Capitolo Nove

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Guardo il soffitto bianco della stanza in cui mi trovo, mentre sento le gambe più pesanti, come se riuscissi a sentire le ossa piene essere attratte dalla forza di gravità che mi tiene ancora attaccata al lettino di questo ospedale, mentre i miei polmoni ancora respirano, il mio cuore ancora batte. Mentre io sono ancora viva.

La porta si apre, me ne accorgo udendo lo scricchiolio delle sue vecchie scarpe in pelle marrone e lo sbattere della grande asse argentata che si chiude. Rimango immobile, con le braccia ritte lungo il mio corpo fragile e bianco, sembra quasi confondersi con la mia tutina contenente delle piccole fantasie bluastre.

"Hey." Si siede sulla sedia vicino a me, facendomi chiudere le palpebre e, contemporaneamente, volto il capo, mantenendo il mio sguardo incapace di incontrare il suo, nel buio che mi sono creata da sola. "Apri gli occhi." Comanda, con voce dolce. Non eseguo ciò che dice, ma scuoto la testa in risposta.

"Non voglio vederti." Borbotto, con tono neutro ed indefinito tra indifferenza e rabbia. "Non voglio vedere la felicità sul tuo viso."

"Perché no?"

"Perché io non la ho."

"Sei in vita." Risponde senza lasciar passare neanche un millesimo di secondo tra il modo di controbattere ed il suo. "Mi sembra già una cosa per la quale essere felici."

"Sono in vita dopo un tentato suicidio." Apro gli occhi; davanti a me la sua figura appare illuminata dalla finestra alle mie spalle, i capelli biondi sono ormai confusi tra il loro naturale moro e la tinta miele. Gli occhi azzurri mi pregano quasi di continuare e così faccio. "Ho tentato la morte per strapparmi via questa vita, che non volevo più."

Tra il mio alcolismo e la morte di Daisy, si trova un mare gigantesco, pieno di onde ed ostacoli che ho affrontato da quel giorno a questa parte. Mille pensieri hanno affrontato la mia testa, come fossero schegge di vento impazzito che mi attraversa i capelli. Non sono pronta, non ero pronta, ad attraversare tutto ancora.

"Egoismo." Sbotta, scuotendo la testa. Le mie sopracciglia quasi si scontrano, formando un cipiglio sul mio volto. "Non pensi a chi tu possa fare male, andandotene."

"Da morta, non mi sarebbe importato perché non avrei visto i vostri volti distrutti sulla mia tomba."

"Non mi pare che sia stata un'improvvisa morte, saresti stata capace di provare un minimo di sentimento." Sorride amaro, lasciandomi senza parole, senza possibilità di controbattere a quelle amare parole.

Alzo le spalle, fingendomi indifferente, ed in contemporanea, sistemo le mani accanto ai miei fianchi, spingendomi sopra di essi, per sistemare la mia posizione ormai scomoda. "Hai intenzione di rinfacciarmi anche il mio alcolismo?"

"No." Alza il suo zaino nero, a terra, vicino all'angolo del letto opposto a dove il mio capo è appoggiato; un'espressione confusa prende il posto di quella tranquilla che si trovava sul mio volto, probabilmente dentro si trova qualcosa in vetro: lo noto dal rumore che producono gli oggetti all'interno della stoffa nera, sbattendo tra loro. "Le ho rubate al negozio vicino casa nostra, quello dove prendi sempre da bere." Sorride, tirando fuori due bottiglie di alcolici: riconosco il mio Whiskey preferito, da quaranta gradi che anche mio padre beveva.

Alzo le sopracciglia, rimanendo stupita dal suo gesto, ma mi congelo alle sue parole. "Le hai rubate?" Sbotto, mantenendo la voce bassa come lui precedentemente aveva fatto, prendo la bottiglia e, anche se con rancore, la sposto dalla mia visuale, poggiandola a terra. "Cosa stai dicendo?"

"L'ho fatto per farti felice!" Aggrotta le sopracciglia mentre si alza furioso dalla sua sedia. "Non ti va mai bene nulla!" Il suo tono di voce diventa più alto, vedo le sue braccia aprirsi al cielo ed i suoi pugni chiudersi rudi, spingendo le unghie nei palmi soffici; il suo sguardo è disperato.

"Non voglio questo per essere felice." Alzo le spalle innocentemente, lasciando che lo scudo davanti a me ceda per un attimo, ma mi ricompongo, tossendo leggermente. Distolgo lo sguardo dal suo, profondo quanto chiaro, bello quanto assassino, lucente come un diamante in piena estate. "Non ne sento il bisogno, avresti potuto chiedermi qualcosa o avvisarmi." Il mio tono suona fiscale e duro, come se ciò dovesse essere un rimprovero da madre.

"Non hai più nessuno!- urla, puntandomi il dito contro.- Non hai niente e nessuno che possa renderti così felice, così meravigliosamente attratta dal quieto vivere. Nessuno che possa allontanarti dalla percentuale di alcol in ogni bevanda che lentamente attraversa il tuo corpo."

"Ho te." L'intensità della mia voce cede, facendo vibrare le corde vocali in modo debole, mentre il mio corpo è scosso da un freddo brivido. "Ho te e mi basta."

I bulbi grandi si riempiono di lacrime, pronti a sgorgare tristezza, rabbia e delusione da ogni goccia che piano piano immagino cadere dalle mie guance. "Stai perdendo anche me."

Sento una lacrima lacerarmi, strusciare con delicatezza sulla mia pelle e sembra quasi lava sulla mia anima. "Sei ad un passo così- ripete, mettendo il pollice e l'indice a distanza di poco più di un centimetro.- dal baratro, manca ancora poco all'ultima goccia che farà traboccare il vaso. Scapperò, scapperò lontano da te quando sarà sgorgato incessabile."

Mi asciugo le lacrime salate, scuotendo la testa. "Il punto è che hai derubato qualcuno." Torno al punto principale, rifiutandomi di continuare il discorso, negando a me stessa di permettergli di mettere davanti ad i miei occhi ciò che per me è la verità non ammessa. "Pensiamo a questo."

"E rimandiamo il resto, giusto." Colgo il suo sarcasmo, mentre passa sulle sue guance le mani.

Scuote la testa; le mie labbra si socchiudono, pronte a pronunciare qualcosa in mia difesa, ma sento la porta aprirsi con uno scricchiolio ormai a me conosciuto.

Un agente della polizia entra, le spalle dritte e le braccia perpendicolari al corpo. I suoi grandi occhi verdi squadrano Niall da testa a piedi, rendendo amari e ansiosi, involontariamente, quei pochi secondi di silenzio. Serra la mascella prima di parlare:"Sappiamo che non è armato ed abbiamo deciso di agire con tranquillità, ma non ci faccia pentire di questo. Deve seguirci in centrale: ci è arrivata una denuncia per furto. Le metterò comunque le manette a causa della procedura e faccia attenzione perché ciò che mi dice potrà essere usato contro di lei in tribunale."

Gli strati carnosi e rosati che sono le mie labbra rimangono immobili, ancora semi aperti, in un piccolo cerchio, mentre rimango senza parola davanti a tale scena.

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