Nono capitolo.

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Il parco era il posto più adatto, lontano dall'autostrada e dalle pattuglie della polizia che potevano fermarla in qualsiasi momento.
Guidò la macchina lungo una strada polverosa, concentrandosi sulle curve e cercando di non pensare alla ragazza, per quanto la sentisse lì accanto e seguisse ogni suo movimento. Non era mai stata sola con una ragazza così a lungo da non saper più cosa dire o come comportarsi. Aveva bisogno di tempo, tempo per conoscerla meglio, per capire esattamente chi era. Accostò e si fermò lungo il ciglio di una stradina aspettando di vedere se era stata seguita. La ragazza si agitava al suo fianco, ma non diceva nulla. Aspettò cinque minuti, per prudenza, poi soddisfatta riaccese il motore. Dietro a una curva si apriva una radura. La più piccola esclamò: - Guarda! Che bel posto!
Era colpita dal contrasto tra il suo corpo così intensamente femminile e il suo modo di parlare ingenuo e infantile. Come in quel momento: - Com'è carino qui!
Lauren annuì, si era dimenticata che esistessero posto così belli. Davanti a lei c'era un laghetto con la superficie azzurra, simile a un copriletto blu ricamato.
- Guarda - le disse la ragazza indicando un'area con scivoli, altalene e una piccola giostra sulla quale stavano sedute due bambine mentre una donna le faceva girare.
Guidò fino a un'area attrezzata per i picnic, in un boschetto di pini. Dopo aver parcheggiato rimase qualche istante con le mani sul volante, studiando la mossa successiva. Doveva decidere cosa fare della ragazza, prima di rintracciare la Señorita. Ricordò i suoi lunghi capelli, il modo in cui l'aveva guardata nella mensa, il piacere che avrebbe potuto offrirle.
Era tutto a portata di mano, ma prima doveva occuparsi della ragazza.
- Posso scendere a sgranchirmi le gambe? - le chiese riportandola bruscamente alla realtà.
- Perché no? - riuscì a dire. La ragazza scese, si stiracchiò e si diresse verso uno dei tavolini, poi si sedette con il mento tra le mani. Sembrava triste. Più triste che spaventata. Buon segno, voleva che si sentisse a suo agio.
Si sedette di fronte a lei, doveva inchiodarla, ricevere le informazioni di cui aveva bisogno. Non sapeva da dove cominciare. Con sua sorpresa fu lei a prendere l'iniziativa.
- Non ti ricordi di me? - le domandò.
- Perché non dovrei ricordarmi di te? - le rispose immediatamente, voleva essere prudente.
C'era delusione nello sguardo di lei - Quel giorno ai binari? Tanto tempo fa? - sospirò - Forse troppo tempo fa.
- Sì, mi ricordo, più o meno intorno al tuo compleanno, vero? -
Sorrise - Esatto, mia madre se n'era dimenticata, e tu sei stata molto carina con me. Abbiamo fatto una bella chiacchierata poi sono arrivati quelli con le moto. Ho pensato che fossi molto coraggiosa, quando gli hai detto di lasciarmi in pace - scuoteva la testa persa nei ricordi.
- Che altro ti viene in mente? - le chiese, pentendosene subito.
Lei scrollò le spalle - Mi ricordo che era una bellissima giornata e che dopo essermene andata mi sono sentita male.
Lauren abbassò la testa sollevata. Non si ricordava altro e non poteva collegarla con Alicia Hunt.
Dopotutto non rappresentava una grande minaccia.
Sospirando e guardandosi intorno, lei sorrise: - Proprio bello qui, vero?
- Vero - le rispose Lauren.
- Sai una cosa?
- Cosa?
- Sto morendo di fame.
Voltandosi verso il padiglione vide un vecchio che spingeva un carrettino bianco lungo la sponda del lago. Sui lati del carretto era scritto: "Hot dog, gelati, popcorn"
- Non hai fatto colazione, vero? - le chiese.
- Sei così gentile con me, Lauren - era la prima volta che pronunciava il suo nome. Si rese conto che l'ultima ragazza ad averlo fatto era stata Alicia Hunt, quella che profumava di limone. Lasciarono il boschetto e passeggiarono vicino al lago.
Camminandole accanto, Lauren si era convinta della sua innocenza. Avrebbe voluto lasciarla libera, farla scendere alla città successiva, darle i soldi per comprare il biglietto per tornare a casa. Lei sarebbe andata avanti con Maria Valdez, la Señorita. Si sentiva espansiva e la guardava quasi con affetto. Cercò una spiaggetta lungo la riva del lago.
- Cosa stai cercando? Qualcosa non va? -
- No - le rispose - Mi sono resa conto soltanto adesso che c'è una spiaggia qui.
- A me non importa - scrollò le spalle la più piccola - Non ho mai imparato a nuotare.
La giovane coppia che aveva dato da mangiare ai cigni adesso era su una canoa. La ragazza indossava un grande cappello bianco.
- Non è bellissimo? - chiese a Lauren - Piacerebbe tanto anche a me avere un cappello bianco come quello e andare in canoa.
Ordinò due hot dog, un gelato e una Coca- Cola.
La ragazza mangiò con voracità, Lauren le pulì un baffo di mostarda sulla guancia.
Mandò giù la Coca-Cola tutta d'un fiato e si lasciò scappare un ruttino, sorridendo come per chiedere scusa.
- Non ti ricordi il mio nome, vero? - Lauren evitò di ammetterlo.
- Mi chiamo Camz, mi chiamano tutti così, ma il mio vero nome è Camila. Il cognome è Cabello.
- Prometto che non ti chiamerò mai Camila, va bene?
- Dillo.
- Dire cosa?
- Camz.
- Va bene...Camz.
- Non mi hai chiesto perché... - disse in modo scherzoso.
- Perché cosa?
- Perché venivo tutti i giorni sotto casa di tua zia - colta di sorpresa, improvvisò - Pensavo che me lo avresti detto al momento giusto.
- Te lo dico, ma tu non ridere.
- Non rido spesso - replicò lei.
- Ho una fissa per te.
- Che intendi per fissa?
- Ogni tanto mi capita di fissarmi su qualcosa, più precisamente su persone. Come con te, è successo quando ti ho vista alla tv, il giorno del tuo rilascio. Mi ero ricordata quanto eri stata carina con me e da allora mi sono fissata di nuovo.
Ma non le aveva detto cosa significava veramente "fissa" e lei aspettava.
- Ecco, fissata vuol dire che ho bisogno di baciarti. Ma un bacio vero, non un bacetto sulla guancia.
Non sapeva se mettersi a ridere o liberarsi di lei il prima possibile.
- Lo so che sembra ridicolo, ma non posso farci niente. Se mi dai il permesso di baciarti, la fissa mi passerà subito...
Non poteva baciarla, forse non si fidava di se stessa. Anche se lei era molto bella, Lauren desiderava Maria Valdez.
- Scusa, lascia perdere, non avrei dovuto dirtelo.
Non sapeva mai cosa dire a quella strana ragazza. Le sembrava di perdere del tempo prezioso.
- Adesso mi ricordo qualcosa di quel giorno.
- Che giorno?
- Quel giorno alla ferrovia. La ragazza...eri con una ragazza. Ti ho vista mentre andavi nel bosco con lei, e dopo sei tornata da sola.
- Era una ragazza che avevo appena incontrato passeggiando per il viale. Aveva perso il portafoglio e le avevo promesso di aiutarla a cercarlo - non aveva perso la sua capacità di improvvisare - È ora di andare - continuò alzandosi in piedi.
Stava diventando fastidiosa, prima moriva meglio era, per tutti e due.

Quella bugia mi ha fatto venire la pelle d'oca, eppure io le ho viste mano nella mano e poi le ha dato un bacio, prima di sparire nel bosco.
Un minuto fa le ho chiesto dove stiamo andando, ma non ha risposto.
Mi sento in trappola e ho anche paura.

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