono.'Bambina mia' Mi sussurrò una dolce voce.
La sua voce.
Una carezza, un bacio, un'illusione.
Un sorriso comparve tra le lacrime, come il sole durante la pioggia, così strano e imprevedibile.
'Sono qui, bambina, per te' «Qui, per m» Ripetei, risi subito dopo, forse consapevole di quella falsa immagine. Inclinai il capo, e quella curva sulle labbra si trasformò in una dura linea.
Poi non so cosa successe, liberai un urlo liberatorio, numerosi cocci furono disparsi sul tappeto indiano e le mie palpebre si chiusero lasciando posto al buio, che lentamente mutò in un sogno irrealizzabile.Le sue dita erano lunghe, logorate, per niente morbide, reduci di grande fatica in un lavoro durato anni, eppure sulla mia gote sembravano essere più soffici di una piuma. Sospirai dolcemente e un sorriso si dipinse sulla mia bocca, e così anche sulla sua. Lo guardai ancora: i capelli leggermente brizzolati, gli occhi di un verde purissimo, ipnotizzanti e da mozzare il fiato, il naso piccolo e appiattito che avevo ereditato, il sorriso vero, acceso.
'Ti voglio bene, bambina mia'
Non appena quelle parole lasciarono la sua rosea bocca, un tuono intonò prepotentemente e un urlo sfuggì alle mie labbra. Il suo viso prese a svanire, prima gli occhi, poi il naso, poi la bocca, man mano stava scomparendo.
Le mie mani cercarono di afferrarlo, invano, acqua salata scese dalle mie palpebre e la bocca liberò grida incessanti.
Non c'era.
Non c'era più.Mi svegliai di colpo, ansimante, il volto bagnato e le unghia delle dita conficcate nei palmi delle mani. Li schiusi lentamente, mostrando piccoli ma numerosi segni.
Solo un sogno.
Sospirai pesantemente, battendo il capo contro il poggiatesta.
Solo un fottuto sogno.Angolo autrice
Holaaa, lo so non è il massimo, ma accettate comunque la prova di scrivere di questa povera ragazza.
Mi presento: mi chiamo Imma, ho 15 anni, amo leggere e scrivere e I JORTINI SONO LA MIA VITA.
Riguardo alla storia questo è solo un prologo per farvi capire la situazione, ben presto vedete come si svolgerà tutta la storia. Fatemi sapere nei commenti che vi pare o votando. Alla prossima💓
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Lascia che splenda la tua luce
Fiksi PenggemarMolto spesso le persone si chiedono come si possa colmare il profondo vuoto lasciato da una persona che ti abbandona, convincendosi che sia un'impresa impossibile. Ma non è più dura quando, nel momento della verità lui decide di rimanere, ma rimaner...