A furia di sentirla chiacchierare si era già pentito di averle chiesto di andare a cena con lui. Quella stupidaggine di indovinare il suo nome, poi. Davvero, non aveva niente di meglio da fare?
Gli aveva raccontato che aveva perso il lavoro, che avrebbe seguito mille corsi diversi, ma non parlava di trovarsi un altro impiego. Con che soldi avrebbe tirato avanti?
Non che a lui importasse del destino di quella tizia. Con la cena avrebbe ricambiato il favore dei biscotti e sarebbe finita lì.
Aveva scelto quel ristorantino che aveva aperto da poco perché lì era certo che non avrebbe incontrato la sua ex o nessuno dei suoi amici. Non avrebbe sopportato vedere i volti di quelle persone che, seppur si dichiarassero sue amiche, si erano comportate in maniera orribile con lui. C'era chi era al corrente del fatto che lei stesse facendo il doppio gioco, eppure non lo aveva mai detto, facendogli fare la figura dell'idiota.
Non vedeva l'ora di tornare a casa, alla fine di quella serata e sprofondare nella solitudine che gli era diventata così familiare da essergli di conforto. Con la sua ex aveva adottato un cane, un meticcio, ma lei se lo era portato via, insieme a tutta la sua voglia di vivere. Gli mancava quella compagnia, quel'amico peloso che era l'unico che lo avesse sempre guardato con sincerità e affetto incondizionato, nei grandi occhi marroni.
«Che posto fantastico!» esclamò la biondina battendo le mani e attirando l'attenzione di tutti i clienti del ristorante. Lui si riscosse dai suoi pensieri cupi.
«Che c'è da guardare? Non pensi anche tu che sia un bel posto, Michele?» mentre parlava, urtò senza volere la forchetta con il gomito e la fece cadere.
«Che sbadata!» strillò e per evitare che cadesse dalla sedia, lui si alzò per raccogliere la posata.
«Ordiniamo?» esortò, lanciandole un'occhiata severa, ma lei ricambiò con un sorriso, come se niente fosse.
«Ok, io prendo questo, tanto offri tu, no?» Lo fece impallidire, quando il cameriere si avvicinò, indicando la specialità più costosa.
Stava per aprire la bocca, ma lei lo interruppe: «Scherzo, voglio questo.» Scelse una portata molto più abbordabile e lui tirò un sospiro di sollievo.
Emma scoppiò a ridere forte. «Sei proprio una sagoma, Simone!»
«Piantala, non è divertente. Poi chi ti dice che non ti mentirò?»
Lei scosse la testa. «Non lo farai. I tuoi occhi non sanno mentire. È per questo che riesco a capire che sei una persona triste.»
«Come ti permetti, non mi conosci nemmeno.» Era proprio una scocciatura, piccola quanto fastidiosa.
Lei alzò le spalle. «In effetti non so il tuo nome, ma capisco molto bene le persone...» si interruppe, prima di tentare con un altro nome, distratta da qualcosa.
Lui fece finta di controllare il cellulare, poi arrivarono le bevande e la conversazione proseguì in maniera normale per il resto della cena.
Mentre andavano verso l'uscita lui non si meravigliò del fatto che lei incespicasse e si aggrappasse al suo braccio. Era così goffa.
«Prima di salutarci, ho qualcosa per te.» Esordì la biondina, infilando una mano nella borsa che aveva a tracolla, dall'aria pesante. Forse era per quello che rischiava di cadere un passo sì e l'altro pure.
«Ho perfezionato la forma e aggiunto qualche ingrediente.» Gli mise in mano un involto con dei biscotti.
«Senti, Emma...»
Stava per dirle che non intendeva più uscire con lei, quando la biondina si alzò in punta di piedi e gli allacciò le braccia dietro il collo.
I loro occhi non persero il contatto nei dieci secondi che precedettero il bacio. Un tocco dapprima dolce, poi sensuale e appassionato. Sentì crescere un enorme desiderio dentro di sé, per quel corpo che gli era apparso così insignificante.
Lei gli mise i palmi sul petto muscoloso e lui le appoggiò le mani sulle natiche, per attrarla contro di sé e farle capire quanto la desiderava.*
Lui era troppo bello, troppo desiderabile. Emma voleva solo lui in quel momento, non le importava nient'altro.
«Le tue labbra hanno il sapore di...»
«Finiamola con questo gioco, mi chiamo...»
Lei gli morse il labbro inferiore. «Non vale imbrogliare. Ora però andiamo in un posto più tranquillo.»
Non era per i giri di parole e poi sapeva di aver interpretato i desideri di entrambi così. Infatti lui non parlò più, ma la guidò in silenzio fino alla fermata della metro più vicina, tenendola per mano.
Non persero mai il contatto, non si lasciarono mai e dovettero faticare per resistere finché non furono arrivati al portoncino del condominio dove abitava lui.
Appena furono lontani da occhi indiscreti, ricominciarono a baciarsi e lui la trascinò in uno sgabuzzino in disuso.
C'era una certa disperazione nei gesti di lui, come se avesse bisogno di usare il sesso per liberarsi di ogni dispiacere. Sarebbe stato felice, dopo? Lei non credeva, per questo afferrò con dita tremanti le mani di lui che volevano sollevarle la gonna dell'abito.
«Oh... suppongo che tu non lo faccia con quelli di cui non conosci il nome.»
Quegli occhi scuri così profondi erano velati d'insicurezza. Anche se lui voleva apparire freddo e distante, era pur sempre umano, giovane e con il cuore recentemente spezzato.
Emma gli accarezzò la guancia coperta da una corta barba e scosse la testa.
«Non riguarda il tuo nome, ma il tuo stato d'animo. Sarebbe fantastico fare l'amore con un bel ragazzo come te.»*
Lui si sentì intimidire sotto quello sguardo così diretto e sincero.
«Non voglio farlo perché so che hai delle questioni in sospeso. Con te stesso e con gli altri.»
«Emma, per favore, non...» cercò di protestare, ma lei gli mise un dito sulle labbra e sussurrò: «Lascia che rimedi però.»
Si inginocchiò di fronte a lui e, qualche minuto dopo, quando si rialzò, rischiò di cadere. Allora Emma si appoggiò con tutto il suo peso a lui, che la strinse a sé, ancora sconvolto per quello che era successo.
Emma si sistemò i capelli e il vestito, dopodiché si congedò dicendo: «Conosco la strada. Ci vediamo presto.»
Si allontanò con passo trotterellante e incespicò, facendolo sorridere.
Sentì qualcosa in tasca e ne tirò fuori il pacchettino dei biscotti che lei aveva preparato. Estrasse la metà di una stella, decorata in maniera stramba, poi scoppiò a ridere quando si rese conto che quelle decorazioni tremolanti erano delle lettere che si erano mezzo squagliate. Trovò un'altra metà e l'avvicinò, lesse: "Anco". Provò con un'altra metà e formò: "Andrea".
Aveva usato i biscotti per provare ad indovinare il suo nome. Rise ancora più forte e andò a casa. Svuotò il contenuto sul tavolo e ricompose i vari biscotti. Quando trovò quello col suo nome, notò che era scritto con mano più ferma rispetto agli altri. Immaginò Emma, con le labbra serrate, l'espressione concentrata mentre scriveva il suo nome. All'improvviso avvertì il desiderio bruciante di udirlo dalle sue labbra.
«Emma...» mormorò, ricordando ciò che era successo nello sgabuzzino.***
Sono piena di dubbi su questo capitolo, perchè ho osato un po'. Però immagino Emma come una persona che non si lascia sfuggire nulla, che coglie tutte le occasioni che la vita le offre. Forse il suo comportamento non è in linea con l'aria innocente che sembra avere, però lei tiene davvero a lui e vorrebbe solo vederlo felice. In effetti si conoscono poco, però proprio l'entusiasmo di Emma nei confronti della vita, fa sì che lei viva tutto al massimo fin da subito.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se così non fosse, ci terrei molto a sapere il motivo, perchè come ho già detto ho molti dubbi anche io!
Grazie a chi legge e segue la storia e a chi continua a ogni capitolo a lasciare una stellina. Grazie davvero!
Maria C Scribacchina
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Le cose che vorrei cambiare
Short Story[COMPLETA] Lui la detesta, anche se non la conosce. La trova insopportabile: è perennemente allegra, senza alcun motivo evidente. Balla e si agita ogni mattina, sulla metro, infischiandosene della gente che può pensare che non ci sia molto con la t...