Capitolo Dieci

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Sbuffo. E so che facendolo, sto sottovalutando la situazione, ma poco mi importa; sistemo la cavigliera nera, illuminata dalla luce verde che indica loro che sono in un raggio di metri adeguato per la mia situazione.

Mi sorride, dalla cucina, mentre mi porta un piccolo piatto con sopra del cibo. Si piega, mettendo il peso sulle proprie ginocchia. "Mi dispiace.- mormora, abbassando lo sguardo.- Ho fatto bruciare leggermente il pane."

"Non importa, tranquilla." Ridacchio, poggiando il piatto sul tavolo in legno al centro della stanza, tra i due divani. "Vista la situazione, ti chiedo perdono io."

Scuote la testa, alzandosi. "Non penso tu possa farci nulla. Sono passate settimane dalla scelta del giudice ed altre dovranno passarne. Credimi, dovrò imparare a farmene una ragione." Si muove verso la cucina, abbandonandomi da solo.

Non capisco o, forse, non voglio capire, mi rifiuto di capire quanto in realtà non mi voglia più, quanto in realtà per lei sia solo un bambino dispettoso da curare.
Una volta uscito dal tribunale, mi hanno assegnato, per così dire, gli arresti domiciliari.
Il momento dopo, alzando lo sguardo verso di lei, vidi come i suoi occhi fossero delusi da me.

Ogni giorno, ogni momento vedo quelle palpebre chiudersi sopra a quegli occhi pieni, colmi di delusione e rabbia repressa nei miei confronti, ma mi rifiuto di chiederle come vada, nego a me stesso che lei stia male perché mi impedisco di avvicinarmi, accarezzarle quel viso liscio e dirle che lo vedo, che so come in verità si senta. La motivazione è la mia paura. Paura che lei possa urlarmi contro, timore di sentire il mio cuore farsi a pezzi ad ogni sua parola.

Nonostante ciò, mi alzo e, lentamente, mi avvicino. Non dico nulla, le mie labbra sono serrate, come le sue mentre mi guarda confusa. Le accarezzo il fianco, stringendo la ragazza che tanto desidero a me.

La guardo, guardo quel seno che è sempre stato mio, quel petto prospero che ho sempre baciato perché amavo farlo. Quella vita che ha sempre pensato errata, chiamandola "troppo grassa", ma per me è sempre stata così bella da poterne fare un ritratto, senza un filo di grasso di troppo, al contrario di ciò che lei diceva. Guardo le sue gambe, incorniciate da un paio di pantaloncini corti e ora sporchi di farina, le sue gambe lisce perchè ha sempre odiato tenerle poco curato, andando milioni di volte dall'estetista prima che imparasse da sola a curarle.

La tocco, su qualsiasi superficie mi sia possibile, senza trapassare lo strato di vestiti che ancora la ricoprono. Tocco i suoi fianchi, poggiando i pollici sulle ossa che sporgono di poco. Accarezzo la sua pancia, la sua schiena, stringendola a me, lasciando che i nostri petti si incontrino in uno scontro caldo. Lascio cadere le mani più in basso, arrivando al fondo schiena e rallento il mio viaggio sul suo corpo, pretendendo una conferma da lei.

In risposta, poggia i palmi sul mio petto, spingendomi, per quanto possa, lontano da lei, con una forza più debole di una foglia caduta, secca e disperata, sull'asfalto in autunno. Il mio sguardo si incastra nel suo, pregando che lei mi dica che va bene, che mi vuole.

Sento il cuore esplodere, bruciare, come se tutto ciò che mi sono impegnato a nascondere nell'arco di un anno sia sparito, come se non riuscissi più a rimanere inerme davanti a lei.
Sento, come se fosse un dovere, un bisogno, di riuscire ad abbattere le mura che si sono create tra noi, sento di dover avere una conferma positiva da lei. 

"Cosa fai?" Il suo tono mi fa capire quanto sia contrariata, ma rimane ferma tra le mie braccia, che, forti, la stringono nuovamente a me.

"Cerco di farti capire quanto io ti voglia ancora." Il mio volto si avvicina al suo, mentre le mie labbra serrate si avvicinano alle sue, semiaperte. "Spostati.- sorriso amaro, alzando un lato delle labbra carnose.- se ce la fai, se non mi vuoi, spostati. Urlami contro che mi odi, se non mi vuoi. Dimmi che faccio schifo, se non sono più niente per te. Ripetimi quanto io sia inutile, come la Terra non cambierebbe se io sparissi. Urlalo, fammi rendere conto che sto sbagliando mentre spero che tu mi desideri ancora."

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