Capitolo 3

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3° 3 Aprile 2017

"Ha trovato più niente?" disse la voce dall'altro capo del telefono.

"No, Scott. Ho parlato con lui. Non accadrà più." rispose l'uomo con una nota determinata nella voce.

"Cosa?! È venuto a casa? E l'ha..."

"No, lui non l'ha visto. Sono riuscito a mandarlo via in tempo. Non voglio che gli si avvicini, puoi fare qualcosa?"

L'uomo percepì un sospiro. "Sceriffo, si metta nei suoi panni. È difficile anche per lui, forse più che per tutti noi, ma tenterò. Ora devo andare... mamma mi sta chiamando."

"Grazie, ragazzo. Certo, vai, così vado a svegliare Stiles." lo ringraziò, sperando che almeno lui sarebbe stato in grado di risolvere la faccenda.

"Ah, sceriffo..."

"Dimmi."

"Stiles non è stupido. Se ne accorge... ogni giorno." lo informò il ragazzo, marcando tristemente le ultime parole senza aggiungere altro, certo che l'uomo avrebbe capito.

"Buona giornata, Scott."

Il ragazzo si lasciò andare ad un mesto sospiro. "Buona giornata a lei."

***

Stiles si stava rilassando all'ombra degli spalti sul campo di lacrosse. Era stata una giornata piacevolmente diversa dalle altre: suo padre lo aveva svegliato portandogli la colazione e con Harris era andata particolarmente bene.

Poggiò la testa all'impalcatura, beandosi del piccolo momento di solitudine che era riuscito a ritagliarsi: Scott lo aveva seguito tutta la mattina e a Stiles non sarebbe sembrato così strano -anche se l'accompagnarlo in bagno forse lo aveva trovato un tantino eccessivo-, se non fosse stato che il ragazzo lo aveva completamente ignorato. Ora, Stiles sapeva che spesso Scott aveva la testa fra le nuvole, sapeva che non per forza dovevano parlare ogni minuto della loro giornata, ma da lì a venire considerato quasi un pacco da custodire su cui scritto fragile ce ne passava. Per la precisione quello era il primo momento, da quella mattina, in cui si trovava da solo con se stesso e la sua amata tranquillità.

Poteva sembrare strano, considerando il soggetto, ma Stiles amava il silenzio. Gli piaceva poter pensare liberamente e quella era sempre stata l'occasione migliore. Parlava, certo. Si lasciava andare a discorsi logorroici, sì, ma lo faceva solo quando sentiva che il silenzio presente fosse sbagliato, opprimente, che non fosse come quello che lo tranquillizzava e non lo faceva sentire a disagio. Se si soffermava a pensare da quanto lo apprezzasse realmente, rimaneva sempre particolarmente confuso: da che ne aveva memoria aveva sempre riempito l'assenza di rumori con le sue mille domande e poi, una volta cresciuto, con le proprie conoscenze e il sarcasmo. Sentiva fosse qualcosa di recente, che quell'amore non fosse nato da solo, ma che si ricordasse nessuno mai gli aveva elogiato l'utilità del silenzio.

Era per discorsi come quelli che altrettante volte quante gliene venivano in mente, si ritrovava costretto a limitarsi a pensarle e non a dirle. Qualche volta sentiva quasi il bisogno impellente di aprire la bocca e rivelare tutto quello che gli passasse per la testa, senza filtri o condizioni. Sfogarsi veramente. Ma, mai nella sua vita, aveva incontrato qualcuno disposto a quel genere di conversazione, qualcuno disposto ad ascoltarlo, indipendentemente da ciò che diceva o con che velocità.

Era con questi pensieri, che spesso lo tormentavano durante la giornata, che si lasciò andare ad un sospiro stanco. La sua vita era sempre stata monotona, noiosamente normale e più volte si era ritrovato a sperare in un cambio repentino, qualcosa che la sconvolgesse e gli permettesse di vivere per un motivo, ma non aveva mai voluto strane sensazioni a lui estranee nella sua vita.

Do you remember me? | SterekDove le storie prendono vita. Scoprilo ora