2.3 - Un dono dal cielo

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- Luke's pov -



«Mi spieghi come ho fatto a dormire per tutto il viaggio da Sydney a Berlino?», chiesi a Michael, stropicciandomi gli occhi, «E ho ancora sonno, credo sia un record!».

Michael scosse la testa. «Mi hai lasciato da solo per tutto il viaggio. Non sapevo che fare!», sbottò, fermandosi per prendere la sua valigia da terra, «Sono finito a giocare a carte con Josh Franceschi che non faceva altro che ridere di me perché lo prendo in culo da te. È stato umiliante».

Ridacchiai. «Ah, adolescenti. Sempre in cerca di qualcuno da prendere in giro», dissi canzonatorio, facendo sbuffare Michael mentre aprivo la porta della nostra camera - che in realtà era solo mia, ma era più che evidente che avremmo passato tutte le notti insieme, quindi era inutile stare in due camere separate.

«Ridi, stronzo. Vorrei vederti nella mia situazione», sbuffò Michael, posando la valigia a terra noncurante prima di buttarsi con la grazia di un elefante sul letto, «Ah, finalmente. Aspettavo soltanto questo momento».

Lo guardai disteso sul letto, mordendomi il labbro inferiore prima di raggiungerlo, mettendomi di peso su di lui. Michael mi guardò confuso prima che posassi le mie labbra sulle sue, toccando i suoi punti più sensibili per rendere chiare le mie intenzioni; Michael a quel punto tremò contro di me, allargando le gambe per permettermi di posizionarmi nel mezzo. Mi staccai dalle sue labbra per baciargli il collo, come al solito beandomi della consistenza della sua pelle nivea e tremolante sotto le mie labbra. Avrei potuto baciare quella pelle per secoli, eppure non mi sarei mai abituato. E come avrei potuto farlo, del resto? Non esisteva nessun modo per abituarti a Michael Clifford.

«Un insaziabile diavolo tentatore, ecco cosa sei», sospirò Michael, stringendo i miei capelli fra le sue dita.

Ridacchiai. «Hey, dobbiamo pur testare il letto... e i ragazzi hanno il pomeriggio libero, sono sicuramente fuori a vedere la città, quindi per ora niente seccature», mugugnai, alzando il viso per tornare a baciare le labbra di Michael.

Il ragazzo si fece sfuggire una risatina dalle labbra. «Sembriamo una di quelle coppie sposate che deve aspettare che i figli siano via per fare sesso», mi prese in giro, accarezzandomi una guancia, «Lo sai, non ti ci vedo proprio come padre. Sembri troppo inaffidabile».

Arrossii e scossi la testa. «Per ora un pargolo non è proprio nei miei piani. Al massimo posso essere il tuo papino», dissi di rimando, facendogli un occhiolino a cui lui rispose roteando gli occhi. Contrariamente a ciò che mi aspettavo, però, Michael non rise come faceva di solito, ma si rabbuiò leggermente. Gli accarezzai una guancia, preoccupato. «C'è qualcosa che non va, amore?».

Michael scosse la testa. «Non è niente, sto bene. Sono solo un po' stanco», mentì, mordicchiandosi il labbro inferiore. Mi sembrava fin troppo in ansia per essere soltanto "un po' stanco", quindi ovviamente non credetti alle sue parole.

A quel punto mi distesi accanto a lui, accantonando i baci e il resto per rivolgere le mie attenzioni a come risolvere il problema di Michael. Ormai ero pratico di cose del genere. «Non sei solo un po' stanco. Su, raccontami cosa succede», gli dissi, sussurrando mentre avvolgevo le braccia attorno al suo corpo per attirarlo a me.

Michael sospirò prima di accoccolarsi a me, poggiando la sua testa sul mio petto. «Ho parlato con Wendy, in aereo», esordì, deglutendo - e mandando in ansia anche me, a dirla tutta, «E lo so che probabilmente non ho niente da temere perché è soltanto una ragazzina viziata, ma io ho paura che possa fare qualcosa e che quel qualcosa possa portarti via da me. È qualcosa di completamente irrazionale e stupido, lo so, ma non posso farne a meno. Non posso fare a meno di temere un possibile futuro in cui tu non ci sei, ecco».

Il mio peggior nemico || MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora