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"Eppure è bello qualche volta
deporre la penna e immaginare
magari di mettere le tue mani
l'una sull'altra, di prenderle
con una mano e di sapere che
non le lascerai andare neanche
se la mano mi venisse svitata
dal polso."--
Vivere con un fantasma non era esattamente quello che immaginavo.
A raccontarla così, molti avrebbero immaginato una vita fatta di pipistrelli, ragnatele scheletri e talismani.
In realtà si rivelò un convivenza normale, fatta di litigi, incomprensioni e momenti di tregua.
La casa rimase uguale a prima, cambiò solo la disposizione dei mobili.
Ma del resto, rimanendo gran parte della giornata da solo, Mario non aveva mai nulla da fare e si divertiva così.
Cercammo ancora di risalire alla risoluzione del problema: trovare un modo per farlo tornare nella sua reale dimensione e capire il motivo che spingeva me e lui a rimanere in contatto.Ogni tanto avevo quasi l'impressione che Mario sapesse già dentro di se il motivo che lo spingeva a rimanere in quel limbo ma ogni volta che provavamo ad affrontare il discorso lui fingeva indifferenza e andava via.
Per essere un fantasma era abbanza ambiguo: mangiava come due (se non tre) persone insieme, era sempre indaffarato a sistemare casa e aveva paura di un sacco di cose:
il cane della vicina (che secondo lui riusciva a vederlo), il temporale e il buio.Quella notte, quando l'intero città cadde in un momentaneo blackout, lo vidi chiudersi in se stesso.
"Hai paura?" domandai sedendomi sul divano al suo fianco.
"Si, non mi piace il buio. Era anche questo che mi faceva paura, in vita. L'idea di morire ed essere circondato dal nero."
Le candele in casa e la mia torcia erano l'unico modo per muoverci senza rischiare di sbattere ai mobili e tutto intorno a noi era cosparso di piccole fiammelle che illuminavano la stanza come fosse un cielo stellato.
"Sembra la via lattea!" esclamò Mario ridendo poi tornò serio e poggiò una mano sulla mia gamba. "Mi lasci la torcia? Ho paura!"
Sbruffai: "Tutto avrei detto meno che un fantasma può avere paura del buio." ma lui si incupì. Odiava essere chiamato in quel modo, odiava sentirsi ripetere che era consistenza del nulla, che non apparteneva a quella vita che nonostante tutto sembrava quasi iniziare a piacergli.
"Scusami.." sussurrai facendo peso sulle mie gambe e sollevandomi dal divano.
"Vai via?" domandò lui.
"Si, vado a letto. Domani devo svegliarmi presto." annuì ma rimase in silenzio e sentii il suo sguardo su di me per tutto il tempo, finchè lasciai la torcia al suo fianco e mi incamminai verso la mia camera da letto.Mi accasciai su quel materasso freddo ripensando a quanto tempo mi ci era voluto per accettare la situazione: forse troppo poco.
Avevo permesso a Mario di entrare nella mia vita subito. Mi domandai cosa mi rendesse così fragile di fronte a lui.
E se la sua versione era vera, se il Claudio dei suoi racconti non era solo frutto della sua immaginazione, avrei rischiato di diventare anche io come lui un domani?
E che fine aveva fatto quel Claudio? Perchè io non sentivo di appartenergli.
Un senso di vuoto mi colpì al centro del petto quando realizzai che per tutta la vita avevo associato a me stesso una certa immagine che forse non mi apparteneva davvero.
E che quell'uomo freddo e distaccato, probabilmente, aveva solo bisogno di qualcuno pronto a sciogliere la corazza di ghiaccio con il suo calore.Mario mi faceva sentire vivo, molto più di qualsiasi altro essere umano sulla faccia della terra.
E tutta la vita che lui non aveva la donava a me ogni giorno.Avvertii la necessità di averlo al mio fianco, molto più forte di ogni altro bisogno. E fu così forte da togliermi la sete e la fame e a tratti anche il respiro.
Un nodo soffocò la mia gola e solo il suo nome riuscì a sbloccarla.
Così lo pronunciai: "Mario", chiamai nel silenzio della notte.
Magari dormiva già, una piccola parte di me sperava di non ricevere risposta così da non dover giusticare il gesto che stavo facendo.
Se non mi risponde tra 3 secondi lo richiamo solo per l'ultima volta, pensai.
E poi lo feci. Contai fino a tre, la sua voce non arrivò. Lo chiamai ancora."Mario.", con un tono di voce leggermente più alto rispetto a prima e quella volta mi sentì.
Lo immaginai stretto su quel divano combattuto tra la voglia di rispodermi e quella di ignorarmi. Probabilmente contò anche lui fino a 3 e poi lasciò la sua voce nell'aria."Claudio." sussurrò. E io lo sentii forte come un urlo.
"Vieni qui."
E mentii a me stesso ripetendomi che quella era solo la necessità di farlo sentire al sicuro. Che quel gesto, quella richiesta, nasceva solo dal mio senso di colpa per averlo lasciato solo.
Che non significava nulla. Non significa nulla, Claudio. Ripetevo a me stesso.
Ma quel gesto era tutto e io non volevo ammetterlo.
Quella notte lo richiamai non perchè avevo bisogno di proteggere lui, ma perchè volevo proteggere me. Perchè avevo bisogno di riempire quel vuoto che per troppo tempo mi aveva fratturato le costole e lui, in quel momento, sembrava avere la forma esatta per adattarsi al mio nulla.Lui che di nulla era fatto, che non aveva materia e consistenza, e combaciava così bene con il nulla di cui ero fatto io, di carne e vuoto.
Sentii i suoi passi sordi verso la mia stanza, aprì la porta e mi attese sull'uscio.
"Vieni qui." sussurrai ancora spostandomi sul mio letto e battendo la mano sul materasso al mio fianco.
Lui esitò un secondo, quel secondo muto in cui silenziosamente provò a dirmi: mi stai facendo entrare nella tua vita, se varco questo limite sarò eternamente tuo e tu sarai eternamente mio.
E io in quel secondo muto di esitazione silenziosamente provai a fargli capire che non sarebbe bastato tenerci lontani.
Che lui era li per un motivo e forse, quel motivo, l'avevamo capito già da tempo.
Così lasciammo perdere la razionalità e il mondo terreno e lui, scrollandosi di dosso la paura che aveva di me, si avvicino stendendosi poi al mio fianco.
Prima a distanza, poi mi avvicinai un po' io. Subito dopo si avvicinò lui.
E così incollammo le nostre anime.
Il suo visò si posò sul mio petto, le nostre mani unite.
Presi la sua e la massaggiai delicatamente stringendola poi forte nella mia.
Era così strano toccarlo, lui che sapeva di cielo, nuvole e vita.
Si accucciò all'altezza del mio cuore, lo sentii battere, mi sentii vivo.
"Non ricordi proprio nulla di tutto quello che abbiamo vissuto insieme?"
domandò ma io non risposi e semplicemente continuai a fissarlo."Io ne sono sicuro, sai."
Sussurrò sulla mia pelle, soffiando sulla maglietta sottile che la copriva.
"Io sono sicuro che da qualche parte, nel tuo cuore, in una parte remota che tu fai ancora fatica a sentire.. c'è il mio Claudio che sta urlando per uscire."Poggiai le labbra sui suoi capelli, respirai il suo profumo.
Annuii.
Non ricordai nulla della vita che lui mi raccontava di aver vissuto.
Non sentii nessun Claudio dentro diverso da me stesso.Eppure quella notte una parte del mio cuore urlò davvero e promisi a me stesso che non avrei mai permesso a niente e a nessuno di portarmelo via.
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Dicembre Roma
Fanfiction"In pochi crederanno a quello che sto per raccontare. È solo che ci sono certi amori che devono esistere nonostante tutte le barriere che la vita impone. Ci sono amori che devono esserci, dolori che bisogna provare, porte che bisogna aprire. E poi...