Pic nic per due

4.4K 255 18
                                    

«Si può sapere cosa ti sta succedendo? Sei strano»
Matteo distolse gli occhi dallo schermo del computer dell'ufficio, che stava fissando ormai da più di un quarto d'ora, anche se i suoi pensieri erano rivolti altrove, di sicuro non a ciò che il capoufficio gli aveva ordinato di fare.
Guardò il suo collega, la persona più vicina a un amico che gli era rimasta, da quando aveva scoperto il tradimento della sua ex. Scosse la testa. Del resto Samuele prendeva il treno tutti i giorni con lui, ci scambiava qualche parola, ma non erano di certo in confidenza. In più Matteo non era il tipo da confidarsi così a cuor leggero. Stava pensando a Emma e a quello che gli aveva detto sua nonna in auto quella mattina.
Lui le voleva bene. Probabile, era difficile non affezionarsi a una tipa come Emma, quel fastidioso quanto adorabile sorriso sempre stampato sul volto. Scoprire che quel sorriso nascondeva della sofferenza profonda lo aveva lasciato esterrefatto.
«Che ne dici se stasera andiamo a farci una birra in centro? Hanno aperto un nuovo locale e le cameriere sono tutte strafighe.»
Frenò in un nanosecondo l'entusiasmo di Samuele, che smaniava all'idea di mettere gli occhi su un bel bocconcino. «No, grazie. Ho da fare.»
«Cosa, se posso chiedere?»
L'arrivo del capoufficio smorzò ulteriori chiacchiere e Matteo si concentrò – o almeno finse di farlo – sul lavoro, finché non arrivò il momento di andare a casa.

Scese a una fermata diversa da quella di Samuele, per evitare le chiacchiere del ragazzo, ma anche per un altro motivo.

*

«Emma, ci sono visite per te.»
La biondina saltellò fino in soggiorno. Chi poteva essere venuto a trovarla? Non aveva invitato nessuno.
Si stupì nel trovarsi di fronte Matteo.
«Vi lascio soli» mormorò la nonna e, prima di ritirarsi in cucina, lasciò sul tavolo del soggiorno una bottiglia di succo di frutta biologico con due bicchieri.
«Se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure.» Sorrise ai due e poi se ne andò.
«Come mai sei qui?» domandò Emma, agitandosi sulla sedia. «Come fai a sapere dove abito?»
Lui prese posto di fronte a lei e le rivolse un lieve sorriso. «Ho chiesto a mia nonna.»
C'era qualcosa in quegli occhi scuri, ora. Non era la solita disperazione, nemmeno l'allegria che gli aveva visto più di recente. Emma aveva paura che lui sapesse tutto, che fosse venuto solo per mostrarle pietà e commiserazione.
«Ti va di fare una gita all'aria aperta domani?» esordì, lasciandola di sasso.
«Domani? Non devi lavorare?»
Matteo scosse la testa. «Ho chiesto un permesso. Tu hai da fare?»
Forse allora non sospettava nulla della sua malattia. Emma resistette all'impulso di sospirare di sollievo e sorrise apertamente. «Nessun impegno! Dove mi porti di bello?» Andò a sedersi sulle sue ginocchia e prese a sfiorargli una guancia non rasata.
«Ti sta proprio bene la barba così, sai?» Era tipico di lei, saltare da un argomento all'altro e ora lui capiva che poteva essere anche colpa della malattia.
Stava per dirle che sarebbe passato a prenderla alle dieci, ma le sue parole furono zittite da un bacio di Emma.
Il cuore di Matteo era combattuto, da una parte avrebbe voluto che quel contatto non finisse mai, dall'altra sentiva un peso all'altezza del petto. Da quando aveva saputo della malattia le cose non erano più le stesse. Sarebbe stato bello tornare indietro a quando era ignaro di tutto, addirittura a quando pensava che quella biondina fosse solo una svitata.
Dopo il bacio, Emma lo guardò intensamente con i suoi occhi di quella tonalità calda che aveva imparato ad adorare.
«Allora domani vengo a prenderti?» Si corresse subito dopo: «Ehm, a che ora vieni a prendermi?»
«Alle dieci» ribatté Matteo sfiorandole il mento con l'indice e sorridendole con più calore di quanto non avesse mai fatto.
Le voleva bene, era inutile negarlo.
«Ok. Adesso scusa, ma sono un po' stanca.» Emma si alzò e incespicò.
Matteo scattò in piedi e l'afferrò per la vita, attirandola a se e stringendola forte. Più forte di quanto avrebbe dovuto. Chissà se lei aveva notato l'urgenza di quell'abbraccio.
Emma non diede alcun segno di turbamento, anzi, scherzò: «So che ti piace tenermi le mani addosso. Però ci rivedremo domani.» Si alzò in punta di piedi e gli scoccò un bacio sulle labbra.
Si salutarono. Quando arrivò a casa Matteo le inviò un messaggio augurandole la buonanotte e ricordandole l'orario in cui sarebbe passata a prenderla. Non voleva rischiare che lei lo dimenticasse.

*

La mattina dopo Matteo rimuginava, mentre comprava qualcosa da mangiare per la gita che aveva in mente di fare con Emma.
Non sapeva molto della sua malattia, giusto le cose che tutti conoscevano e aveva appreso che era bene fare movimento e mangiare sano. Perciò aveva pensato alla camminata e a un picnic leggero e sano per loro due.
Sistemò il cestino nel baule dell'auto, poi andò a prenderla a casa.
«Teo!» strillò Emma non appena lo vide e gli saltò praticamente in braccio. Era così leggera e, ora lo sapeva, così delicata e fragile. Quella che gli era sembrata solo una ragazzina insulsa e fastidiosa si stava rivelando una delle persone migliori che avesse mai conosciuto.
L'aiutò discretamente a salire in macchina e la portò lontano dalla città in un luogo immerso nella natura, che era deserto essendo quello un giorno lavorativo. C'era il sole e mangiarono qualcosa dopo aver camminato e osservato le bellezze della natura.
Matteo rise davanti all'entusiasmo della biondina quando aveva avvistato una coppia di scoiattolini che si rincorrevano. Si era alzata in piedi e aveva cominciato a correre, incitando il maschio ad acchiappare la femmina.
In quel momento sembravano una normale coppia di giovani che si stavano innamorando. Su quest'ultima cosa non c'erano dubbi. Sul fatto che fossero normali invece...
Ad un certo punto lei era inciampata ed era caduta. Lo stato d'animo di lui si era incupito all'improvviso e l'aveva presa tra le proprie braccia, preoccupato.
«Emma, come stai?»
Lei aveva immediatamente indovinato la ragione della sua ansia. Conosceva quello sguardo nelle altre persone. Matteo sapeva. Ora nulla sarebbe più stato lo stesso. Quella maledetta malattia le avrebbe rovinato anche quel rapporto.
Chiuse gli occhi, desiderando di non essere ciò che era, desiderando di essere normale. Poi li riaprì, mormorando piano: «Sto bene.»
«Senti, io...» cominciò Matteo, ma lei gli fece cenno di metterla a terra, poi gli raccontò della sua malattia con parole semplici, dirette, a lui suonarono persino crude.
«Tu mi piaci, tanto. Però non voglio che ti senta costretto. Non sarebbe una relazione normale e io non posso prometterti niente.»
Lui scosse la testa e serrò le labbra, possibile che tra i due fosse lui a mettersi a piangere? Perché aveva bisogno di consolazione quando era lei che stava male?
«Non voglio che tu sia triste. Da quando ti ho visto ho desiderato renderti felice e mi sentirei male se fossi il motivo della tua tristezza. Soprattutto ora che...» Fece molta fatica a completare la frase e balbettò un sacco, mentre disse: «Mi sto innamorando di te.»
«Io credo di esserlo già di te.» Lui stesso si stupì delle proprie parole, ma dopo che le ebbe pronunciate, si sentì meglio. Le rivolse un sorriso e le prese il viso tra le mani, poi la baciò a lungo.

***

Ho riscritto questo capitolo per la pubblicazione su Wattpad, perché la prima stesura era molto diversa. Spero vi sia piaciuto!

Non manca molto alla fine della storia e mi dispiace, perchè mi sto affezionando molto a Emma e Matteo.

Grazie a chi legge, commenta e vota!

Maria C Scribacchina

Le cose che vorrei cambiareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora