Quarto capitolo.

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Lauren Jauregui aveva cominciato con i gatti. Anzi, per essere più precisi, con i gattini. Le piaceva accarezzarli, sentirne le ossa delicate sotto il pelo. Ossa fragili, che rischiavano di rompersi se si premeva troppo, se si accarezzavano troppo. Come faceva lei, naturalmente: impossibile resistere. Poi, non si era più limitata ad accarezzarli, aveva scoperto che era più facile prenderli e coprire il loro musi con la mano per sentirli diventare meravigliosamente inerti. Era il modo che le piaceva di più, perché era così tenero. I gatti si fidano poco, oppongono resistenza, e lei odiava la violenza. A volte, però, non poteva evitarla. Doveva fare quello che la situazione imponeva. È un modo per ripulire il vicinato, si era detta. Il problema era dove metterli, poi aveva scelto la soluzione più ovvia: seppellirli.
Sua madre voleva che si desse da fare, che aiutasse in casa, che se ne andasse in giro, magari al centro commerciale. Voleva liberarsi di lei, naturalmente, per avere Harvey tutto per sé. 
Aveva fatto un salto di qualità, dopo i gatti, i gattini e il canarino di zia Phoebe, l'unico pennuto a essere stato degnato della sua attenzione.
Era andata al centro commerciale dove c'era un negozio di cuccioli di ogni tipo, tranquilli e al sicuro nelle loro gabbie. Li aveva guardati senza interesse, era stanca di animali. Cosa le rimaneva?
Era rimasta a guardare la gente che faceva compere, le ragazze avevano un aspetto davvero orribile, colori violenti, orecchini pazzeschi, troppo rossetto e i capelli che sparavano in ogni direzione.
A chi sarebbe toccato? Una ragazza o un vecchio?
Mai fare progetti, segui la corrente, segui l'istinto.
E poi era successo, aveva individuato la ragazza un pomeriggio sul tardi. Era alta, con i capelli chiari che le scendevano fino alle spalle, slanciata, un tipo giusto, con una camicia bianca e pantaloni marroni. Aveva un portamento altero, come se camminasse con un libro sulla testa. Aveva cominciato a seguirla, stava attenta a tenerla d'occhio, non troppo distante da lei né troppo vicino.
La ragazza era diretta all'uscita E, perfetta per il suo piano. Era stata a guardare le porte che si aprivano per farla uscire e aveva accelerato l'andatura, i passi che non riuscivano a star dietro ai battiti del cuore, sempre più veloci.

- Il tuo problema, Lauren, è la tua incapacità di provare rimorso.
- Ma questo è un problema mio, non suo.
- E la tua insolenza.
- Non voglio essere insolente, solo sincera. Dico la verità e la verità certe volte fa male. Per esempio, lei ha l'alito pesante, tenente, lo sento da qui. Deve dare fastidio a un sacco di gente, questa è la verità. Ma in quanti gliel'hanno detto? Piuttosto, la gente preferisce mentire o cerca di evitare la sua compagnia.
In realtà Lauren non sapeva se il tenente avesse o meno l'alito pesante. Le andava di provocarlo.
- Il dono dell'eloquenza, anche quello è un problema - disse il tenente.
- Non è ora che vada in pensione? Ha l'aria stanca - aveva ribattuto Lauren, con voce gelida.
- Che farei in pensione? Non ho hobby, non ho famiglia. Anzi no... sei tu il mio hobby, Lauren. Voglio scoprire come funzioni, come se tu fossi l'orologio rotto e io l'orologiaio.
- E chi dice che l'orologio è rotto? - aveva chiesto lei infastidita.
Il vecchio sbirro non aveva risposto.
Il tenente Proctor intervenne: - Sei una psicopatica, un mostro. Con tutta probabilità tornerai a uccidere, tu lo sai e lo so anch'io. Hai ucciso tua madre e tuo padre a sangue freddo.
- Harvey non era mio padre - rispose guardandolo con un po' di fastidio. - Avevo i miei motivi, tutto quel dolore.
-  Che ne sai tu del dolore? Sei incapace di provare sentimenti. Hai mai provato tristezza o dispiacere per quello che hai fatto?

Ah, ma lei si era sentita male come un cane per la ragazza al centro commerciale, mentre teneva in braccio il suo corpo inerte.
Alla fine l'aveva messa gentilmente a riposare tra i cespugli. Senza sapere il perché, aveva sfiorato con le labbra quelle di lei, era estasiata. Era una sensazione che doveva provare ancora, assolutamente.

Il tenente la fissò per un attimo, allungo la mano verso la sua vecchia cartella e tirò fuori un blocco giallo a righe.
Poi comincio a leggere con voce monotona: - Laura Andersun, quindici anni, il corpo trovato tra i cespugli nei pressi del centro commerciale di Greenhill, strangolata.
- È roba vecchia, non sono mai stata accusata della sua morte. Interrogata sì, perché è successo lo stesso anno in cui sono morti mia madre e il mio patrigno, una bella coincidenza.
Gli occhi del tenente tornarono al blocco.
- Betty Ann Tersa - proseguì - sedici anni, scomparsa sei settimane dopo la morte di Laura Andersun, morte presunta.
Lauren era sorpresa, ma mantenne un'espressione assente.
Nessuno l'aveva mai interrogata su Betty Ann Tersa.
- Quattro morti: tua madre, il tuo patrigno, Laura Andersun e Betty Ann Tersa. Tutti a distanza di pochi mesi, non ti sembra una cosa eccezionale?
"E una quinta di cui nessuno sa niente, il che rende la cosa veramente eccezionale" pensò Lauren.
- Perché si comporta così, tenente? Sta per andare in pensione, no? Dovrebbe godersi la vita, quanti anni le restano? Dovrebbe pensare a cose del genere.
- È una minaccia, Lauren?
- Certo che no, non mi permetterei mai.
Il vecchio sbirro sospirò e ripose il blocco giallo nella cartella.
- Scommetto che non ci vedremo più. Mi mancheranno i nostri incontri.
Mentre lo diceva si rese conto con sorpresa che era vero. - Venerdì venga a salutarmi, quando lascerò questo posto.
Il tenente si era trascinato fino alla porta, Lauren lo aveva cancellato dai suoi pensieri nell'istante in cui la porta si era chiusa.

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