Capitolo 13

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Le bugie hanno le gambe corte.
Era questa, la frase che la Morris aveva sempre ripetuto ad ognuno di noi nel corso degli anni.
Avevo sempre preso alla lettera i suoi consigli, pensando di doverle tutto ed ancora oggi la pensavo così, ma dovevo ammettere che anche Tate avesse ragione.
C'erano delle regole troppo rigide in quella struttura che non mi erano affatto pesate, fin quando non avevo assaggiato il sapore della libertà, del divertimento e della spensieratezza.
Avevo sempre seguito con rigore e rispetto tutte le regole che mi venivano imposte, ed avrei continuato a farlo perché ormai quella era la mia indole, ma volevo vivere e sopratutto non volevo avere più rimpianti su nulla. Non andare a Verona, sarebbe stato uno di quelli.

"Non può dirci di no, non può", continuò a ripetere Tate, giocando con una ciocca dei suoi capelli, mentre aspettavamo che l'ufficio della Morris si liberasse per poterle finalmente parlare.
Speravo solo che avrebbe capito e che ci firmasse quella benedetta autorizzazione. Eravamo le uniche a non averla ancora consegnata nella nostra classe.
Jacob, continuava a tartassarmi e a ripetere quanto ci tenesse che anch'io, ci andassi ma la mia domanda era un'altra; ci sarebbe stato anche Damon?
Da quel nostro ultimo incontro nei corridoi, non lo avevo più visto.
Era scomparso di nuovo e con lui anche Jered e Thomas.
"Lo spero", sospirai, non appena la porta si aprì, lasciando uscire due bambine che avevano sicuramente combinato qualche marachella, conoscendole.
"E voi che ci fate qui?".
La Morris sbucò a sua volta da quella porta, guardandoci con fare circospetto, non si fidava ancora di noi e questo mi faceva male, molto male.
Tenevo a lei, più di quanto si potesse immaginare, era per me la mamma che non avevo mai avuto.
"Dovremmo parlarle", Tate prese parola e mentalmente la ringraziai per questo, non riuscivo a spiccicare una semplice frase senza balbettare, ero mortificata dal mio stesso comportamento, delusa da come le cose si erano sviluppate, tuttavia, dovevo ammettere che non rimpiangevo nulla, per il semplice fatto che tutte quelle volte in cui ero scappata da quella finestra, ero stata bene, ero felice ed avrei fatto di tutto per poter rivivere un'altra serata come quelle stretta a lui, sulla sua moto.
Mi costava ammetterlo, anche perché come al solito non ci lasciavamo mai bene, ma mi mancava, mi mancava anche solo vedere la sua espressione corrucciata, mentre camminava per i corridoi della scuola o le sue battute, talvolta squallide e mi mancava persino il suo modo di depistarmi per non parlare di se.
"Va bene", disse, guardando anche me. "Entrate".

"Miss Morris siamo davvero molto dispiaciute per quello..."
"Tate, va al dunque", la interruppe, facendole un mezzo sorriso, il che poteva essere un buon segno.
"Ecco....la nostra scuola avrebbe...organizzato una gita.."
"Avrebbe o ha organizzato?". Inarcò un sopracciglio.
"Ha organizzato una gita a Verona", replicò Tate tutto d'un fiato, lanciando un'occhiata nella mia direzione, ero stata zitta per tutto il tempo, non sapevo che dire, per certe cose era sicuramente più brava di me.
Quando sbagliavo, non avevo scusanti e non sapevo neppure farlo.
"E quindi?". Domandò la Morris, poggiando i gomiti sulla scrivania.
"Dovrebbe firmarci l'autorizzazione", mormorò Tate titubante. "Ci teniamo molto ad andarci", aggiunse, facendo uno dei suoi soliti sorrisi che con me funzionavano sempre.
"E tu Krysyal? Vuoi andarci?".
Alzai timidamente lo sguardo sulla Morris, che mi stava letteralmente fissando.
Non era da me, starmene zitta per così tanto tempo e lei lo sapeva bene, mi conosceva meglio di tutti.
"S-si", balbettai con un groppo in gola.
"Non hai altro da dirmi?". I suoi lineamenti si addolcirono dinanzi al mio disagio.
"Io....non volevo deluderla", mormorai. "Solo che....insomma non giustifico il nostro comportamento, è stato scorretto ed immaturo da parte nostra, ma...ma credo che non ci sia nulla di male nell'uscire qualche volta, se lei è d'accordo".
Sentì Tate al mio fianco, reprimere un urlo di gioia.
L'avevo detto, l'avevo detto davvero.
E ora?
"Sai". La Morris mi guardò con un profondo cipiglio stampato in volto. "È molto strano che sia proprio tu a parlarmi di una cosa del genere", picchiò le dita sulla scrivania, l'unico rumore udibile in quella stanza oltre il ticchettio dell'orologio posto sulla porta.
"Miss Morris io voglio solo...."
"Sei molto più coraggiosa di quanto abbia mai pensato in tutti questi anni", mi interruppe, accennando un sorriso. "Sei sempre stata molto socievole con tutte le tue compagnie qui dentro, ma la mia più grande paura, era che al di fuori di questa realtà, avresti avuto qualche problema", aggiunse, addolcendo i lineamenti.
"Inizialmente è stato così", dissi anche se in parte tutto questo accadeva ancora, ma stavo imparando man mano a cavarmela da sola.
"Quindi vorreste uscire di più?". Domandò guardando entrambe stavolta.
"Si", rispondemmo in coro io e Tate, eravamo più tese di una corda di violino ed indubbiamente la Morris, si stava godendo lo spettacolo, divertendosi.
"E per fare cosa precisamente?". Assottigliò lo sguardo, facendo spalancare il nostro.
"Quello che fanno tutti i ragazzi della nostra età", replicò Tate con un pizzico di fastidio, in questo modo non avremmo mai ottenuto nulla, ma quando pensava di aver ragione, nulla la distoglieva dal suo obbiettivo.
"Non sono molto aggiornata", commentò la Morris. "Cosa fanno i ragazzi della vostra età?". Era evidente il sarcasmo nelle sue parole, le piaceva senz'altro farci arrivare all'esasperazione e con Tate non sarebbe servito molto altro tempo, era sicuramente la più suscettibile, fra le due.
"Mangiare una pizza, andare al cinema...in un bar", intervenni, prima che Tate potesse usare il termine festa o peggio ancora alcool.
Ne sarebbe stata capace.
"Krystal, dov'eri l'ultima volta che siate scappate?". Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.
Tate mi guardò, non sapendo neppure lei come uscire da questa situazione ostica, nella quale eravamo cadute come pere secche.
"Vedete ragazze", continuò, incrociando le sue mani fra di loro. "Il problema non è l'autorizzazione, voi andrete a quella gita come giusto che sia".
"Vai", disse Tate a voce bassa, ma non troppo dato che la Morris la trucidò con lo sguardo, prima di riprendere parola.
"Il vero problema, è la mancanza di rispetto che avete dimostrato nei miei confronti", abbassai il capo dinanzi a queste parole, aveva ragione da vendere.
"Capisco che ora voi non siate più delle bambine, come capisco se qualche ragazzo ha fatto breccia nel nostro cuore", mi guardò e di conseguenza sentì il sangue affluire lentamente su per le mie guance.
"Ma scappare di nascosto, non serve a nulla, non sono stupida, se qualcosa non vi va bene, possiamo parlarne, ma non ingannatemi, non serve", sussurrò, con un fil di voce.
"Siamo state delle stupide", disse Tate. "Sopratutto io, spero solo che lei possa perdonarci".
"Non si tratta del mio perdono", sorrise. "Voglio solo che voi vi fidiate di me, a tal punto da dirmi tutto quello che vi frulla per la testa, sono stata giovane anch'io", ridacchiò.
"Non succederà più", mormorai. "Mi dispiace", era l'unica cosa vera che potevo dirle in quel momento.
Sapevo che lei sapeva.
Sapevo che lei, probabilmente, aveva visto Damon e che quindi ora, non associava più quel ragazzo a Tate, ma al momento non avevo il coraggio di parlargliene, non ora.
Forse col tempo, ci sarei riuscita e lei sicuramente avrebbe saputo consigliarmi qualcosa, ma quel tempo non era oggi, non lo era affatto.
Ero ancora troppo confusa dai suoi comportamenti sfuggenti e dalle sue parole, così calcolate e dette sempre nel momento giusto.
Dovevo chiarirmi prima le idee e poi prendere una decisione.

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