{Undici} Don't say anything

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"All in, all out
Someway, somehow
Say it all say it now
Or don't say anything
God, I hate this place
I hate the space between us
Lost in the grey unknown
There's still so far to go"

[self-harm warning(?) idk, io metto il warning anyway ¯\_()_/¯]

Quel venerdì mattina si svegliò e si pentì immediatamente di averlo fatto.
Si sentiva sfinito.

In realtà Kellin era sempre sfinito a causa del suo continuo correre avanti e indietro per la città, aggiunto alla leggera spossatezza che pervadeva il suo corpo in ogni istante da praticamente un anno.
Ma ci aveva fatto l'abitudine, e ormai fingeva che non esistesse.

Ma quella volta era diverso e Kellin lo sapeva, conosceva troppo bene il proprio corpo per illudersi.
Si trascinò fuori dal letto, fin nel bagno, chiudendocisi dentro.
Odiava quel senso di stanchezza, perchè con esso arrivava anche una sensazione di impotenza e surrealità.
Si spogliò velocemente, infilandosi nel box doccia ed aprendo l'acqua, rivolgendo un ringraziamento silenzioso a sua madre per aver pagato la bolletta per l'acqua calda.

Si appoggiò con la schiena al muro, lasciando che l'acqua sciacquasse via da sè i residui del sonno, anche se era consapevole del fatto che quella stanchezza l'avrebbe perseguitato per almeno tutto il giorno a seguire.
E fino a quel punto era tutto okay per lui dato che aveva imparato ad adeguarcisi, ma se c'era qualcosa che non riusciva a sopportare era la surrealità causata dalla situazione nella quale si trovava. Lo faceva sentire separato dal mondo, quasi rinchiuso in una bolla opaca che non vedeva l'ora di far scoppiare.
E Kellin conosceva un solo modo per raggiungere quell'obiettivo.

Allora aprì una mano e si fermò a fissare per qualche istante la lametta nel suo palmo, prima di prenderla tra due dita ed avvicinarla al proprio polso.
Sottili righe orizzontali andarono a formarsi sotto al pressione dell'oggetto metallico, ordinate e quasi perfettamente parallele alle cicatrici sbiadite che di solito non si preoccupava neanche di coprire con qualcosa in più di un bracciale borchiato.
Tanto erano praticamente invisibili dato che risalivano ormai a più di un mese prima, e ogni volta che la lametta toccava il suo polso non provocava mai più di cinque tagli.

Tre ferite stavolta, che gli procurarono quel leggero bruciore che bramava dal momento in cui aveva aperto gli occhi la mattin, sufficiente a schiarirgli la mente e riportarlo alla realtà.
Guardò il sangue sgorgare dal proprio polso, mischiandosi all'acqua della doccia.
Kellin non si tagliava per dipendenza, per abitudine, per coprire qualche altra forma di dolore o per il piacere di autodistruggersi.
Lo faceva perchè gli piaceva il brivido provocato dai tagli sottili, per riportarsi alla realtà, ma sopratutto lo faceva per osservare.
Per osservare il suo tanto bramato bianco.
Perchè ricordiamoci che per Kellin, il mondo è grigio, Vic è rosso, la musica blu e il sangue bianco.

In quel momento la sveglia suonò ricordandogli che doveva sbrigarsi a prepararsi.
Scivolò fuori dal box doccia e si asciugò, prima di vestirsi e bendarsi il braccio dato che, nonostante i tagli fossero solo tre, sapeva che sul suo corpo avrebbero continuato a sanguinare più del necessario.

Quaranta minuti dopo stava entrando nella scuola, con la testa bassa e la musica al massimo, mentre trascinava i piedi cercando di ignorare la debolezza che pervadeva le sue membra.
Andy lo salutò da lontano, e si accorse subito dei suoi movimenti più lenti e svogliati del normale.

I paint the world in grey {Kellic} + {Perrentes}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora