Capitolo Undici

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|| Niall's Pov||
Mi sveglio, con lei al mio fianco.
Una visione eterea tra mille demoni. La luce che entra dalla finestra le sfiora le guance a piccoli cerchi mentre trapassa le fessure della tapparelle. È ancora nuda o quasi.
La spallina della vestaglia le è caduta ed è uscito un seno. Ha il vizio di alzare la gamba e poggiarla su di me per dormire e mi sono accorto che la seta nera le sfiora a mala pena il fianco. Non ha le mutande.

La guardo come fosse un quadro. Come quando guardi una persona e ti chiedi se esista o meno davvero, se possa o meno esistere una persona così bella.
È lucente nella sua oscurità e solare nella sua tristezza. La sua è una tristezza che ti uccide soavemente, che ti uccide in modo tale da farti capire il senso del sublime: un dolore che ti affascina. Lei è affascinante.

Apre gli occhi, sorride. Si sistema un attimo il pigiama e si alza in piedi, nel completo silenzio. "Buongiorno." Cerco di dire prendendo coraggio. Lei si volta e sorride di nuovo. Vorrei sentire la sua voce, dopo ciò che è successo.

L'ho toccata, dopo così tanto tempo da far sembrare la nostra millesima volta una delle prime. La paura mi assale ora che la guardo. Il suo sguardo gelido mi scruta e il suo sorriso cortese mette in dubbio le mie sicurezze. Lo voleva davvero? Lo vuole ancora? Sopratutto, mi vuole ancora?

"Giorno.- dice, distogliendo lo sguardo.- Ti preparo qualcosa?" Annuisco. Si allontana per andare in cucina.

Mi accorgo solo ora di quanto il suo corpo sia cambiato.
Dopo il parto, i suoi fianchi si sono riempiti di righe bianche che a me piacciono tanto perché mi ricordano il frutto del nostro amore. Mi ricordano Daisy mentre gioca. Mi ricordano la famiglia che avevamo creato.
La strada che ha preso dopo la sua morte, l'ha portata ad essere più magra: le costole sporgenti s'incastrano con il seno, incorniciato dalle clavicole ossute.
È bella e dannata. Io vuoto e indifferente.

Mi alzo e la raggiungo. Tentenno un po' e mi cade l'occhio sul vecchio bidone del vetro dove buttavo le sue bottiglie vuote. Sussulto, prima di poggiare istintivamente una mano sul suo fianco.
Sospira e io la guardo, incapace di riprendere il respiro: sono disarmato. "Io.. - si volta e poggia una mano sul collo. - Credo che stiamo andando troppo di fretta."

Chiudo gli occhi. "A me piace andare di fretta, se so che devo farlo con te". Non so nemmeno come io sia riuscito a dire queste parole, ma ci riesco.
Riapro gli occhi e lei mi sta fissando, con quegli occhi assorti e comprensivi. Ha le sopracciglia inarcate e cerca di capire dal mio volto cosa io voglia dire. "Mi spieghi perché deve sempre esserci qualcosa di sbagliato?"

"A me dispiace dirtelo, credimi.- io mi allontano, lei si avvicina ancora. - Credo solo che siamo passati al polo opposto troppo velocemente. Abbiamo bisogno di tempo, dobbiamo elaborare tante cose, dobbiamo cercare di riprendere il concetto di 'coppia'. Capisci?"

"Certo." Rispondo. "Emy, ascoltami. - poggio la mano sulla bocca cercando le parole migliori per spiegarmi.- Daisy non c'è più. Questo non vuol dire che non abbiamo più niente."

Vedo i suoi occhi diventare più lucidi: ora è lei ad allontanarsi da me. "Potevi dirlo in un modo migliore."

"Non c'è modo migliore."

"Si. - alza l' indice e lo punta sul mio petto- c'è sempre un modo migliore."

"Non riesco a trovare un modo migliore per parlare di mia figlia che non c'è più solo perché te non hai ancora accettato tutto questo!"

Mi rendo conto di aver alzato troppo la voce quando lei rimane pietrificata davanti a me. Senza parole, inerme, ferma a un metro da me che mi fissa."Forse eri meglio quando eri fatto." Sussurra.

Divento gelido, sento un brivido attraversarmi la spina dorsale e la stanza è così silenziosa che riesco a sentire le arterie pompare sangue. "Ti ho solo detto ciò che penso." Mi mormora ancora, quasi incapace di alzare la voce. "Potevi reagire meglio, tutto qui."

Mi rendo conto che forse ha ragione, ma non è avere ragione che voglio.
L'ho attesa per tanto tempo, ho atteso me stesso per tanto tempo. Ero perso in un turbine di solitudine, confusione e totale vuoto. Non provavo nulla, mi era indifferente tutto ma non lei e non capivo mai perché. Non capivo cosa ci fosse in lei che ancora mi desse quell'effetto.
La guardavo e provavo sempre qualcosa: vuoto, rabbia, amore, odio, desiderio.
Era l'unica cosa che mi facesse stare ancora in piedi perché riusciva a farmi provare qualcosa e non importava cosa fosse.
Ora che sono arrivato al punto di aprirmi, al punto di capire cosa ci fosse di sbagliato in me, vengo rifiutato. "Emy.- scuoto la testa. - Non capisci."

"Non mi fai capire." Alza la voce e ora la sento senza sforzarmi. Sta gesticolando perché è nervosa: lo fa sempre. Alza le mani al cielo e mi fissa, di nuovo. "Ho bisogno che tu mi faccia capire cosa cazzo hai in testa perché non riesco a farlo da sola."

"Non lo so." Mormoro in risposta. "Io non so cosa ho in testa. So solo che sei l'unica cosa che mi tiene in piedi e perderti mi devasterebbe."

"Daisy ci ha già devastati. Eppure siamo qui."

È la prima volta che parliamo seriamente di Daisy senza urlarci contro. Nella stanza c'è un'aria acre di malinconia e tristezza, che non riesco ad eliminare. Si avvicina, mi tocca il petto e sento il suo tatto dolce sulla mia pelle nuda. I suoi polpastrelli sono sempre rossastri perché si morde le unghie dal nervoso, anche se cerca di mantenerle curate senza successo. "Dobbiamo rialzarci insieme, ma voglio farlo piano."

Annuisco. Mi rendo conto che - piano o forte che sia - voglio farlo con lei. "Non sarà facile." Suggerisco, con un mezzo sorriso.

"Ce la faremo ad uscire dalle nostre dipendenze e dai nostri problemi." Le lacrime le si accumulano al lato degli occhi e cerca di respingerle mentre parla, ma la voce si spezza e singhiozza. "Siamo sul bordo della fine."

"Allora torniamo all'inizio."

Ricominciamo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 23, 2020 ⏰

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