Capitolo 9. Ricordi singolari

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"Avanti papà, cosa facevi di emozionante??", incalzai, questa volta cercando di tirargli giù qualcosa"

"Beh Ania...non ricordo bene tutto ciò che facevo da ragazzo...ma ti posso solo dire che ero proprio tremendo!", sorrise.

"Ah si? Avevi un gruppo di amici?"

"Eh certo, un ragazzo rispettabile ha sempre la sua gang di amici!", ridacchio, "Pensa che una sera io e i miei amici andammo a fare un'altra delle nostre bravate..."

"Cosa avete combinato?", sorrisi portando alla bocca un pezzo di ciambella alla fragola.

Sorrise e tra u morso e un altro mi raccontò:

"Andammo a fare una seduta spiritica, pensa in una vecchia villa di Londra...insomma sai allora eravamo ragazzi e si diceva che fosse occupata da una presenza oscura"

"Oh mio dio...è terrificante...ma la mamma era con te?"

"No, lei la conobbi dopo....una sera...era bellissima...", si limitò a dire, "Ma quella sera tutto cambiò...ero con i miei compagni di avventura e quelli facevano troppe bravate per essere definiti bravi ragazzi"

"E i nonni ti lasciavano andare con loro?"

"I nonni si curavano poco di me, ero solo un ragazzo e loro erano occupati a fare cose importanti, anche più di me, questo è il ricordo che mi hanno lasciato di loro, una vita troppo impegnata", disse quasi con ira.

"Ma che lavoro facevano?"

"Lui era medico e lei infermiera nello stesso ospedale, per loro il tempo era denaro e non andava certo speso con me! Ahhh non mi ci fare pensare!!"

"Va bene papà...immagino che siano venuti a mancare quando non ero nata..."

"Oh eccome se c'eri, ma eri molto piccola e ciò ti impedisce di ricordare mia cara", sospirò e abbassò lo sguardo sulla ciotola piena di briciole. Pareva pensieroso ed io suo sguardo era pieno di ira e rancore.

Preferii non dire più nulla e lasciai che andammo via da quel locale. Era alquanto nervoso e arrabbiato. Si mise in macchina e guidò come un pilota di formula uno verso casa. Appena arrivati si sdraiò sul divano e rimasi li a fissarlo prima di salire in camera mia. Così mi guardò e mi disse:

"Ania so che ti ho lasciata interdetta e piena di altre domande ma non ho voglia più di ritornare sul discorso...chiaro?"

Annuii, "Non posso nemmeno sapere come si chiamavano?", chiesi con un fil di voce prima di salire sopra.

"E va bene!! Lei Queen Johnson e lui Erik Steeven", concluse con rabbia e tacque. In quei secondi di silenzio notai come la sua espressione stesse cambiando, e per un attimo giurai di averlo visto terrorizzato.

Non so ben descrivere cosa gli accadde in quel momento, posso solo dire che lo vidi fuggire verso il bagno e chiudersi li dentro.

Mi preoccupai e bussai alla porta domandando se avesse bisogno di aiuto. Inizialmente non mi rispose ma qualche minuto dopo lo vidi uscire da li con una pillola. Gli tremavano le mani e corse verso la cucina come per cercare qualcosa da bere.

Poi venne verso di me con sguardo più sereno e parve imbarazzato:

"Ania ho bisogno di prendere delle pillole...da quando sei andata al college sono peggiorato...", fu l'unica cosa che disse per giustificarsi, alludendo ad un qualche malessere fisico e si rinchiuse nella sua stanza. Eppure io non ci vedevo chiaro. Si è vero che fosse cambiato da quando io ero andata al college, perciò decisi di chiamare Nathan e capirci di più. Mi chiusi in camera mia come al solito e composi il suo numero. Non rispondeva. Iniziai tremare anche io e a preoccuparmi. Andai nel bagno che avevo in camera e mi sciacquai il viso con dell'acqua fresca. Indossai un vestito estivo con scollatura a cuore lungo all'altezza del ginocchio di seta che mio padre non mi permetteva di indossare per uscire.

Poco dopo mi richiamò lui:

<<Nathan! Finalmente...sto scoprendo di mio padre cose alquanto singolari...>>

<<Beh immagino...nella mente di un matto>>

<<Nathan, per favore!!>

<<D'accordo...prima non ti ho risposto perché mi stavo facendo una doccia>>

<<Non volevo disturbarti...>>

<<Ma prego! Tu non disturbi mai>>, lo sentii sorridere.

Ripresi a raccontare anche quello che avevo passato oggi. Lui mi suggerì di rovistare nel cassetto e vedere la marca delle pillole. Nathan avrebbe di certo saputo dirmi a cosa servivano e se la storia di mio padre era vera. Mi disse di aspettare un momento che lui non era in casa, ma io pensai a come ogni volta che dovevo rimanere sola, mi obbligasse a seguirlo.

Non mi venne in mente altro. Terminata la chiamata con Nathan mi misi a pensare. Quando sarebbe capitato che lui non fosse rimasto a casa? Così il destino decise di aiutarmi in quell'istante: mio padre mi comunicò che sarebbe uscito per pochi minuti. Così, dopo essermi accertata che fosse lontano da casa, mi misi a rovistare nel bagno, dopo ripensamenti sul da farsi. Non ero sicura di ciò che stessi facendo, ma nello stesso tempo sentivo di doverlo fare. Così mi decisi e aprii quel benedetto armadietto senza più esitare. Non avevo mai fatto una cosa del genere prima d'ora. Ma c'era sempre una prima volta. Controllai minuziosamente e finalmente trovai quel barattolino giallo evidenziatore a cilindro. Nemmeno il tempo di guardarlo che sentii aprire il cancello di fuori, perciò posizionai subito ciò che avevo messo in disordine e tornai di sopra in camera mia con quel barattolo. Stupidamente dimenticai di scattare una foto e rimetterlo al suo posto. Sentii i passi di mio padre dirigersi verso le scale ma poi fermarsi. Dedussi che sia andato in bagno. Così mi tranquillizzai e lo esaminai. Vidi il nome e scattai una foto che prontamente inviai a Nathan.

Improvvisamente sentii i passi felpati di mio padre salir le scale e impulsivamente lo misi nel cassetto del comodino insieme al cellulare. Entrò da quella porta e con sguardo accigliato si avvicinò a me:

"Ania hai visto il mio barattolo di pillole?? Di solito non lo sposto mai..."

Mimai un "No" con il capo e poi uscì e grazie a dio chiuse la porta. Di solito non usava bussare, ma almeno chiudere la porta, questo si, lasciare le cose per come le aveva trovate vigeva in lui. Decisi comunque di chiudere la porta a chiave che prima avevo dimenticato.

Aprii il comodino e in quell'istante Nathan mi inviò un messaggio dicendomi che aveva fatto delle accurate ricerche e che si trattasse semplicemente di un medicinale per l'ansia. In effetti mio padre mi aveva detto che le forti emozioni gli creavano dei fastidi allo stomaco, il mal di pancia, adesso tutto tornava! Mi ero agitata per nulla. Così non appena mio padre mi comunicò che stava andando in farmacia per ricomprarle io andai a posizionarlo rispettivamente nell'armadietto accanto, simulando una confusione da parte sua, e tornai in camera mia.

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