Sesto capitolo.

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Ecco perché mi è venuta la fissa per Lauren Jauregui, vedendola alla TV.
Due giorni dopo aver compiuto quattordici anni me ne andavo in giro da sola, vicino alla ferrovia ripensando alla mia festa: mia madre era arrivata tardi perché aveva avuto da fare con dei tizi al bar, si era ubriacata e aveva dimenticato di comprarmi la torta.
Poi mi ero detta: "Piantala, una torta di compleanno non è poi così importante, non sei più una bambina, sei una ragazzina."
Le torte sono troppo dolci comunque, e io ero diventata troppo grande per cose del genere.
A quattordici anni non era il caso di prendersela per una torta, e quanto al regalo, mia madre se ne sarebbe ricordata all'improvviso e per il rimorso mi avrebbe comprato qualcosa di spettacolare il suo giorno di paga.
Mentre camminavo in equilibrio sui binari, cercando di non cadere, alzando lo sguardo avevo visto due ragazze che camminavano lungo le rotaie, più avanti. Si tenevano per mano e ad un certo punto erano scomparse tra gli alberi.
Avevo seguito le rotaie fino in città e poi mi ero messa a gironzolare in un piccolo quartiere.
Al ritorno, mi ero fermata a un casello abbandonato della ferrovia e all'improvviso una delle ragazze che avevo visto era lì e mi guardava, lisciandosi i capelli con una mano e tenendo l'altra in tasca.
Avevo continuato a camminare sul binario, avvicinandomi, e lei mi aveva sorriso, come se ammirasse la mia bravura di equilibrista. Era una cosa stupida, naturalmente, ma il suo sorriso mi piaceva: sembrava che le danzassero gli occhi, erano verdi.
- Ciao - aveva detto con indifferenza.
Non avevo risposto, ricambiando però il suo sorriso, come se tra noi ci fosse un'intesa.
- Come ti chiami signorina?
- Camila.
- Bel nome - poi aveva fatto una faccia strana, squadrandomi come per imparare a memoria i miei lineamenti.
- Quanti anni hai, Camila?
- Quattordici, solo due giorni fa ne avevo ancora tredici.
- Buon compleanno.
Aveva sorriso ancora, esaminandomi dalla testa ai piedi.
- Hai ricevuto molti regali? - aveva chiesto, come se non le importasse davvero, ma solo per essere gentile.
- Di tutto. Mia madre è una maniaca dei compleanni, per lei è uno sballo. Fa delle torte enormi.
Parlavo di fretta, perché ovviamente erano tutte bugie. Se parli come una mitragliatrice è più facile mentire.
Il suo sorriso era cambiato, più dolce, con una specie di tristezza.
- Non hai avuto proprio nessun regalo? Nemmeno la torta? - la voce era gentile, tenera.
In quel momento avevo pensato: "Mi conosce, riesce a vedermi dentro" e mi ero sentita come se fossimo amiche di lunga data.
- Comunque una torta non la voglio - avevo risposto - Una volta mi piacevano, adesso no.
Continua a fissarmi.
- La mia mamma è molto simpatica, solo che ogni tanto si dimentica le cose.
Lei si era limitata ad alzare le spalle.
- Non dovresti andare in giro da sola - mi aveva detto - Comunque che ci fai qui? - come se all'improvviso fosse seccata dalla mia presenza.
- È una scorciatoia, e tu che ci fai qui?
Stavo quasi per chiederle dell'altra ragazza quando un rombo di motori e una nuvola di polvere ci avevano avvolte.
Attorno a noi si erano fermate cinque o sei moto, guidate da tizi con giacca di pelle borchiata e occhialini scuri.
- Ehi, piccola - mi aveva gridato uno di loro, con ispidi capelli rossi che uscivano a ciuffi dal casco.
Un motociclista con un serpente tatuato sul braccio si era posto verso di me, le nocche d'ottone scintillanti sui guanti neri.
- Lasciala in pace - aveva gridato la ragazza.
Tutti gli altri si erano voltato verso di lei.
Era sola e sembrava così fragile di fronte alle moto gigantesche.
Il motociclista dai capelli rossi l'aveva fissata per un istante.
- Stavamo solo scherzando, abbiamo di meglio da fare...
Alzando la mano per indicare agli altri di seguirlo, aveva pigiato il pedale, facendo impanare la ruota anteriore.
- Andiamo - aveva abbaiato la sua voce roca e aspra.
Mentre la polvere si posava avevo cominciato a tossire con la gola secca. Guardavo la ragazza attraverso quella nebbia marrone.
- Meglio che torni a casa, Camila, prima che succeda qualcos'altro - aveva detto.
Il suo tono di voce mi aveva gelata.
- Cos'altro potrebbe succedere? - avevo chiesto, ma in realtà volevo dirle che con lei ero al sicuro.
- Sparisci - aveva urlato come se non le interessassi più e volesse buttarmi via.
Si era girata dall'altra parte: - Non dovresti venire nel bosco da sola - aveva concluso con tono di rimprovero, voltandosi a guardarmi mentre si allontanava.

Chiudo la porta del ristorante e me ne vado per le strade di Wickburg, è come tornare a casa.
Decido di andare alla Harmony House, è un centro dove finiscono le ragazze madri che non hanno un posto dove stare.
Una ragazza di colore apre la porta - Benvenuta alla Harmony House - dice sorridendo.
Mi fa strada verso l'ufficio, si siede alla scrivania e scrive il mio nome e indirizzo. Naturalmente non sono quelli veri, le ho detto che mi chiamo Brittany Allison.
- Hai l'aria di essere stanca e accaldata, Brittany. Ti porto al piano di sopra così potrai farti un bagno, e dopo, se vuoi, puoi scendere e stare con le altre ragazze nella sala del televisore.
Mi dà le chiavi e mi porta nella mia camera.
Riempio la vasca, mi immergo nell'acqua calda e ripenso a questa giornata. Da quando ho fatto l'autostop a quel terribile bacio con Throb.

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