Capitolo Sette

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Mi guardo attorno, spaesata nonostante io quel posto lo conosca perfettamente: è il lago in cui mi rifugio ogni giorno, che sembrava contenere i miei pensieri e rispecchiare l'anima che voglio vedere sempre meno.
E mi incolpo, guardando l'orizzonte, lo faccio più volte, come se ci fossero delle lame affilate che trafiggono continuamente il mio petto, le quali vengono comandate da me, impazzita, mentre non riesco a fermarle.

Mi avvicino al bordo, mi lascio andare, sospirando e sperando che in quel soffio uscito dalle mie labbra, esca anche qualche malinconia e preoccupazione.
Guardo terra, con un piede nell'acqua e uno fuori, ma non stavo testando la sua temperatura. Come ho precedentemente detto, mi rispecchia ed è esattamente come speravo fosse: fredda, ghiacciata, come le mani d'inverno dopo il rientro dal lavoro.

Sento le sue mani strofinarsi sui miei fianchi. Le ignoro, rimanendo con lo sguardo perso nel nulla. Mi concentro sui miei piedi, ora entrambi in acqua, sembrano comunque più interessanti dei suoi polpastrelli che sfiorano la mia pelle, del suo respiro sul mio collo. Non lo desidero, non ora; non desidero altro che cadere in un sonno immenso, infinito, mentre queste acque mi stringono a loro con forza, senza lasciarmi andare. Mi avvicino maggiormente, ma non riesco a muovermi quando il suo leggiadro tocco si trasforma in una morsa, la quale mi tiene stretta a lui; che abbia paura di perdermi ne dubito, con i tempi che scorrono, con il tempo che ha cambiato tutto tra di noi.

"Non farti del male." Mi suggerisce, capendo le mie intenzioni. "Non farmi del male." Ripete, riferendosi però a sè stesso. Riesco a trovare difetti anche in queste parole semplici e pure; ascolto le sue parole, ma ne percepisco egoismo.

"Se volessi sparire- inizio, questa volta guardandolo.- Non mi farei del male, anzi. Tantomeno farei del male a te." Mi accorgo solo dopo della quantità eccessiva di odio che ho messo nel sputare con cattiveria e asprezza quelle parole.

"In cosa guadagnerei?" Sembra quasi oggettivo, sembra quasi che le emozioni in lui momentaneamente si siano dissolte nell'aria circostante.

Le cose si sono improvvisamente complicate nonostante siano tre parole; mi diverto a giocare con i suoi sentimenti, a vedere quegli occhi diventare lucidi, quella fronte corrugarsi, quelle sopracciglia avvicinarsi quando il suo volto assume un'espressione corrucciata, ma ora è tutto differente. Il suo sguardo è assente, le sue parole piatte, non riesco a percepire il significato reale di ciò che dice, non riesco a comprendere le sue emozioni. E la cosa mi rende nervosa, tanto da dover inventare scuse abbastanza plausibili pur di avere ragione.

"Non dovresti più incolparti per la sua morte, perché è solo colpa mia. Non avresti casini con l'alcol, risparmieresti milioni se non mi comprassi quegli alcolici da gradi anche troppo alti per un fisico come il mio."

"Per soldi?- ridacchia, scuotendo la testa.- C'è più di questo."

"No." Mi allontano, l'acqua raggiunge le mie ginocchia in pochi secondi. Ho sempre avuto paura del lago, so che raggiunge altezze nelle quali mai potrei toccare, ma non è questo il mio problema, non è questa la mia più grande paura. È arrivato il momento di sconfiggere quella paura, di arrivare dove i miei piedi non toccano più terra, dove la sabbia sembra irraggiungibile persino con le punte, ma altrettanto lo è il bordo dell'acqua quando pian piano vado affondo. "Lei, lei non c'è più- la mia voce trema, come sempre, mentre pronuncio queste parole che si riferiscono a mia figlia.- La sua voce urlava, era lì, al telefono, dalla parte opposta. Ed io non ho fatto un cazzo, non sono riuscita a fare niente se non tremare e piangere, perché non ho mai avuto il coraggio nemmeno di ammettere quanto io non me la sapessi cavare." Sbotto, urlando, indicando con l'indice il ragazzo che ho davanti, mentre disperatamente cerco di riprendermi, non riuscendoci.

"Non incolparti per questo.- mormora, avvicinandosi, noto che il bordo dei suoi jeans si bagna; li aveva rigirati per fare in modo di bagnarsi a mala pena la punta dei talloni, ma era impossibile impedire a quei paia di pantaloni di non bagnarsi.- Non sei stata tu, nè io. Emily, era anche la mia bambina. Era nostra figlia, la nostra bambina che guardavamo ogni giorno, immaginando come sarebbe stata da grande, come sarebbero passati velocemente gli anni. Ed invece è bastano un attimo per distruggere tutto, tutto." Sento come il suo tono di voce calca l'ultima parola, ora il suo sguardo è nuovamente emotivo, è nuovamente emotivo. "Non abbiamo guadagnato nulla.- vedo le lacrime scendere dal suo volto, ora disperato.- Nulla, Emily! Ti sembra una vincita? Mia figlia, nostra figlia, è morta, sparita, non è più tra le nostre braccia e tu inizi a fare discorsi su come guadagnare su una morte?"

Mi allontano ancora, spingendolo via da me, nonostante tra di noi ci fosse abbastanza distanza. Sento le sue parole passarmi da un orecchio e rimanere ferme tra le pareti della mia testa, mentre rimbalzano dall'una all'altra, rimbombando, insistenti. "Siamo due persone differenti.- insisto, guardandolo dal basso, mantenendo comunque uno sguardo di superiorità.- Io sono.. ero, tua moglie. Lei era nostra figlia."

"Sei mia moglie.- mi guarda, tenendo il mio volto tra le sue mani.- E non voglio che tu vada via, non anche tu." Sento il suo tono di voce basso, mentre io accarezzo delicata la sua mano, allontanandomi dal suo tocco. Distolgo lo sguardo, iniziando a muovere le dita sul bordo chiaro dell'acqua profonda; la mia vita è quasi del tutto immersa. "Emily, io ci tengo ancora a te."

Alzo improvvisamente il volto; tutto si annulla, come un segno negativo con un positivo, come se nella mia testa ora ci fosse solo vuoto, completo bianco macchiato dal nero di queste ultime parole. I nostri occhi continuano a guardarsi, come fossero costretti a farlo.

Scuoto la testa, indecisa.
Faccio un passo indietro, dovrei dirglielo.
Un altro, dovrei urlare che ricambio.
Un altro ancora, la mia bocca pronuncia le parole che da anni lui non sentiva, che da anni io non ammettevo nè a lui nè a me stessa.
"Anche io a te ci tengo. Anche io ti amo."
Sussurro a mala pena;
Poi un altro passo, l'acqua raggiunge il mio mento e vedo il ragazzo che ho sempre ammirato corrermi incontro, nuotare disperato mentre io scappo dalla parte opposta, lontana da lui, lontana dalle catene che mi tengono legate ad una vita che non accetto.

Un'ultima, decisiva mossa: il mio petto si muove disperato, a causa del diaframma che lo spinge, che chiede aiuto, mentre i polmoni gridano di ricevere aria, ma non riesco a descrivere come tutto accade perché improvvisamente, è tutto pacificamente oscuro, tutto assurdamente tranquillo.

Tutto così lontano dalla realtà.

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