Potsherds

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La mattina seguente (Camila's POV)

Questa notte non ho dormito molto. Quel poco che ho dormito, ho sognato mia madre che se ne andava. Mi sono risvegliata piangendo più volte.

Alle 6:00 un'infermiera entra per svegliarmi, cosa inutile, visto che sono già sveglia. Mi invita a seguirla sedendomi sulla sedia a rotelle per portarmi via e per avvisarmi che questa mattina, dopo essermi pesata e lavata, dovrò subire un'infinità di controlli.

Annuisco tutto il tempo, senza nemmeno ascoltarla. Il pensiero è costantemente rivolto alla persona che mi ha amata e cresciuta e che ora non c'è più. Guardo l'anello e trattengo le lacrime.

Oggi verrà anche papà, sono preoccupata, spero che smetterà di bere ora che sto meglio. Mi ha detto Sofi che prima delle 11 non arriverà, almeno ho il tempo di fare tranquillamente i controlli.

Mi spiegano che dovrò incontrare uno psicologo per qualche giorno per provare a ricordare, aiutandomi con foto, video, persone.

Dicono che aver smesso di mangiare per giorni non sia stato normale, non ricordo se davvero quei giorni non ho mangiato, ma ricordo che in passato in certi periodi particolarmente stressanti dimenticavo completamente di mangiare, non è che non volessi, ma i pensieri occupavano anche lo stomaco.

Mi successe di svenire per lo stesso motivo quando capii che la mia vita sarebbe stata un casino, essendo lesbica. Stetti molto male, non perché i miei non mi accettassero, ma perché gli amici non lo facevano, Sofi era ancora molto piccola e non potevo contare sul suo appoggio. Inoltre sfogarmi non è mai stato il mio forte, ho sempre tenuto tutto dentro il più possibile.

Ricordo che sognavo una carriera da cantante, la musica è sempre stata una parte fondamentale della mia vita, ma dai quindici anni in poi, ovvero da queste famose audizioni di X Factor di cui mi parlano, non ricordo più niente che riguardi la musica.

Come posso aver dimenticato una cosa che ho sempre sognato? Non lo saprò mai, probabilmente.

"Il cervello è complicato, signorina" mi spiega un medico mentre mi fa stendere sul lettino per la TAC, quasi come se mi stesse leggendo nella mente.

Quando finalmente, dopo analisi del sangue, punture e controlli a qualsiasi organo, mi riportano in stanza, e mi addormento, ormai sfinita da tanto movimento, d'altronde, ho passato la notte in bianco.

Un rumore mi sveglia, apro gli occhi, guardo difronte a me il muro, l'ora segna le 12:00. Il rumore era quello dei piatti per il pranzo che una donna stava appoggiando sul tavolino.

Mi alzo di scatto. Mi chiede umilmente scusa, dispiaciuta di avermi disturbato. Le sorrido e la tranquillizzo. La donna esce. Mi volto dall'altra parte della stanza.

"Ciao Camila" mi dice una figura che ancora non focalizzo bene a causa della luce.

Stento quasi a riconoscerlo, papà.
Non sembra del tutto sobrio, ma è quantomeno accettabile.

Si alza dalla sedia per abbracciarmi, puzza di alcol.

"Ti voglio bene" mi dice, ma non rispondo. È mio padre, è ovvio che sia ricambiato, ma in questo momento non mi va di dirglielo.

"Perché non mi hai svegliata?"

"Sei un angioletto, quando dormi", sorride.

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