Capitolo 16

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"Dove sei stata?". Mi chiese Tate, non appena ritornai da loro.
"Lì su", mormorai distrattamente, continuando a guardarmi intorno.
Damon e Jered stavano litigando, non riuscivo a capire cosa si stessero dicendo, perché tentavano di mantenere un tono basso, ma dai loro movimenti, era chiaro che la loro fosse una conversazione abbastanza accesa.
"È tutto ok?". Mi squadrò, corrucciando lo sguardo, quando notò cosa stesse attirando in quel modo la mia attenzione.
"Kry", mi sventolò le mani davanti al viso. "Mi spieghi che diavolo ti prende?È da stamattina che sei strana", sbuffó.
"Non sono l'unica ad essere strana, purtroppo", sussurrai, passandomi le mani sul viso.
"Stai ancora pensando a quella storia?".
"Ho bisogno di tempo, vedrai che mi passerà", non sapevo se con quella frase stessi cercando di convincere lei o me stessa.
Tutta questa situazione, non mi faceva bene, non ero mai stata così in ansia per nulla prima d'ora e forse era davvero il caso di mettere una certa distanza, ma non era facile, quando si avvicinava a me con quei gesti che mi riempivano il cuore di gioia.
Poteva risultare qualcosa di banale agli occhi di molti, ma il fatto che lui mi avesse dato la possibilità di scattare una foto, una semplice foto, intuendo il mio stato d'animo, era tantissimo; sembrava quasi che lui mi capisse, che leggesse dietro i miei silenzi, anche quando era impossibile farlo.
E forse era proprio questa la parte che più mi spaventava.
Temevo di star così bene con una persona con la quale non avrei potuto mai avere nulla, lui non lo avrebbe voluto.
E poi, non avevo di certo dimenticato quel bacio che lui e Piper si erano scambiati, questo la diceva lunga su che tipo di ragazzo fosse.
"Cerca di andare avanti e goditi questi giorni mh?".
"Lo farò", le sorrisi, lasciandomi cullare da un suo abbraccio, erano rari i momenti in cui si lasciava andare a smancerie simili, quindi era meglio approfittarne.

Dopo un delizioso pranzo presso un ristorante nei dintorni di piazza delle Erbe, la prof ci lasciò liberi per qualche ora, dandoci appuntamento alle venti in punto, per poter ritornare in albergo.
Tate e Luke presero una strada diversa, mentre Jacob volle a tutti i costi andare a fare una passeggiata da soli.
In tutta onestà, mi sarebbe piaciuto visitare quella città anche in compagnia della mia migliore amica, ma non mi sembrava il caso di litigare di nuovo quando avevamo, per modo di dire, chiarito non molte ore prima.

"Ma è bellissimo", urlai in direzione di quel giardino, dalla forma simile ad un immenso labirinto.
"Si chiama giardino Giusti", disse Jacob, leggendo da una piccola cartina che avevamo preso all'ingresso di quel parco pubblico. "Vieni, andiamo a vedere", mi prese per mano intrecciando le nostre dita.
"Cerchiamo di non perderci", ridacchiai, man mano che il punto d'ingresso diventava sempre più piccolo ai nostri occhi, avevo sempre amato i labirinti, ma stava per far sera e non sapevo fino a che punto conveniva inoltrasi in tutto quel verde.
"Sta tranquilla, ci sono io con te", mi sorrise, continuando a camminare.
Mi voltai, tirando un sospiro di sollievo quando notai di non essere i soli presenti lì dentro.
C'erano bambini con le proprie famiglie  ed altri nostri compagni di scuola, intenti a rincorrersi come dei pazzi.
"Che modi", sbuffai, quando uno di questi mi spinse da un braccio, rischiando quasi di farmi cadere.
"Guarda dove vai, idiota", gli urlò Jacob. "Ti sei fatta male?". Mi chiese preoccupato, quando mi toccai la spalla colpita.
"Ma no", sorrisi per rassicurarlo. "È stata solo la botta", aggiunsi con una smorfia.
"Meglio, continuiamo dai".
Camminammo per un'altra abbondante mezz'ora, quel parco era davvero immenso, ma ormai la gente stava per andare via e mancava poco alle otto di sera.
"Dovremmo tornare", dissi, guardandomi intorno, notando che eravamo rimasti soli.
"Già, conviene", replicò, abbozzando un sorriso. "Spero solo di ricordare la strada".
"Come ricordare? Che vuoi dire?". Andai in panico, pensavo avesse tutto sotto controllo.
"Qui sembra tutto uguale", ridacchiò. "C'è troppo verde".
"Forse non dovevamo camminare così tanto", mormorai impaurita.
"Non temere piccola, ti salverò", scherzò, solleticandomi i fianchi, ma ero così terrorizzata, da non trovarci assolutamente niente di divertente in tutta quella situazione.
"Dai andiamo, sono andati tutti via", mormorai, attaccandomi al suo braccio.
"Vamos", disse, iniziando a camminare, non sapendo bene neppure noi dove stessimo andando.

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