Ricominciare o andare avanti

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15 Luglio.
《Io e tua madre non ti riteniamo assolutamente responsabile di quello che è successo nell'ultimo mese. Nonostante ciò, saprai che qui abbiamo una reputazione da difendere. Abbiamo faticato molto per arrivare al posto che abbiamo ora negli affari. I tuoi fratelli Alice e Gabriel sono in accordo con noi nel doverti allontanare dalla nostra vita. Rimarrai nostra figlia solo legalmente e contribuiremo economicamente alla tua vita, ma i nostri rapporti si fermeranno a questo. Siamo consapevoli che questo discorso avremmo dovuto farlo con un leggero preavviso ma siamo stati costretti a ridurre il più possibile la tua permanenza in casa nostra. Il disastro avvenuto è troppo grande per evitare che la nostra carriera ne risenta. Se vorrai potremo vederci nei giorni festivi. Come Natale e il Ringraziamento. Jessica ti ha preparato le valigie. Anticiperai la tua partenza per il college, a New York, abbiamo già provveduto a trovarti l'appartamento migliore e ad intestare l'affitto sul conto della nostra famiglia. Abbiamo anche aperto un conto tuo con qualche migliaia di dollari che userai come meglio credi e siamo disposti a versarne altri nel caso in cui tu ne abbia bisogno. In camera tua ti verrà dato il biglietto. Tra un'ora Lucas ti accompagnerà all'aeroporto . Puoi contattarci solo in caso di emergenza. Con la tua lontananza riusciremo a zittire la stampa.》
Ero stata convocata urgentemente nello studio di mio padre, stanza dove mi era sempre stato proibito andare e che osservai solo in quel momento dopo diciotto anni di vita.
Ero entrata già tesa, i capelli legati in uno chignon improvvisato lasciavano ricadere solo alcune ciocche nere che stavo attorcigliando tra le dita. Erano passati ventotto giorni dal diploma, ventotto giorni dalla tragedia e ventisei da quando la mia vita era paragonabile a quella di un vegetale. I pantaloni della tuta ormai consumati ricadevano larghi sulle mie gambe e la t-shirt era diventata sorprendentemente larga, tanto che mi ci potevo nascondere dentro.
Quando aveva finito quel discorso sicuramente scritto da Lucas, autista e consigliere personale di mio padre, io ero impallidita e avevo perso quel poco di colore rimasto sulla mia faccia.
Il mio volto si richiuse in una smorfia. Probabilmente se non avessi già finito tutte le lacrime a disposizione, in quel momento avrei pianto. Non riuscii nemmeno a muovermi e mio padre era ancora lì con gli occhi fissi nei miei e la fronte corrugata. Tutto in quell'uomo mi ricordava l'infanzia.
Oh, papà mi dispiace così tanto.
Avrei voluto dirglielo, ma non emettevo parola da settimane ormai, nonostante mi fossero venuti a trovare tantissimi psicologi la voce non voleva proprio tornare. Il che non era da me. Avevo passato la mia vita a rispondere a tono a tutti. In passato avevo una lingua tagliente e la parola era la mia unica arma. Dopo l'incidente mi è stata portata via anche quella. Tentai di far fuori uscire qualche suono dalla mia bocca ma la gola mi si richiuse.
Un dolore lancinante al petto mi riportò alla realtà. Avrei dovuto allontanarmi da casa, vivere una vita diversa, da sola e avrei dovuto anche cercare di concentrarmi sullo studio. Non potevo riuscirci. Non ci sarei mai riuscita. Quando avevo fatto domanda per il college, la situazione era completamente diversa.
Lo sguardo rimase fisso nel vuoto.
Papà batté le mani per riportarmi all'attenzione.
《Jane hai capito quello che ti ho detto? Hai qualche domanda?》
Qualche domanda? Il cervello mi scoppiava talmente tante erano le domande che avrei voluto fargli. Ma stetti zitta. Non avevo prodotto niente di buono in quella famiglia negli ultimi tempi. Avevo fatto un disastro dopo l'altro.
Scossi la testa.
《Bene, i tuoi fratelli e tua madre non potranno salutarti. Quindi mi hanno chiesto di farlo da parte loro. Ora fila in camera tua e preparati. Come ho già detto Lucas ti accompagnerà tra un po'. Se incontrerai Jessica nel corridoio ringraziala di averti sistemato le valigie con così poco preavviso.》
Annuii ancora e uscii da quella stanza con i pensieri aggrovigliati nella mente.
Incrociai Jessica di fronte alla camera di Gabriel, a circa dieci metri dalla mia.
《Grazie per le valigie.》
Le dissi in labiale. Le mie corde vocali avevano dormito per troppo tempo e cercare di risvegliarle così improvvisamente era come cercare di accordare un violino dopo anni e anni di riposo e illudersi che le corde arrugginite non si potessero spezzare.
In qualche modo Jessica capì. Annuì col capo e le si riempirono gli occhi di lacrime.
Mi abbracciò così forte che credetti di spezzarmi, eppure ebbe tutto l'effetto contrario perché quasi riuscii a sentire il suono di qualche pezzo d'anima che finalmente andava al suo posto.
Jessica era la nostra cameriera da quando ne avevo memoria. Aveva fatto tutto quello che avrebbe fatto una mamma, più con me che ero l'ultima figlia piuttosto che con i miei fratelli.
Mentalmente rividi tutti giochi, i pranzi, le uscite, i sogni fatti insieme e i consigli che aveva cercato di darmi quando ero entrata nell'adolescenza. Dovevo la vita a quella donna. Era stata quello che mia madre non era mai stata e mi aveva dato un amore che non avrei mai scordato.
《Piccola Jane, mi mancherai un sacco. Hai il mio numero di cellulare, puoi chiamarmi quando vuoi. La tua lontananza per me non ha valore. Lo sai vero?》
Annuii e intravidi nei suoi occhi un miscuglio tra la sofferenza e la speranza.
La abbracciai di nuovo.
《Ti voglio bene.》
Le dissi, e sta volta la voce uscì in un sussurro.
Lei mi strinse di nuovo e poi mi salutò nel suo solito modo, facendo un inchino come se fossimo nel settecento. Era un saluto scherzoso nato quando a dieci anni mi illudevo di essere una principessa.
Sorrisi e mi diressi in camera. Non c'era più niente che ricordasse il posto in cui avevo passato tutte le notti della mia vita.
I poster, le foto, gli album dei miei cantanti preferiti. Era tutto sparito. Mi meravigliai del poco tempo che ci avevano messo a sgomberare l'intera camera. Aprii la porta della mia libreria, una cabina armadio riadattata, e quasi sorrisi quando vidi che tutti i miei libri erano spariti. Su uno scaffale c'era un biglietto 'Ho mandato il pacco nel tuo nuovo appartamento. Credo che se arriverai prima dei tuoi coinquilini sarà meglio.
-Jessica'
Coinquilini?
Non ci potevo credere. La mia famiglia navigava nell'oro e mi aveva affittato un appartamento con dei coinquilini. Poteva sembrare una cosa futile e in effetti lo era. Fui disgustata, non per l'appartamento in sè, ma per l'dio che quel gesto scaturiva. E per la prima volta sentii un pizzico di contentezza nel dovermene andare.
Mi preparai velocemente e quando entrai in macchina diretta all'aeroporto capii che l'unica vera cosa che mi sarebbe mancata di quel posto sarebbe stata la vera me che era nata e morta lì. Chiusi gli occhi e flashback frammentati tornarono alla mente.
Sentii un dolore al petto e i classici 'sintomi' che precedevano un attacco d'ansia. Strinsi le mani e ficcai le unghie nella pelle.
Con tutto quello che era successo, nonostante tutto io ero ancora lì.
Ero ancora viva e ad essere sincera non sapevo se quella fosse una divina benedizione o una grossa maledizione.
Dopo essere salita sull'aereo ebbi tempo per riflettere.
Avevo lottato quattro anni al liceo per arrivare in quell'aereo e in quel dannato college.
Tutto quello che era successo non avrebbe dovuto rivoluzionare i programmi di una vita.
Il mio passato sarebbe rimasto per sempre ficcato nel mio cuore e nella mia anima, ma quel cambiamento rappresentava l'inizio di una nuova vita.
L'unico problema era che avevo davvero paura di fare ancora del male a qualcuno. Come lo avevo fatta alla mia famiglia, ai miei amici e a me stessa nell'ultimo mese.
Dovevo riprendere in mano la mia vita, tornare a vivere e non far entrare più nessuno perché sapevo ne sarebbe rimasto distrutto.

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