Penso tanto, Ester, penso allo scorrere del tempo, alla memoria, penso alla vita.
Quando mi perdo in questi pensieri ne esco sempre sconfitta, priva di risposte.
Il mio prozio, che era un mito per tutti noi, ha pubblicato su Facebook alcune sue foto di quando lavorava alle piattaforme petrolifere nel Nord Africa (Arabia, Egitto...), negli anni '60.
Le fotografie mi fanno sempre uno strano effetto.
Forse avevano ragione le genti di quelle culture secondo cui le macchine fotografiche rubano l'anima; è per colpa delle fotografie che le nostre esistenze non hanno più senso?
Guardo l'immagine di questo zio, Egitto, 1963, è un uomo vigoroso, curioso del mondo, attivo, giovane.
Oggi supera gli ottant'anni e anche se è in gran forma non è più da molto l'uomo che appare nelle foto.
Ma, ecco, io mi perdo in quello scatto, una fotografia già a colori (il tempo passa e ora è vecchio ciò che per noi era una novità) che, se non fosse per alcuni dettagli, potrebbe essere stata scattata oggi. Potrebbe. Ma non è così, mio zio è ormai un uomo anziano, non tornerà mai più in Africa, non potrà, mettendo un dito su quella fotografia, riprendersi ancora un po' dell'ossigeno che respirava allora.
No, il mio pensiero non è rivolto alla fine della vita, la morte non mi spaventa e non mi interessa, il mio pensiero è tormentato dall'idea del tempo e della memoria.
Facebook ogni giorno ti propone quello che hai pubblicato in questa stessa data anni prima e ieri è capitata una mia foto di un anno fa.
L'ha scattata mio marito, siamo in riva al lago, a Como, e io sorrido stanca.
Guardo quella donna che ho sotto gli occhi, quella tipa che ero io allora. Ero io, ero lì, nella foto sono e sempre sarò lì, ma non è vero, non sono lì, è passato un anno, e mi sembra pazzesco che un anno fa, esattamente un anno fa, io avessi un tumore senza saperlo. Mi sembra pazzesco che nulla in quel giorno, o prima di quel giorno, mi avesse avvisata che sarebbe presto cominciato un anno infernale. Le fotografie sono diaboliche, sono perverse.
Penso a mia zia, morta a dicembre, che solo qualche mese prima aveva fatto una terapia completa di agopuntura per riuscire a recuperare un minimo di autonomia motoria. Perché non gliel'hanno detto? Perché non c'è nessuna entità, nessun dio, nessun genitore supremo a cui appellarsi, che ti dice quanto e quale tempo ti è rimasto? Perché non si può tornare indietro un attimo, per godere ancora, solo un momento, di quello che non sapevi che avresti perso?
Non sono sicura che la vita umana valga qualcosa. Dico sul serio. Non abbiamo dimostrato una gran bravura a gestire l'ambiente in cui siamo nati. Fossimo figli di una madre responsabile saremmo in punizione perenne per il grande disordine e la sporcizia con cui teniamo la nostra camera. Ma non è una camera, è il nostro pianeta, e non c'è nessuna madre che passerà a riordinare per noi. Saltuariamente mi appello all'arte e alla bellezza, ma continuo a non vedere il senso e il valore della vita, nemmeno quando penso a uomini grandiosi come Leonardo o Einstein. Mi pare che tutto quello che è stato fatto dall'uomo sia stato fatto unicamente per l'uomo. Non mi pare che ci sia un messaggio, un'anima, che vada oltre la nostra esistenza, che non sia fatto per il nostro stesso piacere, per il nostro godimento o che non sia funzionale all'uomo. Non c'è nulla, assolutamente nulla, che sia destinato, come saltuariamente è stato in tempi antichi, a comunicare con gli dèi.
Non sto dicendo che dovremmo ripristinare le antiche religioni o farne nascere di nuove o, peggio, alimentare quelle esistenti. Dico, però, che l'unica cosa che trascende l'umano sono le preghiere delle menti semplici, quelle che ancora credono ad esistenze superiori che governano la vita terrena.
Quindi, se non abbiamo più nulla per cui valga la pena fare arte, bellezza, scienza, se non c'è davvero altro scopo se non quello stupido istinto di conservazione della specie, che senso, scopo e valore ha la vita? La vita di ciascuno, di ogni singolo individuo, che sia esso colto o ignorante, creativo o pedestre, ingegnoso o routinario, che abbia o non abbia contribuito alla qualità della vita umana, a cosa serve se lo scopo non è altro che l'infinito riprodursi, in un circolo sempre uguale, di nascite e morti che segnano la partitura temporale di una moltitudine di esseri che somigliano più alle invasioni estive delle formiche, che ad esseri senzienti, consapevoli ed evoluti.
A cosa serve il progresso se non abbiamo uno scopo? A chi o a cosa lasceremo il nostro retaggio?
A che serve che io scriva questa pagina con stile e sapienza se non serve a comunicare con gli dèi?
La gente muore, così, senza preavviso. Che differenza fa al Cielo e alla Terra che io sia viva o morta? L'erba crescerà lo stesso senza di me. Nulla cambierà al mondo, o fuori dal mondo, quando io non sarò più. Per quanto mi riguarda, oltretutto, non credo che la mia morte potrà riguardarmi più di quanto mi riguardi l'educazione di una papera in uno stagno.
Ecco, che differenza c'è tra la mia faccia nella foto di un anno fa e il cadavere che sarò un giorno? Non sono entrambe due futili manifestazioni della mia inutile esistenza?
Dicono che la vita umana è un valore assoluto. Io ho perso questo valore, Ester. Sarà la stanchezza, saranno le delusioni, ma non vedo dove stiamo andando. Non lo vedo più.
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La notte più lunga - il dio di cartapesta - (BOZZA)
General FictionUn lungo De Profundis contemporaneo. Una confessione che intreccia le vite di due donne che non si sono mai viste ma le cui vite si sono incrociate in un momento decisivo per entrambe le loro esistenze. Ester e Silvia, dopo aver passato la vita a im...