Capitolo Ventitrè

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La ragazza fu presa al volo dalla sua guardia prima che scivolasse irrimediabilmente, mentre il cavaliere distratto cadde a terra con un grugnito di sorpresa.
Trascorso neppure un secondo completo, lo sconosciuto si era già rizzato in piedi e trafficava febbrilmente per togliersi immediatamente l’armatura infangata.
I suoi compagni da lontano osservavano la scena, ridacchiando e imitandolo dietro gli elmi e i boccali: -Attenzione! Guglielmo da Gotico si è sporcato! Guai!
-Aspettate, aspettate.- Ruzzante, ignorando le vocine, fece un passo verso il distratto, aiutandolo a slacciarsi almeno il pettorale.
Mentre l’uomo armeggiava con le cinghie, il cavaliere si tolse l’elmo, rivelando un viso giovane e ricolmo di irritazione.
Osservò Liliana, che era pochi passi lontana, la testa abbassata in segno di scuse, il vaso di Nontiscordardibella appoggiato ai suoi piedi.
Guglielmo sospirò, scuotendo la testa e addolcendo i lineamenti: -Che ci fa una ragazzina come te in questi luoghi?
Lei sentiva come un nodo che, annidatosi nella sua gola, la faceva esitare, nel rispondergli: -Sono... il mio nome è Liliana. Liliana da Felce. Principessa, principessa Liliana da Felce.- recuperò la borsa magica e ci mise dentro una mano, traendo la sua corona e posandosela sulla testa. Le quiete chiacchiere dei soldati si erano spente all’improvviso. Ruzzante, in mano il pezzo d’armatura, si era ritirato di un paio di passi. -Sto cercando... sto cercando Tul... il cavaliere Tullio da Virgilio.- la sua voce tacque, mentre lei cercava di sembrare più regale, raddrizzando la schiena e dimenticandosi dei vestiti consumati e dei capelli scompigliati.
Il cavaliere la fissò, con uno sguardo tra il confuso e l’ammirato.
Un piccolo lampo e un breve tuono si susseguirono nel cielo, mentre il giovane si abbassava a slacciare i gambali infangati.
-Signor... signor... signor cavaliere!- riuscì a gridare, la tensione nella voce che le strozzava le tonsille, la ragazza, gli occhi appannati, mentre un alto lampo e un altro tuono si susseguivano.
Il giovane finì di slacciarsi il secondo gambale, in silenzio. Se li portò entrambi al petto, fissando la principessa.
Iniziò leggermente a piovere.
-Leggende... leggende dicono che esisteva un eroe tra gli uomini che eccelleva in ogni tipo di virtù.
La terra, ancora più fangosa, accolse la sacca magica, lasciata cadere a terra.
-... E fu proprio per la lealtà nei confronti del suo re che, decimate le fila amiche nella trentunesima battaglia a Montescuro, che lui, il signor cavaliere Tullio da Virgilio, combatté tra il monarca e l’orda nemica con inimmaginabile potenza, polverizzando gli ingiusti, finché...
Nella pioggia dirompente, la ragazza si era aggrappata alla sua veste, gridando cose intellegibili mentre la sua voce andava e veniva. Il soldato guardava altrove, nel silenzio.
-In un multiplo attacco fu abbattuto, dalla furia del tremendo nemico.
Le dita torte smisero di stringere il tessuto, cadendo al suolo insieme al resto del corpo.
La principessa singhiozzava.
La guardia era impietrita dall’orrore.
Il cavaliere, sempre stringendo i gambali, si accucciò vicino alla ragazza, straziata, mormorando: -Steso su un letto di fiori non più bianchi ma di vermigli colori, prima dell’estremo respiro non ebbe che una richiesta: una leggenda. I poeti del re sono all’opera più che mai. Una leggenda per la sua donna, la sua signora, Liliana, che la consolasse, che non lo dimenticasse.
Liliana urlò, tra gli spasmi della verità.
Ruzzante gettò a terra l’armatura non sua e si precipitò da lei, abbracciandola con una forte stretta.
La donna pianse, dimenandosi, cercando di liberarsi di lui, gridando parole sconclusionate e strattonando i vestiti dell’altro, prima di crollare, il corpo scosso solo da singhiozzi, tra le braccia della sua guardia del corpo.
Tutti i soldati, persino Guglielmo da Gotico, erano rientrati nelle proprie tende, a causa della pioggia quasi insostenibile.
Era davvero così terribile? Ruzzante la sentiva appena.
Non riusciva a pensare a nulla, se non all’angoscia che stava conficcando le sue spine in modo sempre più profondo nel suo cuore, provocando torpore e confusione.
La tiara da principessa, caduta, era per metà sepolta nel fango. La borsa di Clavis era completamente bagnata, mezza calpestata dai passi folli della donna. Il vaso di nontiscordardimé era colmo d’acqua, molti fiori caduti galleggiavano sul bordo.
Due cavalieri indicarono le due figure ancora a terra a quattro uomini che la guardia riconobbe vagamente come colleghi di Felce. Erano arrivati quasi in concomitanza con loro.
I quattro si avvicinarono a passo svelto, separando Ruzzante da Liliana. Entrambi non ebbero reazione.
Li scortarono, in mezzo all’acquazzone, in una locanda di Montescuro, dove fornirono loro cibo e vestiti puliti. Entrambi non toccarono nulla.
Appena la pioggia cessò, gli abitanti di Felce comprarono una carrozza per scortarli, ripuliti forzatamente, dal padre e dalla madre della principessa. Entrambi salirono meccanicamente.
Non parlarono, la guardia con la borsa magica di Clavis sulle ginocchia, fissando al suo interno quel coltello scudo che aveva ferito e difeso, Eucratea la spada che si muoveva ad ogni scossone violento, la principessa con il vaso di Nellatiscordardime sulle ginocchia, fissando quei fiori che avevano parlato e pianto, i suoi corti capelli corvini mai fermi a nessuna buca nel terreno.
Quattro giorni dopo, erano all’interno delle mura di Felce.

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