Capitolo Cinque

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||Niall's Point Of View||

Mi accorgo, dopo minuti infiniti, che il mio respiro è incredibilmente regolare mentre guardo immobile la televisione spenta.
Chiudo gli occhi che quasi bruciano a causa del troppo tempo passato ad occhi aperti, storcendo il naso: mio Dio, che puzzo.

Mi alzo dal divano color crema che sembrava più sporco del solito, è tutto così disordinato: una birra è posata a terra, accanto ad un cartone della pizza mangiata quattro sere prima di oggi; il televisore è pieno di polvere, come il resto dei mobili; i libri che Emily tanto amava sono ora sciupati dal tempo e dallo sporco. Mi accorgo dell'ora, passando gli occhi sull'orologio attaccato al muro che, probabilmente, è il meno polveroso.
Ed è tardi, lei non è ancora a casa e sono nel silenzio del ticchettio che producono le lancette dell'aggeggio e delle gocce di acqua del lavandino.

Prendo la decisione di pulire tutto perché so che lei ha sempre detestato il disordine e forse, anzi, molto probabilmente avere una casa pulita e riuscire a trovarla in tale maniera senza muovere un dito, l'avrebbe fatta stare meglio. Sbuffo, alzando gli occhi al cielo: lo sto facendo per lei e questo mi innervosisce, perché io a lei non tengo, almeno credo.

Mi abbasso (oserei dire schifato) a raccogliere tutto, a partire dal cartone della pizza, il quale getto con noncuranza nella grande busta nera che ho nella mano opposta. Qualche minuto dopo, il pavimento è finalmente pulito.
"Che schifo!" Ripeto, per l'ennesima volta, pulendo il bordo di ogni mobile presente nella stanza.

Guardo finalmente, soddisfatto, l'ordine della casa, pulita dopo anni che non lo era: è bellissima, come quando la comprammo, per l'intera famiglia. Guardo il tavolino, stringendo gli occhi quando noto un piccolo dettaglio: c'è un disegno, una piccola incisione. Mi abbasso, guardandola; le gambe del tavolo sono così scure rispetto a quel piccolo disegno, eppure mi chiedo come io non abbia mai fatto a notarlo. Sorrido, involontariamente: c'è una piccola bambina, sorridente, accanto alla quale si trovano due figure, ma entrambe sono incomplete, forse a causa della curva della gamba cilindrica in legno del tavolino, sulla quale è abbastanza difficile poter incidere qualcosa di definito. Ma una cosa è definita nella mia mente: lo aveva fatto lei, quella piccola bambina. Faccio finta di nulla quando sento la porta sbattere, concentrati su ciò che i miei occhi stanno guardando.

"Le dissi io che poteva farlo." Sento la sua voce farsi viva, dopo una giornata assente da me. "Le ho detto di non dirti nulla perché ti saresti arrabbiato."

"Quando lo ha fatto?" Alzo lo sguardo, rimanendo nella mia posizione; sento le braccia quasi non farcela più a tenere il peso del mio corpo e mi accorgo che, oltre a non riuscire ad essere uscito dalla mia dipendenza, sono anche fuori forma, molto.

"Quando ancora ci vedeva bene." Sbotta, facendo un passo avanti.

"Mi sembrava ovvio.- sbotto in risposta; mi ha colpito ciò che ha appena detto, come se io non avessi vissuto ciò che Daisy stava passando all'ospedale.- C'ero anche io, in quel periodo."

"C'eri anche tu? Nel bagno, a sistemare le tue patetiche, oscene, sporche, strisce di cocaina?"

"Ma ti sei vista?- mi alzo, talmente velocemente che una sua ciocca si sposta a causa dello spostamento d'aria.- Hai così tanto alcool in corpo, ogni giorno, che la tua voce è sempre, costantemente impastata. Non ricordo nemmeno come sei da sobria. Non so nemmeno se sai il mio nome."

"Ti chiami Niall." Risponde, ridacchiando, quasi fosse una battuta, la mia. Mi innervosisco, più di quanto già non lo fossi presentemente e serro i pugni, rischiando di tirargliene uno sul suo viso pallido e quegli occhi piccoli e lucidi. "Sai cosa non ricordo io invece?"

"Non mi interessa." Sbotto, allontanandomi con un passo indietro rispetto a lei.

"Te lo dirò lo stesso.- incrocia le braccia al petto, altezzosamente.- Non ricordo il tuo tocco. Non ricordo le tue labbra, quelle morbide labbra sulle mie, mentre si muovono insieme, in un unico sapore. Non ricordo il mio naso che accarezza il tuo collo, facendo in modo che nel mio corpo entri il tuo odore, solamente il tuo.- fa un passo avanti, verso di me; sento le sue dita sfiorare il mio petto, strusciando i polpastrelli sulla scollatura a della maglia.- Non ricordo, o forse a mala pena, i tuoi ansimi, mentre le mie mani strusciando, dolcemente, sulla tua pelle. Non ricordo nemmeno quest'ultima. Ho la mente vuota, ma vorrei riempirla con i rumori delle nostre pelli sudate che collidono l'una con l'altra."

Alza lo sguardo, ed incrocia il mio. Sospira, lasciandomi impalato a fissare il suo sorriso dolce e malinconico. Ha un'odore forte, di un forte alcolico. So che è sotto l'effetto di quest'ultimo, so che ha alzato il gomito un po' troppo anche stasera.
Ma le sue parole mi colpiscono comunque.
Colpiscono i miei muscoli ora rilassati, i miei occhi divenuti lucidi, le mie labbra secche che vorrebbero toccare le sue.

Colpiscono il mio cuore che le appartiene ancora.  Le sue parole mi fanno male perché la sua voce, pur essendo impastata, è pur sempre la sua voce.
"Penso tu debba andare a letto adesso, Emily.- dico, gli occhi ancora lucidi nei suoi.- Non stai molto bene."

"Sono solo ubriaca." Il suo tono è calmo e tranquillo, i suoi occhi fissano le mie labbra in modo desideroso. "Sono solo dannatamente, disperatamente, sincera."

Si mette sulla punta dei piedi, poggiando una mano alla base del mio collo caldo in confronto alle sue mani fredde, forse a causa del fatto che fino a qualche minuto prima si trovava fuori. Le sue labbra toccano le mie in un bacio casto, dolce, senza alcuna sfumatura di perversione o lussuria. Si allontana, sorridendo dolcemente.
"Toccami." Sospira, sulle mie labbra. Rimango immobile, imponendomi il contrario: io non ci cadrò di nuovo. "Sento il bisogno di te."

"Io credo che tu debba solo dormire un po'." Sbotto e la vedo sospirare, con gli occhi che quasi esplodono dalle lacrime dopo mesi che il suo viso mi appare duro e freddo davanti.

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