Imparare

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Vorrei essere almeno la mano che ti
protegge - una cosa che non ho mai
saputo fare con nessuno e con te
invece mi è naturale come il respiro.

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Era stata una notte strana fatta di incubi e paure, fatta di abbracci silenziosi e pianti disperati.
Avevamo aperto le nostre porte, varcato i nostri confini e ci eravamo mischiati a vicenda così da diventare uno parte dell'altro.
Così da dividere le angoscie e le gioie, così da mischiare due vite vissute parallelamente con la speranza di ricavarne una sola che valesse per entrambi.
Dormimmo insieme. Fu come dormire un sonno profondo e sentirsi tormentati dentro dalle ombre.
Fu come permettere al mostro sotto al letto di uscire fuori, afferrarti per un piede e trascinarti con te nel buio.
Fu come permettere ai tuoi incubi di diventare realtà, di materializzarsi.
Fu brivido  e poi quiete.
Quando Mario chiuse gli occhi rimasi qualche istante a guardarlo: poggiato sul mio petto, pronto a farmi scudo col suo corpo.

Mi svegliai da quella sensazione quando non avvertii più il suo profumo nell'aria.
L'apparente sensazione di non sentirlo più al mio fianco mi mandò in confusione e mi sentii di nuovo improvvisamente svuotato da me stesso.

Ma non ebbi il coraggio di chiamarlo o di parlare, rimasi in silenzio a contemplare quel vuoto che aveva lasciato sul materasso, il cuscino guasto e le coperte ammucchiate ai piedi del letto.
Un rumore metallico attirò la mia attenzione, così presi coraggio per andare a controllare.

Al posto della cucina ritrovai un campo di battaglia: farina, gusci di uova, padelle e pentole sparse su ogni superficie.
Mi accolserò le sue spalle, lui girato verso il piano cottura, con i capelli spettinati e il sorriso sulle labbra.
"Ti prometto che rimetterò tutto al suo posto!" e con una mano sporca di farina si toccò il volto, lasciandosi una manata di polvere bianca sul naso.
Sorrisi per quanto sembrava buffo e senza dire parole superflue mi accomodai sulla sedia.
"Questa mattina mi sono svegliato e ho pensato di prepararti la colazione! Tu mi hai sempre aiutato in tutto e mi sono sentito in dovere di ricambiare in qualche modo.."
"Quindi tutto questo caos solo per una colazione?" mi guardai intorno spalancando gli occhi ancora gonfi e assonnati.
Mario arricciò le sopracciglia e mi squadrò offeso: "Beh era da un po' che non cucinavo e ho fatto fatica a trovare tutti gli ingredienti!"

"Non a spargerli per la casa.." commentai in silenzio certo che comunque mi avrebbe sentito.
Sbruffò senza dare troppo peso alle mie parole e tornò a muoversi nella mia cucina, o probabilmente avrei dovuto dire nostra, in silenzio.

Non era da lui, non era da Mario ignorare la notte passata insieme. Lui moriva dalla voglia di chiedermi spiegazioni e io lo sentivo, avvertivo il suo fremere, il suo volere delle risposte.
La sua necessità di sapere se avevo avvertito qualcosa, se era cambiato qualcosa in me, cosa mi aveva spinto ad avvicinarmi a lui.

Eppure non trovò il coraggio.
Preparò il caffè, apparecchió tavola per due, sistemò i pancakes e il succo d'arancia e prese posto accanto a me.
"Preferisci la marmellata o il cioccolato?" domandò senza guardarmi davvero negli occhi.
"No, li mangio così." esclamai e lui alzò gli occhi al cielo facendo  attenzione e non sfiorarmi neanche un attimo.

Mangiammo così, in silenzio. Scambiando pensieri del più e del meno: il sole che preannuncia la primavera, la bellezza di Roma al tramonto, la sua mia brutta abitudine di fumare in casa senza aprire la finestra.
Divenne tutto così, un susseguirsi di argomenti stupidi, tutto per non toccare il motivo principale che ci teneva così lontani.

E poi presi coraggio e parlai: "Hai dormito bene ieri sera?"
Si bloccò per qualche istante con la tazza di caffè a mezz'aria senza il coraggio di avvicinarla alla bocca, deglutì e continuò.
"Si, molto."

"Anche io." affermai e lo colsi di sorpresa perchè i suoi movimenti divennero più lenti e il suo sguardo assente.

"Ci vieni a dormire con me?" domandai senza freni inibitori e fu come lanciarsi nel vuoto con la consapevolezza di atterrare sull'asfalto.
Condannarsi a morte da soli: era quello che stavo facendo.

Stavo alimentando un sentimento che non doveva esistere, che non faceva parte di me.
Stavo alimentando qualcosa che avrei dovuto solo reprimere come in passato ma che questa volta urlava per uscire dal mio petto.
Mario rimase con la testa china sul suo piatto senza il coraggio di alzarla e guardarmi.

"Allora.. hai sentito?" incalzai finchè finalmente girò i suoi occhi neri su di me e mi accarezzò con il suo sguardo smarrito.

"Ci vieni a dormire con me?" continuai: "Intendo sempre. Tutte le notti. Ti va?"

La perplessità lasciò spazio ad un sorriso timido che accese il suo volto e da quel momento in poi non toccammo più quell'argomento.
Parlammo ancora del freddo di febbraio, della voglia di comprare un nuovo televisore e della fretta di dover fare la spesa.

"Adesso hai capito cosa vuol dire.. cosa si prova quando si vuole bene ad una persona?" domandò lui tra un discorso e un altro.

"No. Insegnamelo tu."

E quella probabilmente fu più una promessa che una richiesta: ti prometto che se ci proveremo insieme, ti renderò felice.
Ti prometto che se non andrai via, sarò un uomo migliore.
Ti prometto che qualsiasi cosa accada, non dimenticherò mai la notte che ho abbiamo trascorso insieme.

E mantenni la promessa perchè quel giorno non lo dimenticai mai.

Sorseggiai quel caffè mentre lui mi elencò tutti le volte in cui mi aveva dimostrato il suo amore, cosa volesse dire prendersi cura l'uno dell'altro, cosa volesse dire provare sentimenti.

In tutto quel vortice di parole trovai finalmente una risposta:

vuoi bene a una persona quando non ti piacciono i dolci ma se lui si sveglia presto la mattina per prepararti i pancakes, improvvisamente, diventano il piatto più buono del mondo.

Dicembre RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora