Capitolo 1

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Avevo sempre pensato che viaggiare, fosse il miglior modo di fare esperienza.

Ero sempre stata una persona molto ottimista, solare, a cui piaceva stare fra la gente, nonostante la mia storia avesse ben poco di positivo.

Forse questo, era il motivo che mi spingeva ad andare avanti con il sorriso sulle labbra, guardarsi alle spalle, non avrebbe cambiato nulla, ma potevo sperare in qualcosa di bello per gli anni a venire, nonostante, almeno per altri due anni, non potevo considerarmi totalmente libera di svolgere la mia vita, a mio piacimento.

Il senso di abbandono che portavo dentro me, non aveva mai influito nei rapporti che amavo creare con le persone che mi circondavano, ero una persona molto socievole, o forse avevo solo molta paura di trovarmi sola, di nuovo.

Avevo a mala pena qualche giorno di vita, quando i miei genitori, di cui non conoscevo assolutamente nulla, mi abbandonarono sulle scale di un orfanotrofio, in una fredda notte di dicembre.

Ovviamente, non avevo alcun ricordo di quegli attimi e consideravo quel posto, nel quale vivevo da tutta la vita, casa mia.

La signora Morris, era stata un'ottima educatrice, a lei dovevo molto, si era presa cura di me ogni giorno lì dentro, asciugando le mie lacrime, quando nei giorni delle adozioni, erano sempre gli altri ad andar via, io no.

Arrivò un momento, in cui smisi di rimanerci male, ero troppo grande e generalmente le coppie che venivano lì, volevano un figlio da crescere, non una ragazza già cresciuta.

Quella mattina ero più entusiasta del solito, era appena terminato il mese di Agosto e la direttrice dell'orfanotrofio, ci aveva confermato il nostro imminente trasferimento nella città di Manchester.

La struttura dove eravamo ora, alla periferia di Londra, non era più agibile, non potevamo rischiare di restar lì ancora per molto.

"Non vedo l'ora di partire", squittì, raggruppando in un vecchio zaino, le poche cose di cui disponevo.

Le mie giornate trascorrevano prevalentemente in quelle quattro mura, studiavamo lì e poche erano le volte in cui ci era concesso uscire, tuttavia, non avevo mai considerato quel posto come una prigione, a differenza dalla mia compagna di stanza, Tate, che fra le altre cose, era anche la mia migliore amica, eravamo praticamente cresciute insieme.

Alcuni ci definivano come il giorno e la notte, avevano ragione.

La mia solarità, il mio essere costantemente di buon umore e di vedere sempre del buono in ogni cosa, era in netto contrasto con il suo pessimismo e con il suo carattere costantemente scostante verso l'intero universo.

Non era stato facile guadagnarsi la sua fiducia, quando a soli due anni ebbe la mia stessa sorte, ma quando capì che non avrei mai avuto secondi fini con lei, non ci separammo un solo istante, non potevo immaginare una vita in cui lei non fosse presente, di questo ero certa.

"Poi me lo spieghi, dove trovi tutto questo entusiasmo alle otto del mattino", sbuffò con la sua solita espressione imbronciata.

"Stiamo per cambiare città e frequenteremo una scuola, una scuola vera",  sorrisi, spazzolandomi i capelli neri che contornavano il mio viso troppo pallido.

Neppure quell'estate, ero riuscita a dar quel tocco di colore alla mia carnagione, così delicata.

"Una scuola privata kry, non una vera scuola", precisò, gettandosi sul letto.

"Almeno potremmo trascorrere qualche ora in più fuori dall'orfanotrofio", mi girai a guardarla, trovando il suo sguardo corrucciato.

Sapevo già cosa stava per dirmi, ma non era colpa mia, se preferivo trascorrere il sabato sera nel mio letto a leggere un libro, piuttosto che sgattaiolare fuori ed imbucarmi ad una di quelle feste, a cui era solita andare lei, con il sol scopo di ubriacarsi e sentirsi male il giorno dopo.

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