Chapter 4. Meghan

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La mattina è passata lenta e noiosa. Appena sono tornata a casa ho pranzato in camera mia guardando una serie tv su Netflix, dopo il decimo episodio controllo l'orario e noto di essere in ritardo.
Ripetizioni di italiano da occhi neri, non farmi ridere.
Mi alzo ugualmente dal letto, prendo una maglietta a righe e dei pantaloni della tuta, mi faccio una coda e mi infilo gli occhiali. Prendo i quaderni preparati in precedenza ed esco di casa. Odio la macchina quando fa caldo, appena tocco i sedili inizio a sudare, abbasso tutti e quattro i finestrini e proseguo così fino all'indirizzo che mi ha dato Alice, con la musica al massimo e il vento tra i capelli.
***
I miei capelli fanno schifo in questo momento, un ammasso di nodi biondi mi incorniciano il viso, per fortuna me li ero legati, ma wow, casa sua dovrebbe essere questa stando a quello che dice il bigliettino.
Una mega villa bianca e celeste mi guarda aspettando che suoni il campanello.
Sembro una ragazza menefreghista ma mi vergogno sempre. Cammino davanti il cancello nero in ferro battuto prendendo in considerazione la possibilità di andarmene e dirgli di non aver trovato la casa. Dopo 10 minuti sono sempre lì, tremendamente in ritardo, che cammino aspettando che arrivi l'illuminazione. Non mi riesce prendere le decisioni, sono veramente negata, potrei stare giornate a decidere il colore di una penna piuttosto che di un pennarello. Ad un certo punto, come sempre, mi stufo e suono il campanello. Il citofono fa strani versi come quando la segreteria telefonica ti mette in attesa, mi avvicino alla piccola telecamera sopra di esso ed inizio a fare delle facce buffe. Dopo interminabili secondi una voce da donna riempie le mie orecchie facendomi sobbalzare e mi rendo conto che la persona dall'altra parte ha visto tutte le mie smorfie. Grazie a questo pensiero divento rossa come il mio zaino continuando a non rispondere alla signora che mi chiede gentilmente chi sono e come può aiutarmi.
Scavami una buca dove morire, ecco come puoi aiutarmi.
Quando torno alla realtà mi giro verso la telecamera e gli rispondo cercando di sembrare sicura -Sono Meghan Foster e dovrei vedere Harold per la lezione di italiano..-
Ti sei ricordata il suo nome.
Menomale, non voglio immaginare la figura che ci facevo se lo chiamavo ragazzo sexy dagli occhi neri.
Il cancello si apre e sulla porta compare un'anziana signora con un grembiule bianco che mi aspetta con un sorriso che le copre tutta la faccia.
-Buon pomeriggio signorina Foster, il signorino Coleman è al piano di sopra, la stanza la riconosce, le dico solo che sta ascoltando la musica.- mi accoglie dentro casa sempre con il suo sorriso. Mentre salgo le scale un piccolo ammasso di capelli biondi e ricci mi si attacca alla gamba -Ciao, chi sei?- mi chiede scrutandomi con i suoi occhioni celesti -Sono Meghan, dovrei andare in camera di Harold- lei pare illuminarsi -Sei la fidanzata di mio fratello? Io sono Zoe- io rimango a bocca aperta -Piacere Zoe, non sapevo che tuo fratello avesse una sorella più piccola.. no, non sono la sua fidanzata, devo solamente imparare un po' di italiano- la informo come se non dovessi fare la cosa più difficile del mondo.
Sei esagerata.
La bambina mi lascia con un sorrisetto appena la signora la richiama al piano di sotto informandola della merenda pronta.
La camera la trovo facilmente, la musica che ne proviene rimbomba in tutto il corridoio, busso e ovviamente non mi sente, quindi apro direttamente la porta. La prima cosa che noto sono i colori. Tutto in questa camera richiama il grigio. Poi i miei occhi incontrano la figura di Harold, seduto davanti la scrivania su cui ha appoggiato i piedi. Mi dà la schiena, indossa solo dei pantaloni grigio scuro e sta guardando il computer. Dopo averlo chiamato un paio di volte e non aver ottenuto risposta mi avvicino a lui e gli metto una mano sulla spalla. Lui sobbalza -Cazzo Ali quante cazzo di volte ti ho detto di.. Oh Meg sei venuta!- il suo tono cambia completamente quando mi vede. Non si aspettava che venissi, è molto sorpreso, e lo sono anche io a dir la verità. -Ti sei fidata di me vedo, siediamoci sul letto- e così dicendo mi prende per il polso, un'altra volta. Riconosco questa stretta, non mi fa provare senso di disgusto, non brucia, non ho voglia di tirargli qualche pugno, è quasi piacevole, e questo mi preoccupa da morire, portandomi a strattonare il mio braccio dalla sua presa e sedermi sul tappeto, per questioni di distanze di sicurezza. -Io rimango qui, fai come vuoi, vicino a te non ci sto, potresti essere un maniaco, non ti conosco- lui scoppia in una fragorosa risata e dopo alcuni battibecchi in cui io ripeto fermamente di non fidarmi di lui perché potrebbe essere chiunque e lui affermando il contrario, iniziamo a studiare.

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