Two

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Giro il cartello sulla porta di vetri, sancendo finalmente la chiusura del locale.

Non mi sono mai sentita così stanca ma, mentre spengo le luci e inchinavo la porta dello Sweet Taste, mi sembra quasi di strisciare sul cemento sporco.

Sono stanca, ma la mia stanchezza si trasforma in irritazione quando sento la pioggia colpirmi la pelle scoperta.

Alzo il viso ed un paio di gocce mi colpiscono le guance, e la cosa non può che irritarmi.

Non è possibile che si metta a piovere proprio ora, quando non ho nemmeno un ombrello; e chi, fra l'altro, porta con se un ombrello a Miami in primavera?

Io sicuramente no.

Prendo dalla borsa la felpa e la indosso, alzando il cappuccio sulla testa, così da ripararmi maggiormente.

Non è molto, ma è meglio che nulla, soprattutto se da lì a poco sarebbe iniziata una tromba d'aria vista la vicinanza con il mare.

Arrivo quasi in corsa alla fermata dell'autobus, guardando sul display del telefono che mancano tredici minuti alla partenza.

Mi siedo sulla panchina illuminata dal lampione bagnato, scoprendo leggermente il viso dal cappuccio per riuscire a leggere meglio i messaggi che mi sono arrivati.

Sono solo tre: due da mio padre e uno dalla mia emittente telefonica che mi avverte di una nuova promozione.

Nessun messaggio da Evan o da Claire, che a quanto pare non ha ancora visto le mie sette chiamate e i miei cinque messaggi.

Rispondo annoiata a mio padre, avvertendolo che sarei arrivata a casa da lì a una mezz'ora, e poi rimetto il telefono nella tasca, così da impedirmi di scrivere ad Evan.

Lui è con la sua fidanzata, Allissa, lui ha scelto lei, non te. Fattene una ragione.

Perché è così difficile dire addio al primo amore? Perché, così come lui, io non sono semplicemente andata avanti per la mia strada? Non è stata nemmeno una relazione, ma solo un bacio, ma che bacio.

Ho una cotta per Evan dal primo anno, quando mi sono resa davvero conto di lui.

Eravamo amici da una vita, eppure mi sembrava di non averlo mai visto prima, come se a guardarlo fossero degli occhi diversi.

E io glielo avevo confessato, da vera coraggiosa, e gli avevo anche strappato un bacio, ma lui non aveva mai contraccambiato nemmeno una briciola del mio amore.

Diceva che ero come una sorella per lui, e che sarebbe stato strano, ma che mi voleva bene, ed io avevo deciso di lasciar perdere.

E così avevo fatto, per quasi sei anni, fino a quando era arrivata Madellaine.

Quando me la presentò per la prima volta ho subito capito perché io non gli sono mai piaciuta: lei è il mio completo opposto di me.

È superficiale, frivola, attenta alla moda, atletica, attenta alla linea e bellissima.

Non ho mai avuto uno straccio di possibilità e, per quanto posso fingere che tutto vada bene e che lui è solo un amico per me, la ferita fa ancora male a volte.

Il temporale sta peggiorando e la luce del lampione inizia ad andare ad intermittenza.

Sbuffo, prendendo il telefono dalla tasca e guardando che mancano ancora sette minuti all'arrivo dell'autobus.

Mi guardo intorno, notando che la pioggia scrosciante sembra quasi deformare gli oggetti e le strade intorno a me.

Mi passo le nocche sugli occhi scuri, non interessandomi alle sbavature del mascara.

Probabilmente devo essere davvero stanca, perché mi sembra davvero che i lampioni, le panchine, i cestini dei rifiuti e le altre cose si stiano muovendo davvero.

Mi alzo, ma subito sento la testa vorticarmi come se fossi sulle montagne russe, come se fossi al centro di un vortice.

Mi tengo la testa con una mano, come se potesse servire a qualcosa a questo disorientamento.

È una sensazione che conosco bene, una che mai avrei voluto ripetere.

È il senso di vertigine.

Faccio qualche passo, ma è come noto di non riuscire a camminare in modo retto, ma solo a zig zag.

È come se fossi ubriaca, e come se mi fossi appena inalata una dose massiccia di droga.

Alzo una mano davanti a me, e provo a guardarmela.

La vedo sfocata, come se fosse in continuo movimento quando in realtà è proprio ferma.

Non sento più i muscoli ma allo stesso tempo è come se bruciassero.

Sento il fuoco dentro il mio corpo, e io sto bruciando.

Le orecchie mi si tappano e sento lo stomaco attorcigliarsi; un conato di vomito e mi tengo la bocca per evitare di vomitare.

Non mi rendo nemmeno conto di dove sono: forse ancora sotto la fermata? Oppure in mezzo alla strada? Non riesco a capirlo.

Faccio un altro piccolo passo, pestandomi i piedi da soli, imprecando nella mia testa.

Oppure sto urlando?

Mi volto di colpo, sentendo il forte urlo che mi sembra quasi una sirena.

Vedo due forti luci e riconosco la sirena, che in realtà non è altro che un clacson.

Dovrei scappare, dovrei correre, ma non ci riesco, perché la paura mi attanaglia.

Ho paura di cadere, paura di sprofondare negli abbassi che mi circondano.

La luce mi abbaglia ma io continuo a guardare mentre sento il forte stridio di gomme in frenata.

Sto per morire, lo so, me ne rendo conto, ma non riesco, non voglio, muovermi.

Prendo un profondo respiro, e poi tutto finisce.

Cado a terra, e l'asfalto sotto di me è così duro e solido che mi fa rendere conto che sotto di me non c'è nient altro che la pavimentazione.

Non posso cadere, non c'è nessun abisso sotto di me.

Sono al sicuro.

Il tassista che mi ha quasi investito se ne va urlando qualche imprecazione, ma lascio semplicemente perdere.

Tocco l'asfalto sotto di me, e mi verrebbe quasi da baciarlo, dopo le sensazioni orribili che ho appena provato.

Non riesco a capire: a cosa era stato dovuto quel sogno orribile? Era davvero un sogno? Forse la stanchezza mi aveva dato alla testa.

Alzo lo sguardo e sento la pelle rizzarsi sotto la mia felpa.

Proprio sotto la tettoia in vetro della fermata, una figura nera immobile mi sta guardando.

E i brividi non finiscono qui, perché a mezzo metro da me qualcuno è in piedi e sta fermo fra me e quella strana figura.

Di questo sono certa essere umano, forse un uomo, ed è completamente vestito di nero.

Non so da cosa essere più spaventata: se l'uomo nero oppure l'essere inumano che mi sta guardando.

Mi alzo in piedi, ancora un po' barcollante, e faccio qualche passo per avvicinarmi meglio.

Sbatto le palpebre, cercando di mettere a fuoco che cosa sta succedendo ma, ancor prima che riesca a capire, la figura nera si dissolve nella pioggia.

Mi discosto i capelli castani dagli occhi, prendendo un grosso respiro prima di spostare lo sguardo sulla figura incappucciata davanti a me.

"Chi sei tu?"

Phobia {Isaac Lahey}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora