Quando riaprii gli occhi, la fame mi invase, poi la sensazione che qualcosa fosse sbagliato e diverso nel mio ambiente. Seduto sulla sedia di ferro antico nell'angolo della stanza, vicino alla porta a guardarmi e basta, c'era il Serpente. Prima che potessi avere qualsiasi reazione disse:
"Il fuoco non mi ha mai fatto niente. Quando avevo otto anni, i ribelli hanno incendiato la nostra casa bruciando vivi i miei genitori e tutto quello che avevamo. Io però, ne sono uscito illeso."
"Ma che storia triste." Dissi con tono sarcastico, lo fissai stringere i denti e passarsi le mani nei capelli disordinati. "Quasi come quella del: il mio compagno mi ha torturata per settimane e poi mi ha condannata a morte. Ma siamo vissuti felici e contenti."
Non volevo sapere cose della sua vita che avrebbero potuto rendermelo più umano. Era un mostro e doveva restare tale. Mi alzai trascinando i piedi, avvolta nel mio lenzuolo e scelsi dei vestiti dal mio armadio dandoli le spalle. Non aggiunse altro, rimase li a guardarmi e basta.
Chiusi la porta del bagno dietro me e mi guardai allo specchio. Pallida, con le occhiaie ormai rosse, era visibile che avevo bisogno di nutrirmi. Mi misi l'intimo, i pantaloni neri a vita alta e il maglione bordeaux. Era il mio preferito, arrivava fino alla vita, ma era morbido e il colore faceva risaltare l'ambra dei miei occhi. Ne ho altri cinque nell'armadio. Raccolsi i capelli in una coda alta e mi lavai la faccia. La guardai asciugarsi da sola un attimo dopo. Ispirando profondamente tornai nell'arena.
Lo ritrovai dove l'avevo lasciato, immobile.
"Cosa hai fatto al tuo olfatto?" chiese meccanicamente. Scuotendo la testa e muovendo il braccio indicando me e poi lui dissi:
"Questa cosa non succederà mai." Non trattenni il mio disgusto. "Quindi prendi pure i tuoi cagnolini e tornatene da dove sei arrivato." Si, a questo ebbe una reazione.
"Questa cosa?!" alzo la voce scattando dalla sedia. "Questa, non è una cosa qualsiasi, è la COSA!" disse imitando le mie gesta.
"Ma per favore! Stiamo meglio senza." Spazio, avevo bisogno di mettere spazio tra di noi quindi mi allontanai.
"Non mi conosci. Non sai nulla di me."
"So abbastanza!" urlai "So più di quello che mi serve per sapere che non ti voglio!"
"Non sapevo fossi tu! Come potevo?! Hai fottuto il tuo olfatto!"
"E meno male che l'ho fatto!" odiai me stessa, per trovarlo attraente quando, per la frustrazione si passo di nuovo una mano fra i capelli e si giro dandomi le spalle. Ispirando lentamente, abbassando il suo tono di voce torno a dirmi:
"Mi dispiace ma non hai scelta." Risi sarcastica.
"Scusami? tu non hai scelta. Come pensi di obbligarmi?" gesticolai con aria di sfida, non poteva, "Pensi di torturami un altro po'?"
"Eri un'intrusa in casa mia! Come facevo a saperlo?! Non starò qui a sentirmi dire che non ho scelta, non di nuovo!"
"Vivrai." Dissi incrociando le braccia.
"Vivrò? Pensi che trent'anni siano stati una passeggiata?"
"Ma per favore, non fare il martire. Te la sei cavata più che bene. Perché rinunciare alla sfilza di donne che vengono in pellegrinaggio a casa tua?" e provai vero disgusto all'idea, o gelosia? No. Disgusto. Ero schifata, sì. E pensare che per un attimo mia mamma era una possibile candidata.
"Tutte uguali a te! Alla descrizione che tua madre mi ha fornito nelle lettere!" disse urlandomi contro. "Ho sopportato abbastanza, ora le regole le faccio io!"
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L'inferno dipinto di blu
VampireIn un mondo popolato da esseri potenti ed immortali, Livia cerca di riprendere il posto che le spetta di diritto. *** "Solitudine e immortalità non vanno a braccetto" ci disse un giorno l'insegnante di storia parlando dell'Epidemia e di come, un uo...