Alessitimia - Una parola da te

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Leggo molto in giro, soprattutto online, di molte cose, tutte varie l'una dall'altra.
A volte si connettono fra di loro, a volte no. Si racconta di storie, storie di persone comuni. In fondo lo siamo tutti.
Non ci distinguiamo per molte cose specifiche, ma internamente non ci scostiamo dalla normalità che sopraffigge sopra di noi.
Noi siamo esseri privi di qualcosa che ci faccia cambiare radicalmente o ci migliori rispetto agli altri, non parlo di conformità fisiche o psicologiche, ma di emozioni.
Tutti, e dico proprio tutti, abbiamo le stesse identiche emozioni, nel corso della nostra vita certo le conosceremo in momenti diversi e/o simili, ma pur sempre quelle rimangono.
Oggi racconterò di una storia, una storia particolare: la mia.

Sono nato in una cittadina comune con dei genitori comuni e come la maggior parte delle famiglie comuni, non sono stato ne speciale e nemmeno della spazzatura vivente. Ero io.
Niente di strano, vivevo la mia vita, la mia infanzia e la mia adolescenza. O almeno io pensavo che fosse così.
Gli atri bambini mi guardavano sempre male e qualsiasi cosa provassi a dirgli non la capivano e se ne andavano via facendo una faccia inorridita, i miei genitori col tempo penso ci fecero l'abitudine ma li continuavo a vedere inorriditi ogni volta che aprivo bocca, la mia sorellina si spaventava sempre di più fino a non cercarmi più per giocare assieme, I miei amici iniziano a allontanarsi per sempre.

Che esistenza del tutto comune e normale, lo era per me.

Crescendo ci feci l'abitudine fino a che non ebbi la mia prima cotta, wow quella non si scorda proprio mai. Sono passati anni da allora però lei continuerà ad essere sempre bella ai miei occhi, con quei capelli color noce che sfioravano dolcemente le sue spalle chiare e perennemente ornate da quelle sue lentiggini rosse. Quelle stesse lentiggini che si tramutarono assieme a tutto il suo volto in una smorfia di paura non appena le rivelai la mia cotta, non provò a dire nulla quando glielo dissi. Ma aveva una faccia così preoccupata e delusa che non mi guardò più in faccia fino alla fine delle medie.
Fu allora che dopo anni di vita apparente comune capì, capì finalmente di avere davvero qualcosa che non andava, ero impaurito allora.
Entravo così nella mia temuta adolescenza, dove I dubbi si ampliarono in modo ancora più vorace che io finì in una nube di depressione e sconfitta. Non capivo, non sapevo, non conoscevo.
Passai I migliori anni della mia vita chiuso in camera mia a comprendere il motivo di tutte quelle facce disgustare e tristi. Stetti giornate intere a guardarmi allo specchio, a cercare il minimo difetto fisico; magari erano I miei occhi, opppure I nei che avevo in faccia, e se invece erano le mie labbra sottili? Solo di una cosa ero certo, il fatto che nonostante tutto continuavo a non trovare una risposta.
Iniziai a diventare paranoico e a non comprendere più che cosa effettivamente avessi intorno, non volevo più mangiare e tutto ciò che avrei voluto fare era continuare a dormire.
Continuavo fino a notte tarda a ricercare nelle biblioteche vicino casa che cosa volevo, senza purtroppo trovare nessuna soluzione.
Mia madre si preoccupò a tal punto per il mio stato fisico che mi portò da un medico ed uno psicologo, senza purtroppo scoprire nulla di così avvalente per me, pure il dottore mi guardava stranito e titubante, non poteva capire ciò che non potevo nemmeno capire io. Mi prescrissero entrambi gli specialisti delle medicine, un sacco di medicine, provare qualcosa non avrebbe fatto male di certo pensavano.
Continuavo però a non capire, quelle medicine mi portavano sempre di più a pensare, che cosa ho? E' una malattia oppure no? Non continuavo a comprendere.

Poco tempo dopo, in una tranquilla giornata di agosto arrivai allo stremo delle mie forze fisiche, fino a svenire. Mi portarono allora in una clinica per malnutrizione dove mi dicevano che sarei potuto guarire finalmente. Ma ancora qualcosa non mi tornava, guarire da cosa? Dalla mia anoressia certo, ma perchè, nonostante tutto, le persone continuavano a guardarmi male qualsiasi cosa facevo? Un semplice grazie diventava una smorfia sulla faccia di un infermiere qualsiasi. Ancora nulla, nessun indizio.

All'età di 18 anni riuscì ad uscire da quella clinica "curato" e finii I miei studi in una scuola privata entro quello stesso anno, studiai talmente tanto che mi dimenticai del mio problema. Gli sguardi delle persone non mi facevano più ne caldo ne freddo. Decisi quindi di entrare all'università, una di quelle che hanno talmente tanti indirizzi da non riuscire nemmeno ad elencarli in un solo foglio A4, mi iscrissi all'indirizzo meccanico, adoravo comporre e scomporre qualsiasi cosa trovavo per capirne a fondo il suo funzionamento, I suoi meccanismi interni, la sua essenza.
Non passo molto tempo dal ritrovarmi di nuovo in quell'oblio di non comprensione fra me e qualsiasi persona mi fosse attorno, ma all'università almeno non ti bullizzano, ti mettono solo da parte. Almeno, pensavo, questo avrebbe fatto meno male.

Non passarono molti pranzi da solo nella mensa per attirare I curiosoni degli altri indirizzi, soprattutto quelli psicologici, maledetti esseri assetati di conoscenza e di comprensione verso agli altri, una cosa che effettivamente li accomunava con noi studenti di meccanica.
Per niente al mondo pensavo di voler collaborare con I loro studi umani però, io lavoravo su oggetti, non volevo essere accomunato con quella massa di persone sfruttatrici della loro indole 'positiva'. Mi allontanai il più possibile, tutti quanti, uno ad uno, tutte le volte che li rifiutavo iniziavo a pensare che avrei decisamente preferito stare da solo per sempre.
Però un giorno pensai il contrario, quella voce flebile e tranquilla ma allo stesso tempo molto introversa fece un passo verso di me esortando con "Va tutto bene?".

Quella frase. Quella frase che io non avevo mai sentito con quel tono di voce immerso di pura preoccupazione e sincerità. Quella frase che avrei molte volte voluto sentire dai miei genitori quando in qualche modo cercavo aiuto. Quella frase che mi avrebbe dato molte più risposte di quante me ne sarei aspettate.0
I capelli neri che volteggiavano in quel vento di fine autunno assieme alle foglie secche che danzavano in cielo non mi permisero di vedere completamente I suoi occhi stretti e dolci di color marrone, arrivò inaspettata quella fitta al cuore che oltre a rendermi tremendamente felice, mi mise di cattivo umore senza essermene accorto.
Da li partì qualcosa, che oltre a confondermi mi rendeva felice, non era come quella cottarella delle medie, era qualcosa di più. Iniziai a parlare con quella ragazza sempre di più, appena mi disse di essere del corso di psicologia penso di aver fatto una smorfia, ma qualcosa mi bloccava dall'allontanarla da me. Legammo passo dopo passo, un'amica, ebbi finalmente qualcuno di cui fidarmi, un'amica. Ogni tanto quando mi proponeva qualcosa avevo paura che le mie risposte o reazioni la facessero allontanare, ma invece la vedevo sempre più incuriosita, e mi iniziava a bombardare di domande.
Sapevo perfettamente che quello che cercava di fare era esattamente la stessa cosa che tutti gli altri studenti di psicologia cercava di fare da ormai un anno, però lei non si stava solo curando delle mie emozioni, si stava curando anche di me.

Parlammo sempre di più delle mie emozioni e ogni volta cercava di entrare sempre più a fondo nell'argomento riuscendo sempre a sviscerarmi qualsiasi cosa pensavo nel mio cervello, diventammo grandi amici e finalmente qualcuno poteva conoscermi abbastanza da consigliarmi qualcosa. Mi diceva ciò che riusciva a scoprire nelle nottate passate sotto ai libri dandomi soluzioni per il mio problema, ed in mezzo a quei capelli lisci come una cascata e alle montagne di fogli e di ricerche per l'università finalmente una parola emerse dal buio profondo di tutti miei dubbi e problemi che dalla mia nascita provocavano disagi a tutti coloro che mi stavano attorno, a tutte quelle volte che quando ero felice facevo una faccia triste e iniziavo a piangere, tutte le volte che quando qualcuno stava male ed aveva bisogno di aiuto non sapevo se sorridere o fargli il solletico, tutte le volte che in mezzo al mio disagio quando qualcuno mi chiedeva il mio stato d'animo correvo via per paura di ciò che sarebbe successo, quella parola che finalmente svelava l'arcano di tutto ciò, la parola che mi a permesso di scoprire l'amore dopo anni di sofferenza:

"Alessitimia"

-Sulia

EphemeralWhere stories live. Discover now