Brivido

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La vidi che mi guardava, con quegli
occhi un poco obliqui, occhi fermi,
trasparenti, grandi dentro. Io non
lo seppi allora, non lo sapevo
l'indomani, ma ero giá cosa sua.

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Mi svegliai di cattivo umore: mille pensieri.
Il lavoro, la casa, l'affitto, le bollette, la chitarra, gli amici che non sentivo da un po'.
Eppure tutto sembrava così futile.
Nella normalità delle preoccupazioni che affollavano la mia testa galleggiava qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco. C'era un pensiero, uno solo. Un qualcosa che spingeva da dentro ma che non prendeva materia.

Un grillo che cantava forte nel mio orecchio implorandomi di ascoltarlo.
Un urlo sordo che non riuscivo a sentire realmente.
C'era qualcosa dentro di me, quella mattina, che proprio non andava.

Stampai un bacio sulla fronte di Mario accoccolato sul mio letto, dormiva ancora. Infilai i primi vestiti e fuggii a lavoro, letteralmente.
Fuggii da qualcosa che portavo dentro ma che non riuscivo a realizzare: e cosa poteva essere?
Ma soprattutto: che senso aveva fuggire da qualcosa che si faceva spazio dentro di me?
Svolsi le mie normali mansioni, cercai di occupare ogni momento libero per non pensare, per mettere a tacere quel fischio che tormentava la mia psiche.
Mi occupai dei clienti più esigenti, sistemai la parte burocratica in ufficio, litigai con i dipendenti.
Controllai i moduli per le nuove assunzioni e sostai durante la paura fumando una sigaretta al solito bar.
Quel giorno non tornai a casa per pranzo ma divorai un panino in fretta da un chiosco e rimasi al negozio per svolgere quei compiti noiosi che rimandavo puntualmente: controllare l'incasso, registrate i prodotti sul database, ricontrollare la disposizione degli scaffali.
Gestire un negozio di musica non era così semplice. Avere a che fare con musicisti è un'esperienza singolare: sono sempre li, incazzati con il mondo o super contenti per la vita. E pretendono che tu risolva i loro problemi con un tocco di bacchetta magica.

Ricontrolloai le chitarre, spolverai i dischi e inserii nel programma al computer i nomi mancanti.
Quando il sole scomparve dietro una sera buia chiusi la serranda alle mie spalle e mi incamminai verso casa.

Quando varcai la porta improvvisamente la sensazione di aver dimenticato qualcosa si impadronì di me e quel pensiero che a fatica avevo provato a soffocare per tutto il giorno tornò a galla.
Tornò a galla prepotente, spazzando via i miei sorrisi e le buone intenzioni.

Tornò a galla quando mi voltai tra le mura di casa e mi accorsi che non c'era nessuno a colorarle, che Mario non c'era, che Mario non era li.
Chiamai il suo nome ripetutamente in maniera pacata e quando non rispose al quarto appello alzai il tono di voce.

Non era normale,  non si allontanava mai senza dirmi nulla. La sensazione che fosse successo qualcosa mi strinse lo stomaco e il petto costringendomi quasi a boccheggiare e ansimare.

"Ma dove sei?" urlai ancora spalancando le porte, sperando di vederlo poggiato sul suo, sul nostro divano.
Sperando di vederlo dietro ai fornelli o di vederlo leggere un libro.

Mi voltai in preda al panico, non aveva telefoni dove poterlo chiamare, non potevo chiedere a nessuno un aiuto. Non avrebbero capito.

Un piccola speranza illuminò il mio volto e  corsi verso la terrazza, fu a quel punto che lo vidi.
Lì. In piedi su un cornicione.

"Mario! Sei impazzito?" urlai fiondandomi alle sue spalle. Non trovai una giustificazione al suo gesto folle, anzi. Proprio quando le cose andavano nel verso giusto lui si ribellava a quella realtà.
Ma non mi rispose.
"Cazzo, scendi. Ti prego."
Si voltò, mi guardò negli occhi, aprì le braccia.
"Ti prego Mario!" urlai. "Scendi da li, non fare così. Ti prego."
Esitò un attimo. E poi fece un passo. Un passo indietro e non in avanti come credevo. E scese lentamente da quel cornicione.

"Sei impazzito?" urlai fuori di me poggiando le mani sulle sue spalle e strattonandolo forse troppo forte.

"Scusa Clà, non credevo arrivassi proprio ora."
Boccheggiai, mi sentii delirare per la paura.
"Non farlo mai più cazzo, cosa ti salta in testa!"

"Clà ma come puoi pensare che io muoia? Lo sai anche tu che non ho materia, se mi lanciassi non succederebbe nulla probabilmente!"

"Sei un cretino Mario. Sei un cretino. Mi sono sentito morire per un attimo."

Sorrise dolcemente circondando poi il mio collo con un braccio, mi calmai solo quando il suo corpo fu abbastanza vicino al mio da farne quasi parte.
Mi calmai solo quando il mio petto combaciò con il suo e il suo viso si incastrò nell'incavo del mio collo.

"Scusami. Volevo solo provare il brivido di poter decidere della mia vita almeno una volta. Certo, sempre che sia vita questa." sussurrò lasciandomi poi un leggero bacio sulla pelle tesa.

E quel pensiero, lo stesso pensiero che mi aveva tormentato per tutta la mattinata, tornò.
Si fece spazio tra le mie abitudini, tra le bollette, la luce, il gas, il negozio, il lavoro, la casa, gli amici che non sentivo da tempo.

Si fece spazio nella mia testa e finalmente si materializzò. Lo realizzai in quel momento cosa mi teneva sveglio la notte: la paura di perderlo.
L'incertezza di non ritrovarlo al mio ritorno.
La consapevolezza che da quel momento in poi sarebbe potuto sfuggire da un istante ad un altro.

Lo strinsi più forte a me, sentii le sue costole sotto le mie mani.
"Non voglio che tu vada via, Mario."
La sua bocca sul mio collo si mosse delicamente solleticandolo.
"Non dimenticarmi mai."

Sollevai il volto fissandolo nei suoi grandi occhi neri.
"Promettimi che non andrai via."

"Ehi, ascolta.." passò la sua mano tra i miei capelli. "Non posso farlo. Non posso prometterti nulla. Lo sai anche tu: siamo in un limbo.
Ma io non voglio che tu viva in questa costante incertezza.
Così, Claudio. Probabilmente domani tornerai a casa e non mi troverai più.
Ma non disperare, il fatto che tu non possa vedermi non vuol dire nulla.
Fingi che io sia qui, in terrazza, a guardare le stelle. Tanto poi torno.
Lo sai Claudio, da te tornerò sempre."

Fu difficile sciogliere quell'abbraccio, così, anche dopo aver separato i nostri corpi, rimanemmo sotto quel cielo stellato a chiederci quanto mancasse al nostro ultimo saluto.
Non lo dicemmo, nessuno dei due trovò realmente il coraggio.
Eppure tremammo dando la colpa al freddo.
Ma in realtà fu solo il brivido di un pensiero costante che tornò a tormentarci: era giunto il momento di dirsi addio.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 31, 2017 ⏰

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