Capitolo Sei

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Inizio a giocare con i suoi capelli, in modo spontaneo, senza ritirare la mano. Sono morbidi, come lo sono sempre stati, come lo erano l'ultima volta che le mie dita si chiusero a pugno tra le sue ciocche disordinate, prima di essere sostituiti dalla bottiglia che ormai ogni sera mi ritrovo davanti. Chiudo gli occhi e la sento, pur essendo lucida, sento la sua voce, quella voce che ad entrambi manca e di cui ne sentimmo la disperazione nel suo ultimo urlo, nella sua ultima, straziante chiamata. Mentre le lacrime salate scorrono sulle mie guance, penso ancora a lei: sta chiamando me, la mamma della quale si fidava, la mamma che mai sarebbe dovuta mancare nella sua vita e che nel momento del bisogno, era dalla parte opposta del telefono, sperando che nulla le potesse far male, ma nonostante questo, rimase ferma, con la mano a coprire la bocca e la sua faccia stupita quanto spaventata. E non ho fatto nulla.

Solo quando le sue dita toccano le mie guance mi rendo conto che il pianto che credevo silenzioso, era diventato straziante e ripetitivo. Singhiozzo, attaccandomi al suo petto. Cerco di fermarmi, inutilmente; sento il sale sulle mie labbra, bruciare sulla pelle screpolata dal freddo, quasi a consumarmi.

"Voglio un bicchiere di acqua." Piagnucolo, ancora rannicchiata al suo petto, mentre stringo la stoffa rossa della sua maglia. "Per piacere." Mormoro di nuovo.

Prende la mia mano, stringendola nella sua, intrecciando insicuro le dita con le mie; lascio che lo faccia, la sensazione nel mio stomaco è più piacevole del rumore assordante di quest'ultimo quando mancano gli alcolici a riempirlo. "Non voglio lasciarti sola.- alzo lo sguardo, vedendo la sua preoccupazione nel dire quelle parole.- Per la tua salute, ovvio." Sento le sue parole bloccarsi, incepparsi su sé stesse quando parla e balbetta.

Annuisco, alzandomi dal letto comodo, per incontrare pochi minuti dopo il legno della sedia. Faccio passare lo sguardo sul mobile di vetro davanti a me e noto subito l'assenza degli alcolici che la domenica compro. "Dove sono le mie bottiglie?" La mia voce suona meno dura di quanto mi aspettavo potesse suonare.

"Le hai finite tu.- non incrocia il mio sguardo, è voltato, mentre versa l'acqua nel bicchiere di vetro, ma sono quasi sicura che non voglia incrociarlo perché si vergogna di parlare del mio alcolismo.- Oggi è martedì."

Sottolinea, facendomi accorgere di quanto negli ultimi giorni io abbia bevuto. "Dovrò comprare più bottiglie la prossima volta." Sorrido, alzando un angolo delle mie labbra; ho sempre amato, ed amo tutt'ora, provocarlo.

Un po' di acqua cade dal bicchiere quando lo poggia con violenza e non curanza accanto a me, sul tavolo, e ciò non mi spaventa, anzi: l'effetto che le mie provocazioni hanno su di lui mi piace, perché crea in lui reazioni sempre diverse, ma sempre appartenenti a lui, reazioni dovute ai sentimenti che, anche se non riesce ad ammettere a sé stesso, prova per me. "Prima o poi, dovrai smettere." Mantiene la voce calma, senza nessun alterarsi dei toni, ma al contempo serra la mascella.

"Si.- ridacchio, attaccando le labbra al vetro.- Sul letto di morte." Lo vedo alzare gli occhi al cielo, mentre ridacchia fintamente, preso dalla rabbia che non voleva mostrare. "Come fai?- sussurro appena, guardandolo mentre aggrotta le sopracciglia.- A tenerci ancora a me, come fai?"

I suoi muscoli si rilassano, noto le sue pupille dilatarsi nel guardarmi. La sua mano si poggia sulla mia e la muovo leggermente, indecisa se lasciarla sotto la sua morbida e calda pelle o se allontanarmi da quelle mani che mi hanno sfiorata ovunque. "Francamente- sospira, quasi si sentisse forzato a dirlo.- A differenza tua, non riesco ad essere indifferente al passato." Sposta la mano ed io mi sento improvvisamente sbagliata, vuota, diversa. Improvvisamente, mi accorgo di quanto lui fosse importante per me in passato.

Ricordi riaffiorano nella mia mente. Ricordi che mai sarebbero potuti essere cancellati: la sua mano che si incrocia con la mia, mentre l'altra è occupata a tenere Daisy, che parla e commenta il fatto che lei non sia al centro. Succedeva sempre, che lei commentasse ogni nostra dimostrazione d'affetto, un po' perché stava guardando cose nuove che nemmeno pensava esistessero prima, un po' perché voleva che entrambi la considerassimo più di quanto già non stessimo facendo.

Pensare a lei fa male, usare il passato per descrivere ricordi sulla mia -ormai non più- famiglia, è doloroso, molto. "Non volevo farti stare male." Sorride debolmente, alzando il mio volto con due dita, in modo dolce, leggero, sembra quasi non mi voglia nemmeno toccare.

"Tranquillo.- rispondo, il mio tono di voce è basso e cauto quanto il suo.- Non è per quello che hai detto, è per ciò che ho pensato dopo."

"Mh?" Mormora, aspettandosi una mia spiegazione.

"Nulla, solo ricordi." Alzo, debole, il lato destro delle mie labbra, uscendo dalla stanza. Non voglio stare con lui un attimo di più, non voglio stare male, non ancora. Mi siedo sul divano e lo vedo seguirmi, sedersi accanto a me mentre la sua bocca è serrata, dando vita ad un silenzio assordante, il quale vale per me mille parole. "Vuoi dirmi qualcosa?" Sbotto, dopo minuti infiniti.

"No. -ridacchia, prendendo in giro il mio tono.- Non voglio dire nulla. -sottolinea ancora- Però voglio fare qualcosa."

Aggrotto le sopracciglia, incuriosita ed il mio tono di voce si calma. "E cosa vorresti fare?" Nella mia voce si nota quanto io desideri una sua risposta che mi soddisfaccia, ma ne sono al contempo insicura.

"Ti bacerei, se potessi." Sento il mio cuore accelerare, le mie guance arrossarsi di colpo e sul suo viso si fa spazio un sorrisino soddisfatto; sembra non gli importi, come se le parole appena dette, non contino nulla. "Saresti d'accordo, immagino." Mi prende in giro, proferendo quelle parole per schernirmi, per sminuire la reazione strana ed inaspettata, persino a me, del mio corpo. Ma sono così distratta dal nervoso causato dal suo modo di svalorizzare ogni parola, che non mi accorgo di non aver risposto.

Me ne rendo conto solo quando siamo estremamente vicini, quando sento il suo naso sfiorare il mio, mentre quelle due perle fissano le mie labbra. La sua mano accarezza il mio viso, ormai di un colore che poche volte gli appartiene. "Non esattamente." Balbetto, allontanandomi. "E smettila." Insisto, lasciando che i nostri sguardi si distraggano nel vuoto che ci circonda.

"Tu smettila di negare l'evidenza. –borbotta, cambiando poi discorso.- Tra qualche giorno andiamo da lei, volevo ricordartelo." Puntualizza, alzandosi e lasciandomi finalmente libera di riprendere un battito regolare quanto il respiro.

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