Come una bolla di ghiaccio

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Nello stesso momento in cui l'aereo atterrò a New York cominciai a sentire lo stomaco in subbuglio: ci ero riuscita. Avevo finalmente realizzato il sogno di una vita e, per una frazione di secondo, mi sentii in pace con me stessa. Avevo impiegato ogni minimo sforzo al liceo per poter atterrare in quella città e frequentare quel dannato college.
E finalmente ero lì, dopo tante promesse ed obiettivi ero dove sarei dovuta essere già da tempo. In quel preciso istante decisi che quella sarebbe stata casa mia indipendentemente dal mio passato e dalla mia storia. Dopo aver atteso quasi un'ora l'arrivo delle mie valigie, uscii dall'aeroporto trovandovi un tassista che reggeva un cartello con su scritto il mio nome.
《Signorina Right?》
Annuii sorridendo e porgendogli i miei bagagli. Era solito di mio padre quello di organizzare tutto nei minimi dettagli. Quel senso di perfezione e di mania di controllo mi fece quasi venire da vomitare. Non importava più niente di tutto quello. Nonostante l'amore riservatomi per anni, negli ultimi tempi mio padre non era più in sé. Nessuno lo era. Almeno non con me.
Mentre sedevo nei sedili posteriori dell'auto gialla, nella mia mente si fece spazio nuovamente il pensiero fatto qualche ora prima nell'aereo. Avrei dovuto riprendere in mano la mia vita. Non sarebbe stato facile e di certo non ci sarei riuscita in pochi minuti, ore o giorni. Ma se ciò che avevo vissuto fino a quel momento era stato tutto in salita, ipoteticamente, ciò che dovevo  affrontare sarebbe stata la discesa al termine della quale se fossi stata fortunata, avrei ritrovato me stessa. Sbuffai stanca di quei pensieri e mi stropicciai gli occhi mentre il taxi si fermava ad un semaforo.
Avrei avuto dei coinquilini ma non sapevo nulla di loro. Chi fossero e specialmente quanti ne fossero. Ritrovarmi in una casa piena di persone non mi avrebbe aiutata a riprendermi. Il pensiero che qualcuno potesse vedermi durante i miei attacchi di panico mi faceva accapponare la pelle. Non avevo mai avuto questi problemi nella mia vita, ero io quella che ascoltava, io quella che consolava e sempre io quella che non si mostrava mai debole. Questa mia facciata da dura mi aveva procurato il soprannome di "ragazza cazzuta" al terzo anno di liceo e non mi dispiaceva. Sapere che la gente fosse in completo disagio nel  rivolgermi la parola mi faceva sentire padrona del mio piccolo mondo. Ma una persona così forte non sarebbe crollata. Dall'esterno risultavo essere come di ghiaccio, nessuno sospettava peró che fossi una piccola e sottile bolla di sapone ghiacciata. E nessuno sapeva che al minimo tocco mi sarei disintegrata in tanti piccoli pezzi.
Ad essere sincera non lo sapevo nemmeno io. Fino a quand-
I miei pensieri furono interrotti da un tonfo allo sportello accanto al mio. Per una ragione a me sconosciuta la sicura non era stata inserita così, chiunque fosse, aveva appena aperto l'accesso ai sedili posteriori.
Un ragazzo dai capelli neri entró nell'auto senza chiedere il permesso a nessuno. La vecchia me lo avrebbe riempito di botte.
La nuova me invece avrebbe...un attimo, esisteva una nuova me?
Decisi di farmi coraggio e, con la voce rauca gli dissi le prime cose che mi vennero in mente.
《Non lo vedi che ero già io in questo taxi? Potresti smammare e sceglierne un altro?》
Mi girai verso di lui e lo vidi per la prima volta. Aveva gli occhi di un celeste cosi scuro che mi aspettai di vederci comparire la luna e le stelle. La sua bocca era incurvata verso l'alto e gli occhi puntavano dritti su di me con fare ironico. Lo sentii ridacchiare e tentai invano di distogliere lo sguardo dalle sue labbra carnose.
《Come mai questa voce così seducente? Hai gridato tutta la notte? Se sei incazzata perché qualcuno ti ha sbattuto via dal suo letto a me non frega un cazzo. Ho bisogno di un passaggio quasi in centro e di certo non posso aspettare un altro taxi, specialmente non per colpa di una come te.》
Aprii la bocca per zittirlo con qualche mia solita frecciatina ma non riuscii a dire niente. Avevo esaurito tutte le mie risposte pronte per i palloni gonfiati come lui. Intrecciai le mani tra loro per evitare di spaccare il finestrino dell'auto con un pugno e incrociai lo sguardo del tassista che, ancora in attesa al semaforo mentre le altre auto gli suonavano dietro, non sapeva cosa fare. Gli vidi negli occhi il desiderio di guadagnare in un'unica corsa qualcosa in più alla fortuna che doveva avergli dato mio padre e, stanca, gli feci cenno di partire.
《E tanto per la cronaca, mr.urlo di notte, si arriva prima dove sono diretta io.》
Mugugnó qualcosa al tassista riguardo la sua meta, dopodichè alzó le spalle mentre  controllava qualcosa al cellulare e si infilava una sigaretta in bocca.
Quando era troppo era troppo.
Gli tirai via dalla bocca l'oggetto carico di nicotina e lo feci volare via dal finestrino.
《Odio il fumo passivo e, se proprio hai deciso di stare qui, si fa come dico io.》
Si girò verso di me con uno sguardo carico di odio e, sfidandomi a farlo di nuovo, mise in bocca un'altra sigaretta.
Cos'era un bambino piagnucoloso?
Giuro che gliela stavo per ristrappare dalle labbra ma il veicolo si fermò. Sia lodato il cielo!
Uscii dall'auto ma non chiusi prima di avergliene dette quattro.
《Spero che in questa città non siano tutti  stronzi come te. Buon imputtanamento dei polmoni, deficiente.》
E chiusi lo sportello. Lo vidi aspirare il fumo mentre rideva sommessamente da quanto aveva appena udito.
Presi in fretta le mie valigie e ringraziai il tassista allungandogli altri venti dollari.
Nello stesso momento in cui la vettura si allontanò provai una strana sensazione. Da una parte volevo ridere per la parte da cretina che avevo appena fatto, dall'altra volevo prendere a pugni qualcosa per non essere riuscita a dire altro che cazzate.
Nel dubbio presi le valigie ed entrai nel palazzo di mattoni bordeaux. Una volta nell'ascensore premetti il pulsante che portava all'ultimo piano. Per fortuna Jessica mi aveva inviato i dettagli della mia nuova residenza qualche ora prima.
Rimasi a bocca aperta quando, infilando le chiavi nella serratura, mi ritrovai in un enorme appartamento con le pareti fatte interamente da vetri e dalle quali si vedeva tutta la cittá di New York.
《È arrivata!》
Sentii la voce di una ragazza venire da una stanza sulla destra. Non feci in tempo a voltarmi che me la ritrovai aggrappata al collo.
《Finalmente! Eravamo tutti in ansia di vederti. Siamo venuti tutti prima dell'inizio delle lezioni per scovare un po' l'ambiente. Ci mancavi solo tu. Ora siamo finalmente al completo.》
Mi sorrise euforica e mi strinse ancora una volta a se.
《Ragazzi venite.》
Da quello che capii essere il soggiorno, uscirono quattro ragazzi e una ragazza.
Sette persone in un appartamento.
Era legale? Quanto era grande quell'appartamento per poter ospitare così tanta gente?
Sei persone con cui condividere il mio prossimo intero anno.
Sei persone che avrebbero sicuramente visto ogni parte debole di me.
Sei persone che avrei potuto distruggere come avevo fatto con le altre.
Ero spacciata.

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