2 - Boss

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Mi sembra di vedere la luce in fondo al tunnel quando la porta si apre e il biondo che prima mi aveva lasciata sola fa capolino con molto entusiasmo: «Il capo vuole parlare con te» dice e aspetta che lo raggiunga -grazie per l'aiuto- così con l'aiuto delle punta delle dita cerco di alzarmi senza cadere di faccia, potevano almeno togliermi le manette avendomi già chiuso in una cantina fredda prendendomi lo zaino.

«Capo? Siete una gang di super teppisti?» Gli rido in faccia e invece di una risposta cordiale mi da una bella spinta tenendomi per il collo. Vedo che sei più grosso di me, ma conteniamoci.

«Gentile...» roteo gli occhi al cielo e sbuffo silenziosamente.

Camminando per i corridoi rovinati i ritrovo dentro ad una stanza con l'ordine di sedermi ed aspettare.

La stanza è grande e arredata, a differenza dell'ambiente circostante.

Ha un arredo molto moderno sui toni del grigio e al centro c'è un tavolo in vetro rotondo circondato da sedie bianche. Un divano in pelle nera su cui sono devuta e una libreria dall'altra parte della stanza.

Sembra la versione moderna della tavola rotonda di Re Artù. Trattengo una risata proprio nel momento in cui la porta si apre di scatto e un ragazzo -giovane dal viso stanco ma allo stesso tempo da farti perdere il fiato- entra con l'aria di uno che non ne vuole più sapere, di me o qualsiasi altra persona.

Capelli castani tirati su probabilmente con della lacca, occhi blu circondati da leggere occhiaie, vestito con jeans neri strappati, maglietta bianca e giacca rigorosamente in pelle nera.

Si appoggia alla tavola rotonda e incrocia le braccia mettendo in evidenza i suoi bicibiti, posso giurare di aver sentito il suono dei fili della cucitura strapparsi uno ad uno lentamente. Mi osserva con attenzione facendomi quasi perdere la pazienza finchè si passa una mano sul viso sbuffando: «Tu sei?» Chiede, assotigliando gli occhi quasi curioso, ma non sembra tanto interessato alle mie parole.

«Un povero umano che respira lo smog di questa terra» parlo con fare teatrale guardandolo con espressione sofferente. Alza un sopracciglio guardadomi con un pizzico di irritazione.

«Respirerai ancora per poco, -sospira con una scrollata di spalle- se non mi mostri rispetto» Decisamente per niente interessato.

«Rispetto chi mi rispetta» gli mostro le mani muovendole per far tintinnare la corta catenella delle manette. Almeno la orda l'hanno tolta.

«Stai ricevendo fin troppo rispetto da parte mia, per essere una donna».

«Maschilista» lo guardo malissimo, ma non sembra toccarlo minimamente, anzi, ne sembra grato, scrolla le spalle ed estrae una pistola da sotto la giacca come se fosse la cosa più normale del mondo e la carica: «Come ti chiami?»

Sorpresa i miei muscoli si irrigidiscono e mi ritrovo a rannicchiarmi non dando troppo nell'occhio. I miei piedi si avvicinano di più alla parte bassa del divano e le mie mani si incollano al mio ventre. Vuoi un tè tesoro? Un po' di polvere da sparo da dissolvere dentro? Magari addolcisce un po'.

«Non c'è bisogno di arrivare a questo -ridacchio guardandomi intorno- Ivory, Ivory Andrei».

«Quanti anni hai?»

«Venti» neanche quando mi ha preso la polizia due anni fa erano così noiosi.

Annuisce e posa la pistola sul tavolo: «Cosa facevi in quel parco?» Mi rilasso vedendo che la pistola non è più nelle sue mani e cerco di rimettere tutti i pezzi insieme in un sospiro.

«È un parco pubblico, ogni comune cittadino può passarci. Se dovete uccidere qualcuno semplicemente scegliete un posto più appartato» scrollo le spalle rispondendo ovvia; ora non si può più barboneggiare?

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