La sveglia finalmente si decise a suonare, quel suono acuto e fastidioso che ogni mattina annunciava l'inferno. Oggi però è diverso, oggi è il giorno. Oggi la mia vita potrebbe prendere il volo oppure continuare a sprofondare negli abissi della monotonia, che ormai mi opprime. Quella monotonia che da quando ho spedito la domanda di ammissione alla FAU Florida Atlantic University di Boca Raton, mi ha fatto sbarrare i giorni sul calendario fino alla data odierna. Ma adesso? Adesso, ho una paura tremenda di aprire la cassetta della posta, quel genere di paura che ti prende alla bocca dello stomaco e ti fa venire la nausea. Così me ne resto seduta immobile sul mio letto, osservando l'ambiente circostante. Penso che forse, se dovessi partire, tutto questo un po' mi mancherà. Mi mancherà la mia cameretta ricoperta per ogni centimetro dalle foto con gli amici, la mia libreria costellata di romanzi o semplicemente questi tenui raggi solari che filtrano attraverso la mia finestra, annunciando un solare sabato mattina di metà aprile. Forse, addirittura, mi mancherà anche la solita routine, che adesso sostengo insopportabile. Ripenso a quanto io abbia atteso e desiderato per anni che questo giorno arrivasse e, malgrado il mio forte pessimismo, mi faccio coraggio, alzandomi dal letto e avviandomi alla porta socchiusa. Mentre, a fatica, mi sto trascinando per la stanza, prestando molta attenzione al mio ginocchio malandato - infortunatosi durante una partita di campionato a gennaio - sento qualcuno bussare alla porta. «Avanti!» esordisco con voce del tutto assonnata. Mia madre entra e si fa strada nella stanza. È una donna di mezza età, esile, bionda e ha gli occhi come il cielo. Da quando i miei hanno divorziato è cambiato tutto, completamente, lei soprattutto, anche se non vuole darlo a vedere. Avrà perso all'incirca una decina di chili, ha la faccia un po' rugosa per via dell'età e delle occhiaie onnipresenti. Il divorzio l'ha consumata, le ha stravolto la vita e so per certo, nonostante lei non voglia ammetterlo, che è ancora follemente innamorata di mio padre. Così quando glielo chiedo mi risponde sempre «io e tuo padre ci siamo amati alla follia, siamo cresciuti insieme e siamo arrivati al punto in cui lo stare insieme era diventata un'abitudine, non c'era più intesa». Io puntualmente annuisco e le do ragione, anche se non ci credo più di tanto e questo lo sa anche lei. «Buongiorno tesoro! Come ti senti? Oggi è il grande giorno! Cos'è quel muso?». Eccola lì, di fronte a me, più entusiasta che mai, anche se mi sembra di scorgere degli occhi lucidi. «Non voglio aprirla quella lettera. Sento che non riuscirò a reggere un altro fallimento, non dopo l'infortunio di gennaio che mi ha chiuso quasi ogni porta!» Risposi seccata, perché sapevo già dove sarebbe andata a parare la conversazione.
«Appunto, non ha chiuso tutte le porte, c'è sempre una soluzione, una via d'uscita.»
«Io non capisco come tu faccia ad essere sempre così positiva, sempre così ottimista, sempre così entusiasta per tutto e tutti. Non sappiamo nemmeno se mi hanno ammessa, è inutile parlare prima del tempo. Ora vado a prendere quella lettera così evitiamo di continuare a discutere futilmente!» Sento mia madre sbuffare. Non riesco a capire tutta quella positività. Insomma, dopo tutte quelle delusioni che abbiamo subito perché deve alimentare false speranze anche in me? Mi dirigo in corridoio e scendo lentamente le scale. Mentre sto attraversando il giardino intravedo un uomo vestito da postino. Ma cosa mi frulla in testa? Chi si vestirebbe da postino? Quell'uomo non è vestito da postino, è un postino. Dannazione sono proprio un'idiota. Così inizio a camminare più velocemente, fino a quanto il mio ginocchio mi permette, e raggiungo l'uomo corpulento con occhi e capelli scuri. Mi squadra da capo a piedi e lo squadro a mia volta. Si crea un silenzio imbarazzante e, io che non adoro stare senza parlare, interrompo quella tortura con un «buongiorno». L'uomo continua a squadrarmi dall'alto in basso in modo piuttosto disgustato e contrariato. Inizio a preoccuparmi e mi accorgo di avere addosso il pigiama dei puffi, che per una ragazza di 19 anni non è proprio il massimo. Visto che non risponde decido di continuare dicendo «C'è qualcosa che non va?» Imbarazzato, sbatte le palpebre più di qualche volta e torna sulla Terra.
«Dovrebbe firmare questa lettera, signorina. È lei Beatrice Manta?» chiede, quasi annoiato.
«Sono io e comunque si legge Manti. Non credo sia così difficile, ne ho sentiti di peggiori.» rispondo piccata.
Mi trafigge con lo sguardo e mi passa la lettera, che firmo con mano tremante, a tal punto da sembrare lo scarabocchio di un bambino. Ansiosa di scoprire il contenuto di quella lettera, congedo seccata l'antipatico postino. Rientro in casa e, per evitare svenimenti, mi siedo sul divano che si trova nel piccolo salone, illuminato e confortevole. Sto per aprire la lettera quando penso che sono disidratata e necessito un bicchiere d'acqua, così lascio la lettera sul divano. Arranco fino alla cucina, apro il frigorifero e bevo un sorso dalla bottiglietta d'acqua. Vedendo un po' di disordine, sistemo le sedie vicino al tavolo e apro la finestra per far entrare un po' d'aria nella stanza, intossicata dall'odore del fumo. Mi chiedo cosa stia aspettando mia madre per togliersi quell'orribile vizio, forse aspetta che le venga diagnosticato un tumore ai polmoni, ma dubito che smetterebbe, caparbia com'è. Respiro profondamente e dico basta ai convenevoli. Mi dirigo in salone e apro la lettera che decreterà il mio futuro. Mi vengono le lacrime agli occhi e sento le guance inumidirsi. Non ci posso credere, dopo tutto questo tempo, dopo tutti quei sacrifici, dopo tutte le notti insonni passate a studiare per l'ammissione, posso finalmente preparare i bagagli. Alt! Maledizione non ci avevo pensato, ma devo sostenere ancora gli esami di maturità. È presto per i bagagli, però posso dire di avercela fatta, mi hanno ammessa! Inizio ad urlare e ad intonare cori vittoriosi. Mia madre, nel frattempo, sentendo la mia esultanza e scendendo la rampa di scale, che collega la zona giorno della villa con la zona notte, mi guarda commossa e, avendo capito che la lettera contiene buone notizie, mi abbraccia sussurrandomi all'orecchio «sono orgogliosa di te Bea, dobbiamo festeggiare!» Sentendomi in colpa per il trattamento che le ho riservato prima, ricambio la stretta e le rispondo «grazie mamma, grazie di tutto. Perdonami per prima, ero davvero nervosa. Vado a trovare papà e gli racconto la bella notizia.» Asciugandosi le lacrime mi saluta «non preoccuparti, è comprensibile. Va' pure.»
Entusiasta ed ancora incredula, esco nella calda mattinata primaverile ed entro in garage. Metto in moto la Fiat Cinquecento della mamma e mi dirigo a casa di mio padre, o meglio alla reggia di mio padre.
Avendo avvertito mio padre del mio arrivo, durante il tragitto, ad accogliermi trovo Alvaro, il maggiordomo di mio padre. Alvaro è filippino, ma di origini spagnole. È un tipo molto silenzioso e riservato, infatti lo conosco da cinque anni e non so niente di lui. Ha una carnagione olivastra, capelli corvini ed occhi verde smeraldo. Mi accoglie sorridendo «buongiorno signorina Manti»
«Ciao Alvaro, te ne occupi tu della macchina?»
«Non si preoccupi signorina, la parcheggio io, suo padre la aspetta in soggiorno.»
«Lo raggiungo.»
Mi addentro nella villa in perfetto stile coloniale, seguendo il vialetto. Al centro di quest'ultimo si erge una fontana circondata da fiori ed arbusti. Guardandomi intorno noto che il prato è rigorosamente tosato e gli alberi potati. Niente è fuori posto, è tutto così ordinario e perfetto che mi piacerebbe creare un po' di scompiglio. Invece tengo i miei pensieri per me e salgo le scale del porticato, anch'esso così tirato a lucido e così poco vissuto, con le sue imponenti colonne, che incutono un po' di terrore. Attraverso il maestoso portone in legno e mi avvio in soggiorno. Mio padre, un uomo quasi sulla sessantina, è seduto sul suo vistoso divano in pelle marrone di fronte al caminetto. Accorgendosi della mia presenza, si alza e viene a stringermi in un caloroso abbraccio. Con la sua altezza mi sovrasta. Era un giocatore di pallacanestro, passione che mi ha trasmesso. Inoltre tutti sostengono che ci somigliamo moltissimo, perché entrambi abbiamo i capelli castano chiaro, gli occhi verdi e le labbra carnose, mentre il naso è leggermente all'insù come quello di mamma, quello di papà invece è dritto. «A cosa devo la tua visita quest'oggi?» mi chiede, sciogliendomi dall'abbraccio. «È arrivata la lettera dal college stamani.»
«E allora? Dai, non tenermi sulle spine!» risponde ansioso.
«Mi hanno accettata!» esclamo raggiante. Mi stringe nuovamente in un abbraccio e mi dice che sapeva che ce l'avrei fatta. Infine mi invita a rimanere a pranzo con lui e trascorriamo il resto della mattinata insieme.
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L'oceano per dimenticare
RomanceBeatrice Manti è una ragazza di diciannove anni in fuga dal suo passato, pronta a lasciarsi tutto alle spalle. Per questo ha scelto di frequentare l'università in Florida, per costruirsi un futuro che nella sua città non avrebbe potuto avere. L'ulti...