Salvarsi

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Grazie a chi ha ancora il coraggio di leggermi,
grazie a chi ha abbandonato questa storia perchè tocca corde ancora tese.
E' sfiorando queste corde che nasce la musica.

State tranquilli.. questo è l'ultimo capitolo cattivo, abbiate fiducia



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"Non lo salva nessuno.
Chi non si salva da sé, nessuno lo può salvare."

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Quando ero piccolo pensavo sempre a come sarei morto.
Un pensiero sadico, folle e da pazzi ma la verità è che tutto quello che facciamo noi esseri umani è attendere il giorno della nostra morte.
Paradossalmente il pensiero che prima o poi tutto sarebbe finito mi riempiva di gioia e mi dava calma interiore.
Era l'infinito ad angosciarmi. La paura di non poter mettere un punto.
Il terrore di dover affrontare l'eternità. Morire era più facile. Abbondonare ogni cosa, terminare, porre fine alle sofferenze.
Provai a guardare la morte sotto un altro punto di vista e improvvisamente smise di essere la mia nemica ma divenne mia amica e da ragazzino non feci altro che sfidarla.
Con un bicchiere di troppo di alcool, con il sesso non protetto, con la velocità.

Mario mi aveva insegnato col tempo anche a smettere di desiderare l'autodistruzione. Mario mi aveva insegnato a guardare il bello delle cose, a sfidare la vita e non la morte, a pretendere da me solo il meglio.

Ma Mario non c'era più e di lui rimaneva solo il ricordo.
Guardai il grande orologio sulla mia testa che scandiva i secondi, i minuti, le ore interminabili.
Non ricordavo neanche come ero riuscito ad arrivare li e le persone al mio fianco sembravano solo tanti estranei nonostante li conoscessi da una vita.
La mano di mia sorella si poggiò dolcemente sulla mia spalla. "Vai a casa, Claudio.", sussurrò tra le lacrime ma io non riuscii a spostare i miei occhi dalle mie mani ricoperte di sangue incrostato e lacrime.
Le avevo versate tutte, ormai.
Avevo pianto tutto quello che potevo piangere e i miei occhi erano così rossi e gonfi da non permettermi di vedere.
Mario era morto.
Lo aveva annunciato il medico pochi istanti prima.
Mario non c'era più.

Me l'avevano strappato dalle mani in modo così veloce da non darmi il tempo di realizzare.
E non avevo avuto neanche il tempo di salutarlo per l'ultima volta, di baciarlo, di accarezzarlo e stringerlo tra le mie braccia.
E per questo sistema bastardo io non ero nessuno, un semplice estraneo e non avevo nessuno diritto su di lui, non potevo entrare in quella stanza per guardarlo l'ultima volta.

Per loro io potevo essere uno qualunque, un qualsiasi estraneo, una di tutte quelle persone che incontri ogni giorno distrattamente i cui visi sono così anonimi da non rimanerti impressi neanche un istante.
Io ero quello: il nulla.
Cancellarono i nostri cinque anni insieme e il nostro grande amore con poche parole. "Non è suo marito, non ha il diritto di entrare."

Non ero suo marito, no. Non lo ero perchè non me l'avevano permesso.
Non lo ero perchè me l'avevano impedito.

E' vero. Non ero suo marito.

Ma ero la persona che ogni giorno si alzava e andava a lavorare per assicurargli un futuro migliore.
Ero la persona che ogni sera si addormentava al suo fianco e lo stringeva.
Ero la persona che rinunciava al cuscino per farlo dormire più comodo e finiva per accucciarsi sul suo petto.
Ero la persona che ogni giorno si preoccupava di ricordargli quanto fosse fantastico, quanto fosse meraviglioso.
Ero la persona al mondo che lo amava di più, che aveva condiviso gioie e dolori, che aveva condiviso la paura di non essere accettati, la voglia di vivere un futuro migliore, le vacanze, il mare, la montagna, partire insieme, arredare casa, fare la spesa.
Eppure per loro non ero nessuno e non avevo il diritto di baciarlo per l'ultima volta.

Dicembre RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora