En garde!

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Tornai nelle mie stanze di primo mattino, passando dall'ingresso secondario, quello nascosto che ha l'uscita nella foresta. Scelsi un abito di tulle nero e facilmente infiammabile, insomma dovevo pur essere presentabile per il mio torturatore.

Lucas questi tuoi tentativi sono inutili.

Cos'hai intenzione di fare Liv?

È già qui?

Si siamo nel salone. Stiamo bevendo e chiacchierando del più e del meno. Manchi solo tu.

Salii lentamente la scalinata in pietra che divide la mia stanza dal piano terra e attraversai il lungo corridoio illuminato da vetrate fino al soffitto. Sentii voci provenire da fuori. Ma guarda chi si rivede. Ciao Pinco. Pensai mentre lo intravvidi nel giardino a parlare con una delle nostre guardie. Il padrone ha sempre bisogno del suo cagnolino. "Insomma non si può mai essere troppo sicuri, noi abbiamo aumentato la sicurezza al castello" Chissà perché. Lo oltrepassai inosservata.

Liv. Per favore. Sentii la supplica ancora una volta prima di oltrepassare le porte bianche del salone.

Riconobbi l'esatto momento in cui la realizzazione di chi fossi scese sul suo viso. Passò dalla finta faccia rilassata che un tempo vidi nel suo ufficio a quella più vera, quella che tralascia i sentimenti. Mi sedetti sulla poltrona alla sua sinistra senza staccarli gli occhi di dosso. Lui fissava me ed io lui, e che lui sia maledetto. Avrei voluto odiarlo con tutto il cuore e provare disgusto per il suo aspetto ma era più bello di prima. Senza barba, coi capelli raccolti, la camicia e i pantaloni neri e quell'espressione da dio risalito dagli inferi. Vidi i suoi occhi verdi lavorare, elaborare la situazione, e la sua mascella perfetta irrigidirsi, probabilmente arrivando alla conclusione finale.

"Nate, lei è mia figlia maggiore, Livia." Non penso si meritasse quel tono e appellativo colloquiale da parte di papà. Cionondimeno vinsi la gara di sguardi. Stacco gli occhi solo per fissarlo. Solo per un attimo, prima di dire:

"E guerra sia!" e appena lasciarono le sue labbra scattò dalla sedia verso papà, ma ero già pronta e veloce quanto lui. Gli afferrai la camicia e con un giro a tutto tondo replicai la mossa che non molto tempo fa mi insegno. Solo che lui non volo attraverso il muro, fini solo contro la vetrina di liquori rari, spargendo bevande e ciottoli ovunque. Gli balzai sopra, il mio gomito e pugno furono prontamente parati, non tanto la ginocchiata però. E mentre si piego di lato per schivarmi, riadattai lo schema, stavolta con entrambe le mani, ignorando le urla e il fracasso alle mie spalle. Il mio obbiettivo era semplice: una volta sulla schiena, con il braccio destro lo tengo immobilizzato e con l'altro accompagno un pezzo di bottiglia verso il suo cuore.

"IMMOBILE." Sentii il formicolio invadermi il corpo. Rimasi cosi, vicina al suo viso con centimetri di distanza da ciò che avrebbe causato la fine di quello che mi aveva fatto soffrire.

Ci misi secondi a comprendere le urla di mamma contemporanee all'ordine. Vidi il mio sguardo deciso riflesso nei suoi occhi spalancati, trasformarsi in stupore.

"Cosa?" chiesi sotto voce.

"Lui è TUO!" Sentii dire di nuovo a mia madre. Le parole ancora una volta ci misero un attimo a scendere nel profondo della mia anima. Il cuore prese fuoco, e lo diffuse nel resto del corpo, fino ad arrivare al vetro che mi scoppio tra le dita. Gli fissai le labbra che abboccarono nel vedermelo fare.

"Hai paura adesso?" chiesi a denti stretti mentre rispettando l'ordine tentai di bruciarlo vivo. Una forza mi spinse dall'altro lato della stanza e mi alzai scoppiando, facendo andare tutti gli estintori. Ed eccoli li. I miei parenti tutti di fronte al mio lui, a difenderlo. Cercai di muovermi ma papà e ora anche Lucas si imposero.

"Livia."

"Lucas tu sai cosa mi ha fatto! Come puoi tradirmi cosi?!" urlai mandando strisce luminose ovunque.

"Livia. Qualunque cosa sia successa, lui non lo sapeva. Non puoi ucciderlo!"

"Per l'amor di dio Livia, ti prego."

Lucas, mamma e papà in posizione difensiva tra di noi. Mentre lui sconvolto e ancora per terra mi fissava senza dire una parola.

"Da quanto tempo?" feci uscire fra i denti. Rivolta a tutti. Ignorai le suppliche di mamma e fissai Lucas. Non avrei avuto risposta dal signor Dawn. L'adrenalina gli fece sfuggire un pensiero: da quando siamo nati. Bastò per farmi scoppiare ancora, senza avanzare, creai palle di fuoco da mandare verso i miei nuovi nemici. Non oltrepassarono il muro invisibile, ma venni spinta fuori dalla finestra da delle parole, ancora lievitando venni investita da un corpo, in piena forza. Nathan salto fuori e l'impatto mi destabilizzo facendomi atterrare a poca distanza da lui.

"Che cazzo!"

"Ciao Pinco." Sorrisi mentre gli lanciai una palla di fuoco che schivò, e fece uscire acqua dal terreno. Ironia della sorte, lui controllava l'acqua.

"Lui mi ha ordinato di andarmene! Non sapevo fossi tu!" mi sentii dire, e decisi che era abbastanza.

"Alastair! Non farla andare via!" sentii urlare Clara. Maledetta Clara.

"FERMA!" Sospesa a metà aria sopra di loro la fissai emettendo abbastanza calore da costringere James a coprirsi gli occhi.

"Davvero zia? Era sempre stata questa la tua previsione?"

"è molto più complicato, io devo farti vedere Livia, io..." attaccai anche lei. Ora avevo fuoco da vendere. Uno di loro sarebbe morto, poco importava che fossero miei famigliari, la rabbia era l'unico motore portante. Il Cobra mi salto di nuovo addosso, facendomi cadere, la sua camicia ormai a brandelli.

"Ascoltami." Gli tirai una testata e sentii le ossa del suo naso separarsi.

"L'hai uccisa davanti a me!" Cercai di lanciarlo di nuovo ma mi ci trascino con lui per metri, senza liberare il mio braccio.

"Dovevi dirmelo!" mi urlo in faccia sopra di me, cercando di immobilizzarmi. Emisi un'onda che scoppiando lo balzo contro un albero spezzandolo a metà.

"Pensavo ti scopassi mia madre!" Gli urlai prima di piombargli di nuovo addosso, cercando di staccargli la testa a mani nude.

"VAI NELLA TUA STANZA E RESTACI!" il mio corpo si irrigidì e senz'altra possibilità, levito verso il seminterrato. Come un adolescente messa in castigo, senza modo di scappare: un ordine, era un ordine.

"Davvero?! Siete dei bugiardi! Mi avete mentito! Vi odio tutti!" furono alcune delle cose che mi uscirono dalla bocca nel mio tragitto, già, proprio come una bambina in castigo. Una volta sulle scale emanai tutto ciò che mi restava ed invasi il sotto suolo. La porta sul corridoio era ormai incandescente. Sarebbe rimasta cosi per ore. I tentativi di Lucas furono tutti accolti da: ti odio. Stai fuori dalla mia testa. Mi avevano mentita per tutta la vita, ero destinata a passare l'eternità con un uomo che mi aveva torturata per settimane. Dolore misto a rabbia mi tolsero la ragione, l'unica cosa che riuscivo a vedere, a sentire erano i miei sentimenti. Rimasi ferma immobile nella camera allenamento a bruciare finché esaurii tutte le mie energie. Poi mi trascinai sul letto, mi misi sotto le coperte e rimasi immobile a fissare il soffitto. Fu allora che mi resi conto che mi aveva toccata. Durante tutto il nostro scontro non mi ha mai levato di dosso le mani, eppure era illeso.

L'inferno dipinto di bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora