Cicatrici

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Per ora sono avanti con i capitoli, dal momento che tra poco ricomincerò a studiare per gli esame di settembre (chimica maledetta 😭) pubblico con questo ritmo, sicuramente più in la dovrò rallentare.
Leggo tutti i vostri messaggi, i vostri commenti e i tweet della squad.
Siete meravigliose e mi state facendo sorridere tantissimo con la varie ipotesi.
In realtà, con il tempo, capirete che la soluzione è proprio sotto i vostri occhi e che è molto più facile di quanto pensiate.

Grazie semplicemente per essere voi.


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"E nelle notti massacranti
riempite di parole
intelligenti
e nell'angoscia della vita
ho in mente ancora l'eco della tua risata"


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Una notte divennero due, poi tre, poi quattro, poi una settimana.
Mario divenne una presenza costante nella mia casa che però non interferiva nella mia vita: era la regola. Lui non sapeva dove andare, nessuno riusciva a vederlo se non io e cacciarlo via sarebbe stato  inutile: sarebbe riuscito comunque a varcare la porta di casa senza troppa difficoltà.
Lui apparteneva a quelle mura e io non potevo farci nulla se non imporre delle condizioni: io non ero il suo Claudio per tale motivo non poteva pretendere da me comportamenti che non appartenevano al mio essere.
Fece un po' di fatica ma dopo i primi giorni riuscì a scindere le due figure.
Lui non aveva nessun diritto di replica sui miei rapporti e sul mio stile di vita, sulle mie bottiglie di liquore e sulle mie sigarette.
Come piccola ultima regola gli chiesi di non rivolgermi la parola, neanche un po', neanche per sbaglio e di cercare un modo per andare via da li e ritornare nel suo mondo.
Accettò, forse un po' a malincuore ma la mia incapacità di provare empatia mi aiutò a mantenere salde le mie decisioni senza cedere.

Provai anche a contattare una medium ma fu inutile, varcata la porta di casa affermò che uno spirito maligno era pronto a risucchiare la mia energia vitale.
Tutto questo mentre Mario era tranquillamente seduto sul divano a mangiare un gelato.
La pagai e la pregai di andare via, lei e tutti i suoi finti talismani.

Così mi rassegnai al fatto che l'unico modo per mandarlo via era fargli capire che in me non avrebbe mai trovato quello che cercava, perchè il suo Claudio, quello con cui aveva vissuto quel grande amore, non mi apparteneva neanche un po'.

Così trascorsero i giorni con me che provavo a tenermi lontano da lui e lui che involontariamente provava a cercarmi senza mai trovarmi davvero.

Una sera tornai a casa dopo una brutta giornata di lavoro, avevo litigato con un mio dipendente e non mi andava di ascoltare altre voci al di fuori della mia.
Non aprii neanche l'ennesima bottiglia di Jack Daniels, troppo stanco per farlo. Varcai la porta di casa e mi affacciai in cucina ma Mario non c'era.
Non era sul divano e neanche nel soggiorno, così afferrai la mia chitarra e salii sulla terrazza.
Era quello l'unico modo che avevo per sfogarmi: suonare, cantare lontano da tutto e da tutti. Ritagliarmi un angolo di mondo solo per me: io, la chitarra, la mia musica, le mie stelle, la mia Roma.
Ma quando con fatica aprii la porta arrugginita che separava il palazzo dalla terrazza lo trovai li, di spalle. Accucciato in angolo e perso tra le stelle. Provai a indietreggiare per tornare a casa ma lui si voltò e: "Clà? Sei tu?" domandò.
E io annuii e: "Scusami ti lascio solo." affermai.
Ma Mario mi sorrise e alla visione della chitarra il suo viso si illuminò:
"No, ti prego! Vieni. Suona. Non ti darò fastidio."

Non avevo voglia di mostrare quella parte di me. Io che con la musica avevo un rapporto estramamente intimo, io che non osavo condividerla con nessuno, neanche con i miei amici.
Quella era la mia arte e la tenevo per me. Così camminai verso di lui e mi accasciai al suo fianco incrociando la gambe e provai ai spiegare: "Non credo di riuscire a suonare se ci sei tu."
"Lo so." affermò sicuro poggiando una mano sulla mai gamba.
"Claudio lo diceva sempre, sai? Che la musica era sua e non voleva condividerla con nessuno. Finchè un giorno trovò il coraggio di suonare vicino a me e a quel punto divenne nostra.", sorrise. Doveva avergli fatto proprio un gran bene quel Claudio lì.
Le mie mani infreddolite accarezzarono il legno della chitarra senza il coraggio di percorrere quelle corde.
Poi lo guardai: i suoi occhi persi tra le stelle, la sua mente chissà dove. Il suo corpo apparentemente vicino a me. Mario non esisteva, era solo  immagine.
Il mondo si era dimenticato di lui e tutto intorno scorreva come se non fosse mai esistito.
Ma ad un tratto il suo corpo mutò ai miei occhi: per un attimo feci confusione tra lui e il cielo e proprio li trovai le mie risposte: Mario era fatto di tante cose che non sapevo spiegare.
Era consistenza del cielo e delle stelle.
E improvvisamente mi sentii solo, come se solo il creato potesse guardarmi.
Trovai il coraggio di suonare le mie note, lui chiuse gli occhi e si lascio cullare da quella melodia in piena notte. Cantai qualcosa e lui cantò con me, conosceva perfettamente ogni canzone che strimpellavo, conosceva le mie stonature e i punti forte.

Dicembre RomaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora