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Le forze mi avevano abbandonato prima di aver sentito tutta la domanda, non sapevo come aveva reagito Park, magari mi aveva sentito russare e si era messo a ridere.

La curiosità mi spingeva però a capire cosa avrebbe voluto domandarmi e quale era la sua idea straordinaria.

Era mezzogiorno ormai, avevo recuperato un po' di sonno perso, alzai la serranda del salone ed un sole forte colpì il piano.

Quell'oggetto risplendeva già e quasi faceva a gara con i raggi che lo inondavano.

Fui pervaso da un senso di leggerezza e di piacere, era una sensazione bella che io non ricordavo più.

Toccai con la punta del dito un La, per poi ritrarmi subito quasi come fosse un oggetto rovente.

Lo fissai per qualche secondo, ma i miei pensieri si volatilizzarono alla suono di un messaggio ricevuto sul mio cellulare.

Tra tante domande non hai risposto alla più importante.

Era il numero di Park e quel messaggio aveva un tono incredibilmente serio.

Ero troppo stanco, le conversazioni con te mi fanno finire sempre senza forze.

Ed era vero, era come se riuscisse a tirare con forza tutto quello che avevo represso e questo mi affaticava, incredibilmente.

Avanti, ridimmi cosa hai detto ieri notte.

Avevo scritto poi, ma con un leggero timore, come avessi paura di essere investito ancora una volta da quel giovane ragazzetto.

Ci conosciamo da un po' ma non ci siamo mai incontrati.
E se ci vedessimo?
Magari potremo escogitare un modo per far vedere il tuo blog a tanta gente, stai diventando bravo a scrivere.

Era vero, stavo scrivendo tanto e non erano più i soliti resoconti della giornata, alquanto patetici.
Ma l'idea di vedere Park Jimin mi rendeva enormemente agitato.

Il mio cuore andava a mille e non capivo cosa mi stava accadendo.

Non avevo mai concretizzato l'idea che stessi parlando con qualcuno di reale.

Una persona parlava con me ed era più di un semplice conoscente, era una specie di amico.

Io, Min Yoongi, avevo un amico.

Ma questa idea non mi rendeva per niente sereno, il dover vedere, parlare e in generale interagire con qualcuno mi dava i brividi.

Sono molto impegnato.

Avevo inviato tremante quel messaggio.

:Andiamo! che hai da fare?
Sei troppo impegnato a piegarti le mutande? O a fissare il tuo soffitto?

-Per tua informazione, non mi piego le mutande.
Ho gli incontri con la terapista che mi prendono tempo.

:Ti prego, inventa un'altra scusa per dire di non voler vedermi.

Mi rattristò quel messaggio, è vero, non volevo vederlo, avevo paura di lui, di parlare e di non essere ascoltato, di fissarlo troppo allungo e di infastidirlo, di dire qualcosa di sbagliato e fuori luogo, di non saper rispondere ad una sua domanda.

Avevo paura di non essere quello che immaginava e di diventare una delusione.

Ma avevo anche paura di uscire, di essere bruciato dal sole tanto quanto dagli sguardi della gente, o di inciampare per strada, di pestare qualcosa, di camminargli troppo vicino, o troppo lontano.
Di avere un andamento troppo veloce, o troppo lento.

Avevo paura di varcare la porta della mia abitazione e di scendere le scale, avevo paura di aprire il portone, di sentire il rumore delle auto, del colore dell'asfalto e del movimento nelle piazze.

Si può dire che avessi paura di vivere?
Cose così facili per le persone che mi stanno intorno pesano come grandi macigni sulla mia schiena, e mi schiacciano.

Raccontami delle tue giornate grigieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora