Capitolo 76

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Damon's pov
Avevo sempre pensato che la mia vita, la mia famiglia, fosse basata su qualcosa di limpido, lineare, questo almeno fino ai miei quindici anni, ma quando poi mio padre era morto, d'infarto, tutto era cambiato e quella trasparenza, tutta quella sincerità, che mia madre tanto professava, io non la vidi più, ma non gli diedi importanza. Ero il primo ad essere accecato da altro e lo ero stato per molto tempo, forse troppo. Avevo rincorso percorsi sbagliati, sbagliando fin dall'inizio, chiedendo aiuto all'ultima persona che avrebbe potuto darmelo, ma anche questo, lo avevo capito troppo tardi e ancora una volta, fu l'istinto ad avere la meglio. Avevo promesso a krystal, non mi sarei cacciato in altri guai, ma era impossibile, persino lei l'aveva capito nella sua purezza e nella sua innocenza. Questo, non mi andava proprio giù, non avrei mai voluto rovinare anche lei, non avrei mai dovuto coinvolgerla, ma me ne ero innamorato e anche in questo caso, non mi sarei mai più potuto tirare indietro e non ne sarei neppure stato capace. Quella ragazza, mi aveva rapito anima e corpo, aveva tutto di me e poteva anche tenerselo, se era così che poi mi sentivo. Ero felice e mi sentivo quasi in colpa. Avevo problemi fino al collo, problemi che non andavano sottovalutati, eppure, anche mentre la nostra vita era letteralmente appesa ad una corda, non ero riuscito a fermarmi dal fare l'amore con lei e avevo quasi dimenticato tutto il resto.
"Sto guidando", sbottai quando per l'ennesima volta, Jared mi chiamò.
"Dove stai andando Damon?", era stato un pessimo errore, dirgli quello che era successo.
"Lo sai", strinsi i denti, pigiando sempre più forte, il piede sull'acceleratore.
"E che vorresti dirgli?". Sbottò. "Sei impazzito per caso Damon...". Attaccai, mettendo il silenzioso, non avevo alcuna intenzione di sentirmi le sue prediche. Sapevo bene quello che facevo.

Parcheggiai l'auto al solito posto, prendendo un lungo respiro prima di entrare in quello squallido grattacielo che odiavo sempre di più.
"Damon", alzai gli occhi al cielo, quando l'inconfondibile voce di Piper mi arrivò alle spalle. Ultimamente, frequentava spesso l'ufficio di suo padre, meno la nostra scuola. Non che questo mi importasse, ma avevo la netta sensazione che stesse tramando qualcosa alle mie spalle, compreso quell'articolo di giornale, sul quale era stata spiccicata la mia faccia, senza alcun permesso ed era questa, la prima carta che avrei giocato.
"Piper", serrai la mascella, quando si infilò in ascensore, prima che le porte si chiudessero.
"Come stai?".
"Evita i formalismi".
Cinquanta piani, erano davvero tanti da dover affrontare in sua compagnia.
"Mh, sempre così antipatico tu", fece una smorfia.
"Solo con chi non sopporto", dissi, e non se lo aspettava. Un tempo, ero più accondiscendente nei suoi confronti. Ora come ora, il sol pensiero, mi faceva venire da vomitare e non stavo scherzando.
"Mh", si girò dandomi le spalle. Contai i secondi che mancavano per liberarmi di questa sottospecie di vipera. Le porte si aprirono, la sorpassai, fregandomene di averla persino spinta.

"Certo non c'è....". Il suo sguardo si fermò su di me. Non ero uno abituato a bussare. "Ti richiamo", e attaccò. "Cooper", non si aspettava una mia visita.
"Cosa vuol dire?". Gettai quel maledetto giornale sulla sua scrivania.
"Papà...".
"Tesoro", non la stava neppure guardando. "Puoi aspettare fuori?".
Stranamente non replicò, sentì solo la porta chiudersi alle mie spalle.
"Problemi Cooper?". Aggiustò gli occhiali sul ponte del sul naso.
"C'è la mia faccia qui sopra, la gente mi guarda in modo strano".
"Un po di fama non ha mai fatto male a nessuno", sbuffò una risata.
"Non ne ho bisogno e non la voglio".
"Cooper", aveva smesso di ridere, pochi osavano far arrabbiare Green, e ancor meno, erano quelli che erano riusciti a raccontarlo. "Qual'è il vero problema?".
"Non voglio attirare attenzioni inutili", serrai la mascella.
"Che tipo di attenzioni?". Inarcò un sopracciglio. "Non mi pare che nessuno sappia chi tu sia".
"Pensano che sia il fidanzato di vostra figlia". Le mani ridotte a due pugni. Lo odiavo, lo odiavo davvero tanto.
"E ti dispiace?".
"Prego?". Inarcai un sopracciglio.
"Dovresti solo che esserne felice, se davvero così fosse", incrociò le braccia. "A meno che tu...non sia distratto da altro". Mi si gelò il sangue nelle vene, ma cercai di non lasciar trapelare nulla. Non potevo.
"Voglio solo restare anonimo per questa città, come è stato per tutti questi anni".
"Nessuno oserebbe toccare uno dei miei uomini".
"Beh, si sbaglia". Presi un lungo respiro. "Stanotte qualcuno ha tentato di farmi fuori".
"Cosa?". Spalancò gli occhi, alzandosi in piedi.
Non mi aspettavo questa reazione, sembrava...sincera.
"Ero in barca, hanno bucato il serbatoio, non so chi...ma la mattina era intatto".
"Siediti", ordinò passandosi nervosamente le mani fra i capelli. "C'è qualcosa che non mi torna", disse.
"Gli uomini dei Falcones non si spingerebbero tanto oltre".
"E se ci fosse qualcun altro, dietro?". Era più difficile di quanto immaginassi, dover fingere di essere dalla sua parte, ma era l'unica cosa che potevo fare per scoprire chi ci fosse dietro quella storia e dietro quelle foto.
"Una spia, un intruso?". Afferrò la penna fra le mani.
"Qualcosa del genere".
"Perché?". Sbottò. "Ho un accordo con l'altra gang, ognuno ha le sue zone".
"I Falcones hanno tentato di ingannarmi".
"Anche tu".
"C-cosa?". Sgranai gli occhi.
"Pensi che sia stupido", istintivamente indietreggiai su quella sedia. "Il fatto che tu sia ancora vivo, non vuol dire, che io mi sia bevuto la storia del fotomontaggio".
"Signor Green...".
"Frena, decido io quando parlare di quello". Deglutì, se fossi uscito vivo da quell'ufficio, sarei subito corso a prendere krystal e me ne sarei andato. Avevo sistemato la mia famiglia, nessuno sarebbe mai arrivato a loro, ma non potevo rischiare di lasciare krystal allo scoperto.
"E di cosa vuole parlare?". Lo guardavo, cercando di mostrargli tutto il disprezzo che avevo in corpo. Se aveva deciso di uccidermi, nulla gli avrebbe fatto cambiare idea, eppure in cuor mio, speravo lo facesse. Io volevo stare con lei. Non potevo farle una cosa simile.
"Cosa sei venuto a fare qui Cooper?".
"Per questo", indicai quel giornale, ancora sulla sua scrivania.
"Non credo". Sospirò. "Io ti conosco Cooper, questo giornale", lo prese, rigirandoselo fra le mani. Si alzò, avvicinandosi al camino. "Non è un problema", e lo gettò fra le fiamme. "Puoi andare". Mi alzai si scatto.
"E la barca?".
"Che ci facevi su una barca?". Si accesse un sigaro.
"Nulla che riguarda il mio lavoro", ero teso come una corda di violino. Il suo sguardo era inquietante. Non avevo temuto mai nessun uomo in vita mia, eppure ora, non riuscivo ad essere così lucido, così freddo come lo era sempre stato e lui, se ne accorse.
"Capisco", si grattò il mento, avvicinando la mano alla sua tasca. Istintivamente portai la mia, sul retro dei miei pantaloni, dove la mia pistola era pronta a sparare se fosse stato necessario. Inarcò un sopracciglio, ebbi la sensazione che quel momento fosse arrivato e cazzo, non lo volevo.
"Dì a mia figlia di entrare", la mia mascella toccò terra. Si spostò, tornando a sedersi al suo posto. Annuì, le mani mi tremavano mentre lasciavo quella stanza.
Che diavolo era successo?

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